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Non ha certo bisogno di presentazioni Gian Antonio Stella , e quando nel 2005 ha pubblicato: Il maestro magro, come per  molte altre  novità non mi sono precipitata a leggerlo anche  perché mi era sfuggito che non si trattasse di politica.

Il maestro magro visto sotto questa nuova luce di romanzo mi ha intrigata e le quattro righe in prima di copertina hanno fatto il resto. Si aggiunga poi il suggerimento della rubrica radiofonica: Il bel vizio di leggere. A questo punto le aspettative che riponevo in questo romanzo erano molte e… sono state ampiamente soddisfatte. Non è a mio avviso solo un  romanzo, sono tantissimi racconti sapientemente intrecciati tra di loro con una scrittura scorrevole e suggestiva.

L’incontro  dei due  protagonisti: Osto siciliano e Ines veneta, non sono che l’inizio di una carrellata di persone che si dipanano dal sud al nord  nell’Italia del dopo guerra.

Tra gli anni  cinquanta e sessanta, si viaggia molto in treno, con valige di cartone, si mescolano non solo  odori di aglio e  pecorino, dialetti e fisionomie, ma anche  modi diversi di vivere e pensare.

Un’ umanità variegata si sposta dalle sue terre d’origine alla ricerca di speranze e  pane. Arrivano dal Veneto  gli sfollati del Polesine e  dal sud altri disperati cercano lavoro al nord.

Non sarà difficile per quelli che hanno vissuto quegli anni riconoscere nei  propri vicini di casa quegli  sfollati o i compagni di scuola meridionali e…  maestri di scuola  siciliani.

Per i giovani invece potrà essere la scoperta di un’Italia poverissima, ma piena di entusiasmo, che trova via via, fino al bum degli anni sessanta, la voglia di riscatto e di benessere.

E’ in questa cornice che il maestro  Ariosto Aliquò detto Osto, deve man mano prendere decisioni, affrontare problemi, ascoltare miserie umane e sorridere anche per situazioni inverosimili.

La sua compagna Ines è una donna forte, temprata dalle vicissitudini della vita che fin da giovane l’hanno resa vedova di guerra con un figlio da crescere. E’ anche ironica e il suo imprecare in veneto o l’apostrofare il marito con il nomignolo “Moro” la rendono simpatica.

La tenerezza del loro amore è a prova dell’ignoranza e del bigottismo altrui.

Convivono in questo romanzo oltre a camorristi e preti infingardi anche  medici ruffiani e assassini col mal di denti,  un albero di carrubo dei giardini di  Naxos e il profumo dei dollari californiani. Troviamo venditori di illusioni e un  guardiano di faro che chissà perché non dipinge mai il mare e il cielo.

Ogni capitolo è una  miniera di aneddoti, situazioni e personaggi. E… proprio uno di questi, permetterà ai racconti vari, paradossalmente veri, di diventare nel finale  un autentico romanzo.

Il più delle volte, le nostre aspettative ci tirano brutti scherzi, lasciandoci delusi e insoddisfatti, questa volta è andata bene!


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E’ un tenore con una potenza di voce eccezionale, ma non è solo potenza, è armonia e delicatezza; sono certa che presto il suo nome lo conosceranno in molti.

Arriva dalla Corea con una Laurea quinquennale in Canto Lirico e materie musicali Korean National Universiti of Arts, si è poi trasferito in Italia ed ha continuato a studiare. Non vi elenco i nomi dei maestri con cui si è diplomato e le scuole che ha frequentato, ma già dal suo primo debutto in Italia al Teatro Sociale di Castiglione delle Stiviere, la sua interpretazione  di Alfredo nella Traviata ha fatto capire al pubblico e alla critica le sue qualità artistiche. Ha vinto concorsi, premi e… ieri sera, all‘Auditorium di Maccagno, il tenore Kang Hoon (primo premio, selezione lirico e lied al Concorso internazionale “Città di Maccagno” 2007) accompagnato al pianoforte dal Maestro Sem Cerritelli  ha deliziato il pubblico con un repertorio che è ha spaziato dal: Agnus Dei di Bizet a: La donna è mobile di Verdi.

Durante la prima esecuzione: Domini Deus di Rossini, lo ammetto mi sono lasciata distrarre, non ho potuto fare a meno di ammirare l’eleganza di Kang Hoon, la postura impeccabile, la mimica ben misurata. Gli applausi al termine del primo brano non sono stati scroscianti, così mi sono voltata ad osservare la platea che non era pienissima a causa dei soliti nubifragi che in questi ultimi mesi accompagnano le serate dei maccagnesi. Ma Kang Hoon… brano dopo brano ha conquistato il pubblico che in un crescente entusiasmante lo ha applaudito a lungo: “Bravo, bravo” si sentiva  gridare dalle prime file e dalle ultime. Ora L’auditorium sembrava gremito.

Non sono un’esperta di musica lirica, ma l’ascolto spesso, soprattuto i Grandi, così quando faccio un paragone  con altri che sento dal vivo non reggono il confronto (il mio orecchio è abituato troppo bene). Ma ieri sera non è stato così, tolto il momento iniziale di distrazione,  ho chiuso gli occhi e ho ascoltato: senza fare distinzione fra pianista e cantante, senza pensare a come deve essere stato difficile per Hoon affrontare questo pubblico che tutto si aspettava furchè un coreano a Maccagno, senza prendere appunti pensando che avrei scritto di questo tenore. Ho chiuso gli occhi e mi sono lasciata emozionare, un’ora e mezza in cui la magia della musica mi ha trasportata in un altro mondo, dove romanze e drammi, potenza e delicatezza convivono armoniosamente e ci fanno  sognare.

Bravo Kang Hoon, ti auguro tantissimo successo e speriamo di risentirti presto.