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La mia gatta centra poco in questo bellissimo romanzo, ma… in fondo… La terra selvaggia del Primorje, situata nell’Estremo Oriente russo è il teatro dove il terribile predatore compie la sua vendetta. Ma perchè lo fa? Il giallo che avvolge l’intero romanzo LA TIGRE è scritto magistralmente dallo scrittore e giornalista John Vaillant e suscita molte emozioni e riflessioni. Nel romanzo Vaillant ci parla di economia, di storia, geografia. Di uomini e animali in continua lotta per la sopravvivenza, ci racconta di incontri tra uomini e tigri. Ma anche di tragedie causate dal predatore più intelligente e letale del pianeta. In seconda di copertina, tra l’altro è scritto:”Ti uccide prima ancora di toccarti. Il suo ruggito è come un terremoto che sembra provenire da ogni direzione, un suono forgiato dall’evoluzione per stroncare il sistema nervoso delle vittime. Ma quando vuole può essere silenziosa come la neve che cade: un proverbio della taiga dice che “quando tu riesci a vederla, lei ti ha già visto cento volte”. Questa avventura siberiana è una storia vera, e alcune foto ci mostrano i volti dei protagonisti. Altrettanto autentica è l’ammirazione per la competenza e dedizione che ho provato per il guardiacaccia Jurij Trush. Come è stato vero lo sconcerto nell’apprendere la durezza della vita dei tagliaboschi, prima e dopo della Perestroika. Quando ho finito di leggere il libro intitolato La tigre di John Vaillant mi sono sentita euforica per il finale lungimirante e anche emozionata per essermi trovata nella natura selvaggia della Taiga. Ho potuto conoscere più a fondo la tigre e il filo che ci lega ad essa. La coesistenza con lei, dipende da noi. Lo dice chiaramente, nelle ultime pagine del romanzo, John Goodrich, coordinatore del Siberian Project:” Perché le tigri esistano, dobbiamo volerlo”. Oggi come non mai. Ho sempre pensato alla mia gatta come ad una piccola tigre: indipendente, fiera e un po’ misteriosa. Forse è vero quello che ho letto su di un bigliettino: il gatto è stato creato perché l’uomo potesse accarezzare una piccola tigre.

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Passeggiando per Vigevano in questi giorni è impossibile non accorgersi dell’offerta culturale allestita nelle Scuderie Ducali del suo famoso Castello Sforzesco. La mostra dedicata al capolavoro di Leonardo: DENTRO L’ULTIMA CENA: il tredicesimo testimone. E’ un’esperienza artistica decisamente nuova ed allettante. Il pieghevole che ti consegnano in biglietteria, ben congegnato ed illustrato, recita tra le altre informazioni:L’allestimento privilegia il canale emozionale rispetto a quello informativo, senza dimenticare gli aspetti di approfondimento e quelli storici filologici: è un percorso multimediale e interattivo, nel quale la tecnologia oltre ad essere un valido strumento divulgativo, permette di trasformare la mostra in un luogo dove conoscenza scientifica ed emozioni personali si fondono così da generare e diffondere cultura, grazie al sapere degli esperti e alla partecipazione attiva del pubblico. Questo è il nocciolo della novità: l’interazione attiva del visitatore che per antonomasia è sempre stato considerato solo spettatore. In biglietteria non ti consegnano solo il pieghevole e il biglietto che ti accompagna nel seguire la mostra tradizionalmente, ma anche una card che ti permette di interagire nelle ampie offerte di approfondimento. Se per caso non capisci come utilizzarla, niente paura, non fai in tempo ad accorgertene che il personale, gentilissimo e competente ti viene incontro: spiegandoti e seguendoti, in questa nuova esperienza che ti permetterà veramente di diventare il tredicesimo testimone sulla scena del capolavoro vinciano conservato nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Il percorso espositivo di sei sale è abbastanza buio per permettere alla tecnologia di emergere con immagini evocative di quei tempi e di quei personaggi che ne animavano la storia. Avrei voglia di raccontarvi sala per sala, postazione per postazione cosa succede e cosa potreste far succedere, ma… vi assicuro è meglio scoprirlo da soli. Ah…nell’ultima sala, mi raccomando, prima di uscire, aprite gli armadi!! Cigolano un po’ ma forse l’hanno fatto apposta!! Per me: emozione è l’aggettivo più consono da abbinare a questa mostra. Il Cenacolo Vinciano l’ho visto dal vero quando avevo sei anni e non era ancora stato restaurato. Ne ho un ricordo di refettorio immenso e freddo con un dipinto grandioso. Da adulta ne ho seguite le vicende e viste le varie immagini dei restauri. In seguito avrei voluto rivederlo ma la difficoltà della prenotazione mi ha bloccata. Ritrovarla ora a Vigevano è stata per me una gioia immensa. Ho scoperto particolari di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza: quella brocca di vetro per metà piena d’acqua, il bicchiere che fa vedere in trasparenza il piatto dietro di lui. Approfondire:la luce, la prospettiva, la tecnica dei colori, rileggere la storia degli evangelisti e… quella tavola imbandita con il vino che si muove nel bicchiere…..Non dico altro. Vigevano:con la sua bellissima Piazza Ducale ideata dal Bramante, il Castello, la Torre, il Duomo e le altre innumerevoli chiese, merita di sicuro di essere visitata. Ora poi, potreste decidere anche di essere il tredicesimo testimone alla mostra in allestimento fino al 1 maggio 2011 dedicata all’ultima cena di Leonardo da vinci.

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L’ e-mail che aveva preceduto la telefonata era molto precisa e professionale. Ma sul pc, la signora Narrini leggeva solo il testo, non capiva  di che umore fosse la sua amica  Lorella, in quella sequenza di parole mancava il tono della voce, non si capiva se le avesse scritte battendo energicamente sulla tastiera oppure fosse  rilassata,  non percepiva l’affanno del respiro o il suo lento procedere, ma soprattutto trovava insopportabile che le e-mail nascondessero lo sguardo di chi le inviava. Del resto anche la successiva  telefonata  non  l’aveva soddisfatta, era stata troppo veloce, e più che altro  le era sembrata una semplice  telefonata di servizio per informarla che i suoi occhiali nuovi erano pronti e sarebbe venuta lei personalmente a consegnarglieli.

Erano quattro mesi che non vedeva Lorella, che non l’ abbracciava, la baciava e stava a sentire le sue ultime novità. Si ricordava che l’ avesse informata su quel volo  a cui  teneva molto, delle passeggiate in montagna e di quella coppa vinta in una gara di corsa. Ora finalmente si sarebbero riviste e… fu una sorpresa per la Signora Narrini. Lorella era  veramente in forma, anzi smagliante, come fosse un’altra persona. La vitalità che traspariva dalla pelle e il suo entusiasmo nel raccontare cosa le fosse successo emozionò la Signora Narrini.

La sua amica aveva volato. l’aria sottostante l’aveva avvolta facendole sentire per la prima volta quanto fosse consistente. Aveva ammirato il mondo sottostante come se dovesse rimanere sempre a quell’altezza ma poi lo stesso mondo si avvicinava a lei velocissimamente. A quel punto un colpo tremendo e  il paracadute aprendosi sembrava volesse riportarla in alto, fino  all’aereo dal quale si era lanciata! Lorella continuava a raccontare e la Signora Narrini leggeva  nei  suoi occhi: emozioni, adrenalina, sorpresa e felicità. Ma la cosa non finiva lì!

Ora Lorella, con i piedi per terra, si rendeva conto di quanto quell’esperienza l’avesse cambiata: come affrontava diversamente i vari problemi, come prendeva decisioni e iniziative senza tanti ripensamenti, come  organizzava la giornata o semplicemente come guardava con occhi diversi un albero o un gruppo di persone.

Lei e il suo punto di vista erano cambiati.

La Signora Narrini  già vedeva chiaramente questa sua nuova amica e si domandava: ” Sarà stato merito degli occhiali nuovi?”


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E’ un tenore con una potenza di voce eccezionale, ma non è solo potenza, è armonia e delicatezza; sono certa che presto il suo nome lo conosceranno in molti.

Arriva dalla Corea con una Laurea quinquennale in Canto Lirico e materie musicali Korean National Universiti of Arts, si è poi trasferito in Italia ed ha continuato a studiare. Non vi elenco i nomi dei maestri con cui si è diplomato e le scuole che ha frequentato, ma già dal suo primo debutto in Italia al Teatro Sociale di Castiglione delle Stiviere, la sua interpretazione  di Alfredo nella Traviata ha fatto capire al pubblico e alla critica le sue qualità artistiche. Ha vinto concorsi, premi e… ieri sera, all‘Auditorium di Maccagno, il tenore Kang Hoon (primo premio, selezione lirico e lied al Concorso internazionale “Città di Maccagno” 2007) accompagnato al pianoforte dal Maestro Sem Cerritelli  ha deliziato il pubblico con un repertorio che è ha spaziato dal: Agnus Dei di Bizet a: La donna è mobile di Verdi.

Durante la prima esecuzione: Domini Deus di Rossini, lo ammetto mi sono lasciata distrarre, non ho potuto fare a meno di ammirare l’eleganza di Kang Hoon, la postura impeccabile, la mimica ben misurata. Gli applausi al termine del primo brano non sono stati scroscianti, così mi sono voltata ad osservare la platea che non era pienissima a causa dei soliti nubifragi che in questi ultimi mesi accompagnano le serate dei maccagnesi. Ma Kang Hoon… brano dopo brano ha conquistato il pubblico che in un crescente entusiasmante lo ha applaudito a lungo: “Bravo, bravo” si sentiva  gridare dalle prime file e dalle ultime. Ora L’auditorium sembrava gremito.

Non sono un’esperta di musica lirica, ma l’ascolto spesso, soprattuto i Grandi, così quando faccio un paragone  con altri che sento dal vivo non reggono il confronto (il mio orecchio è abituato troppo bene). Ma ieri sera non è stato così, tolto il momento iniziale di distrazione,  ho chiuso gli occhi e ho ascoltato: senza fare distinzione fra pianista e cantante, senza pensare a come deve essere stato difficile per Hoon affrontare questo pubblico che tutto si aspettava furchè un coreano a Maccagno, senza prendere appunti pensando che avrei scritto di questo tenore. Ho chiuso gli occhi e mi sono lasciata emozionare, un’ora e mezza in cui la magia della musica mi ha trasportata in un altro mondo, dove romanze e drammi, potenza e delicatezza convivono armoniosamente e ci fanno  sognare.

Bravo Kang Hoon, ti auguro tantissimo successo e speriamo di risentirti presto.


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30° ANNIVERSARIO PER LA SCUOLA MUSICALE DI MACCAGNO


La banda è allegria, festa, commemorazione, aggregazione e musica per tutti. Nelle loro divise impeccabili, con i loro strumenti lucidi e gli spartiti, i musicanti suonano camminando per le città, i cittadini seguono beandosi dei ritmi e di quell’atmosfera gioiosa. I bambini non disturbano se piangono e anche le voci degli adulti che chiacchierano vengono inghiottite dalla forza della musica. E’ stato così anche a Maccagno, sabato 7 giugno alle ore 19,30. Questa volta però la festa era tutta per la Scuola Musicale di Maccagno che celebrava il 30° anniversario di rifondazione. Rifondazione perché la banda in Maccagno esisteva già dal 1824, poi per vari motivi cessò la sua attività che venne ripresa appunto nel 1978. Fautore della rinascita il maestro Torrigiotti che dopo 30 anni è ancora alla direzione della formazione bandistica. Per l’occasione è stato invitato il Corpo Musicale S. Cecilia Germignaga e il Corpo Musicale Rasa di Varese, due bande con ben 200 anni di storia per la prima e 100 per la seconda. Ho avuto l’impressione che la nostra banda di Maccagno con i sui 30 anni di attività fosse una bambina a confronto delle altre due, ma… una bambina prodigio. Dopo la sfilata per le vie del paese, con grande godimento dei maccagnesi, le celebrazioni sono proseguite alle ore 21.00, presso il nuovo Auditorium “Città di Maccagno” dedicato a Bruno Compagnoni.

Dopo il saluto del presidente Antonio Cisterna che per l’occasione era molto emozionato, dopo il discorso appassionato del sindaco Fabio Passera, dopo che altre autorità si sono alternate sul palco La banda S. Cecilia Germignaga aspettava in bell’ordine di cominciare a suonare. I discorsi sono stati brevi ed è stato lasciato quasi subito il posto alla musica. E che musica! Il numeroso pubblico che era presente in sala ha subito capito il livello della serata. Sotto la direzione del maestro Domenico Campagnani la banda ha eseguito una marcia dal titolo: Lago Maggiore, e vi assicuro è stato fantastico. Il pubblico entusiasta ha applaudito lungamente. Dopo il Corpo musicale S. Cecilia Germignaga anche la banda di Varese ha esordito con una vivace marcia e il maestro Mario Splendori ha poi diretto altri brani dove clarinetti, trombe e tromboni hanno rievocato musiche da film come: Giù la testa, di Enio Morricone. La scaletta del programma e le spiegazioni dei vari pezzi, con cenni storici , mano mano che dovevano essere eseguiti sono stati diligentemente letti da Paola Perrone che ci ha parlato anche del vissuto degli autori. Al termine delle sue esecuzioni, quando il Corpo Musicale Rasa Varese ha finito di ricevere le ovazioni del pubblico ha lasciato il palco alla nostra banda di Maccagno.

“Dirige il maestro Torrigiotti” ha annunciato Paola, ma… il maestro non poteva dirigere, il maestro doveva parlare, doveva ricordare e… “forse faccio male” ha detto “ma voglio fare i nomi di tutti coloro che non ci sono più e mi hanno accompagnato ed aiutato in questa impresa, poi, senza enfasi ma con voce ferma ha elencato i suoi amici, le sue amiche e… il pubblico che li conosceva tutti ha applaudito calorosamente. Il maestro ha ringraziato con un profondo inchino e dalla magia del ricordo siamo passati alla magia della musica.

Ancora una marcia: “La luna sul lago” e i nostri musicanti sono stati bravissimi, hanno fatto agitare tutti sulle poltrone e poi ancora musica, musica. Per tutta la serata pochi sono riusciti a non tenere fermi i piedi per battere il tempo, nei momenti clou un forte fremito percorreva il corpo: la cassa toracica vibrava e il formicolio della pelle dalle braccia passava alla punta delle dita, dove non trovando uscita ritornava al corpo elettrizzandolo.

Al termine lunghi applausi e urla. Non è facile raccontare la musica, non è facile descrivere le emozioni che ne scaturiscono.La musica come tutte le altre forme artistiche o opere d’ingegno ha semplicemente bisogno di attenzione, ha semplicemente desiderio di accoglienza, quello che ci succede quando osserviamo un quadro, una scultura, quando ascoltiamo musica o leggiamo una poesia o un romanzo sono sensazioni personali che ci fanno bene, ci arricchiscono, ci portano un passo più in là, dove ci si sente meglio, dove anche l’euforia convive con la pace , dove la semplicità la fa da padrona e non ha bisogno di imbrogli per piacere e farti piacere.

Ma torniamo alla serata che prevede le premiazioni. Di nuovo il sindaco, di nuovo le autorità e fiori e targhe sono stati consegnati a chi di dovere. E per concludere: gran finale con tutte e tre le bande sul palco (non proprio tutti, perché non ci stavano!) che hanno eseguito la marcia dal titolo: Monviso, con grande godimento di tutti noi spettatori.

Sicuramente non previsto dalla scaletta la partenza spontanea delle note: Tanti auguri a te, tanti auguri per te, i musicanti hanno recuperato al volo i loro strumenti e in un disordine che è andato ricomponendosi mano mano, si sono divertiti, e dai loro sorrisi si capiva il piacere della musica insieme, si capiva la giocosità improvvisata. Spontaneità che avevo notato anche quando il direttore Domenico Campagnani della banda di Germignaga si è tolto la giacca ed è entrato nel gruppo della banda di Varese per suonare la tromba. Che bella cosa la spontaneità, che bella cosa l’affiatamento. Ma ha giustamente ricordato il Sindaco Fabio Passera che per raggiungere gli obbiettivi ci vuole anche impegno e sacrificio, e la Scuola Musicale di Maccagno ne è un esempio.

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E’ una lunga lettera che mi ha spedito mio cugino.

Cara Lella,

ho letto il tuo libro.

Delle persone abitualmente si dice talora (a torto o a ragione, poco importa) “poche, ma buone!”. La stessa cosa devo dire, ma solo a ragione, delle tue pagine:poche, ma buone!”, anzi, ottime.

Salve le debite eccezioni, guardo sempre con qualche prevenzione i libri molto voluminosi. Talvolta accade che gli autori dedichino eccessivo spazio a situazioni descrittive di stati d’animo e finiscono con il creare spesso una gabbia intorno al lettore, il quale viene così preso per mano e non può che prendere atto di ciò che vuole dire lo scrittore, lasciando scarsi margini all’attività introspettiva di chi legge. Tale tecnica va assolutamente bene per la descrizione di paesaggi e oggetti o per definire ad es. l’espressività del viso dei personaggi, ma, secondo il mio modo di veder le cose, diventa una fastidiosa pastoia quando la prolissità investe il pensiero e le sensazioni.

Questa premessa mi è parsa doverosa perché un libro che ha per titolo “Strettamente Personale” non può che trattare argomenti….. strettamente personali. E’ un argomento non solo delicato, ma anche alquanto complicato, perché se le tematiche dell’autore fossero eccessivamente definite e circoscritte finirebbero con l’assolvere ad una funzione pressoché notarile della sua volontà, con il risultato che il lettore potrebbe rimanere imprigionato in uno schema interpretativo non suo, giacché lo scritto risulterebbe privato della irrinunciabile qualità di suscitare o trasmettere le particolari emozioni che l’autore aveva prima provato e poi trascritto. L’opera, come tu stessa hai ottimamente intuito, deve invece avere anche la capacità di coinvolgere ed investire la sensibilità creativa del lettore; accompagnare il lettore in un viaggio parallelo fatto di emozioni; gettare un ponte di comunicabilità. E qui casca l’asino, amava dire un mio omonimo (nel senso di Mascìa, con l’accento sulla “i”) amico sardo. Qui viene fuori la qualità dello scrittore: gli bastano a volte poche e semplici frasi per accendere o quanto meno stimolare la presenza partecipativa del lettore, ma per giungere a questo risultato occorre una grande capacità di cercare, selezionare e calibrare quelle parole “chiavi”, proprio quelle parole magiche (e non altre) che sono necessarie per stabilire una sorta di simbiosi con la sensibilità del lettore. Questi deve essere munito di idonea chiave di lettura che gli consenta non solo di accedere al pensiero dell’autore, ma anche di scrutare in un altro intimo orizzonte di emozioni.

Sei stata brava nella ricerca dell’indispensabile equilibrio narrativo necessario, facendo leva su quelle frasi chiave sapientemente distribuite qua e là.

Ha ragione il prefatore Filippi: il preambolo (complimenti per la magnifica idea!) è una preziosa cornice e proprio in essi ho trovato spesso il guizzo, il bandolo di una nuova matassa da dipanare nei misteri di segreti e spesso inesplorati pensieri.

Non mi pare il caso di dilungarmi troppo, ma tengo a svelarti che sono stato vivamente colpito da alcuni tuoi pensieri.

Ad es. a pag. 17 scrivi: “Il peggio è stato voler credere che così non fosse. Comincia tutto come una molla………….pensiero dopo pensiero”. Credo che già questo breve paragrafo racchiuda il tema non di una passeggiata letteraria, ma una faticosa ed impegnativa scalata dell’inconscio.

Vivere al rallentatore” dici a pag. 37. Lo trovo un perentorio invito all’intera umanità a vivere al rallentatore, un invito a guardare le cose rivolto a chi invece si limita solo a vederle. Peccato che sia, come anche tu scrivi, un’utopia.

Pag. 58. “La sfortuna di una sofferenza può risultare vincente per chi sa cogliere una scintilla nel buio”. Penso alla grandiosa e vincente fragilità di uomini (Gesù con la Sua cosciente immolazione, Gandhi con la sua non violenza e con la marcia del sale) che con la loro sofferenza e il loro esempio hanno cambiato il corso della vita di miliardi di persone.

Pag. 102. “Quando si prega è bene sapere quello che si dice.” Pare un’affermazione lapalissiana, ma è una domanda tragicamente sempre attuale in tutti i campi: quanti sono capaci di farlo? Se effettivamente sapessimo con esattezza cosa facciamo, prevedendone le conseguenze, forse vivremmo in un mondo migliore. E, perbacco, sei riuscita anche a mettere il dito nella piaga, condannando l’inadeguatezza della scuola, che oggi ci consegna giovani ignoranti, vittime del pregiudizio di insegnanti e genitori.

Io mi fermo qui, ma tu non ti fermare, vai avanti perché sono sicuro che se scavi bene in te stessa certamente troverai cose importanti da scrivere.

Un abbraccio Mario e Enza.