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Quando Vittorio Zucconi, al termine della cerimonia, ha dichiarato a Colui Che Aiuta il “ medicina men” Marvin di non aver capito niente, e di conseguenza non sapere ancora se avesse o no ricevuto il permesso dallo spirito, di scrivere la storia di Cavallo pazzo, Marvin gli risponde così: “Sì ma ti ha ordinato di tornare qui per una cerimonia di ringraziamento e di purificazione, quando lo avrai finito. Ricordatelo, perché loro, gli spiriti, non dimenticano.” Ed questo il titolo che Zucconi ha dato al suo libro: “GLI SPIRITI NON DIMENTICANO. Vittorio Zucconi non si addentra subito nella storia di Cavallo Pazzo, ha, come dire, la necessità di spiegarci i suoi primi approcci con Lui e le letture che lo hanno riguardato, ci parla del viaggio intrapreso nella terra dei Lakota per meglio approfondire e documentarsi. Da questo punto in poi il suo coinvolgimento sarà totale, fino alla fine della stesura di questo bel libro di Storia. Ricco di aneddoti, date, resoconti, documentazioni che finalmente rendono giustizia agli indiani e come scrive Zucconi nell’ introduzione: “l’immagine di quei popoli e dei loro capi è sempre stata violentemente distorta dalla fantasia commerciale dei registi e dei produttori di Hollywood.” Scrive naturalmente molte altre cose che è bene leggere perché sono motivo di chiarimenti e riflessioni. Non vorrei però darvi l’immagine di un libro polpettone, al contrario, è un avvincente romanzo. Seguendo non solo il suo protagonista ma tutto il suo popolo: come vive, come dorme, come caccia il bisonte e come lo cacciava prima di conoscere il cavallo. Scrive del rispetto e dell’ importanza di ogni membro della tribù: le donne, con le loro capacità, gli uomini cacciatori, i bambini, che come leggeremo vengono ascoltati e presi sul serio anche in decisioni importanti. I vecchi, le vedove i malati e gli omosessuali che vengono mantenuti da tutta la tribù. Per ognuno di loro ci viene svelato un mondo a noi sconosciuto, come per esempio, fare la fila con gli altri contendenti, fuori da un tipì, per poter corteggiare una ragazza seduti accanto a lei, sotto una coperta. Oppure come ottenere della colla dagli zoccoli di un bisonte o costruire un giocattolo, sempre ricavandolo dal bisonte. È all’interno di questo mondo, e precisamente in un villaggio di Lakota Brulé, alle porte di Fort Laramie che la tragedia degli indiani ebbe inizio, a causa della mucca impaurita di un pioniere mormone. L’autore, dopo aver descritto per bene tutta la storia, così conclude il capitolo: “ La guerra fra gli Stati Uniti d’America e gli indiani delle Grandi Praterie – che sarebbe durata più di vent’anni e sarebbe finita con lo sterminio dei Sioux – era cominciata formalmente, in quel 1854. Per colpa di una mucca lessata.” Le grandi Praterie appartenevano agli indiani. L’uomo bianco, chiamato dagli indiani Uas’ichu (Colui che ruba il grasso), gli ha rubato anche la terra, non mantenendo i trattati, perpetrando ruberie, imbrogli, umiliazioni e massacri. Ci informa Zucconi “ Alla fine del secolo quando il West fu vinto dagli emigrati europei, erano rimasti 1000 bisonti e 237.000 indiani. In 90anni erano morti in guerra o di malattia, il 75 percento degli indiani e il 100 Percento dei bisonti, che erano alla base della loro civiltà e della loro esistenza.” In queste 308 pagine sono ben spiegati tutti i meccanismi che hanno portato a questa tragica conclusione: tutti i personaggi (nomi e cognomi ) tutte le categorie di ingordi affaristi e piccoli commercianti, dallo sfruttamento minerario, ai grandi interessi della linea ferroviaria della Northern Pacific Railroad che avrebbe collegato le due coste dell’America. E non manca nemmeno il segreto finale che ci svela Scialle Nero. Ho apprezzato molte cose in questo libro, prima di tutto l’ imparzialità dell’autore quando racconta degli indiani: che rubavano i cavalli alle altre tribù, o altre loro malefatte. Ho apprezzato la chiarezza della sua scrittura nel destreggiarsi fra: conflitti e tattiche di guerra. La fluidità con cui ha saputo intrecciare tenerezze, spiritualità, con l’invidia e la meschinità. Ho molto gradito la cartina geografica Della Grande Prateria del Nord, sulla quale ho seguito la battaglia del Little Bighorn del 25 giugno 1876, tifando per Cavallo Pazzo e gioiendo per la sconfitta del generale Custer. E condivido a pieno la quarta di copertina, in particolare la frase: racconto struggente e meraviglioso, che nessun “ viso pallido” potrà leggere senza un brivido di tenerezza e di Vergogna. Non so quando l’autore abbia partecipato alla cerimonia di ringraziamento è purificazione, ma sono certa che oggi, lo spirito di Cavallo Pazzo abbia tratto giovamento da questo bel libro, non solo per se ma per tutti gli indiani. Grazie all’autore per aver dato luce a questo pezzo di storia e grazie a mia nipote che me lo ha regalato, centrando a pieno le mie preferenze, anche le nonne non dimenticano😁

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Probabilmente è una storia conosciuta da molti, anche se si è svolta fuori dall’ Italia ed è collocata nel passato. I suoi protagonisti sono molteplici e i fatti abbracciano l’arte e purtroppo anche la tragedia dell’olocausto. Insomma una trama complicata ma tanto affascinante da farmi venire voglia di raccontartela. Ma… potrei sbagliare un nome o dimenticare una data oppure omettere un fatto cruciale, e… siccome la storia è vera, la responsabilità è tanta. Quindi, questa storia, di cui ho appena visto il film “Donna in oro”, cercherò di riassumerla qui per iscritto e… pazienza se altri la conoscono già.

Non avere discendenti maschi è stato un problema che non ha riguardato solo le famiglie reali. Nel nostro caso, per accontentare il banchiere Moriz Bauer che non aveva avuto figli maschi, la famiglia della figlia, Maria Teresa Bauer, sposando Gustav Bloch amplil cognome in Bloch-Bauer. La ricca famiglia ebraica dei Bloch-Bauer viveva in pace e d’accordo nella stessa palazzina al centro di Vienna con il fratello Ferdinand sposato ad Adele Bauer; questi ultimi si occupavano dell’industria dello zucchero, ereditata dal padre di Ferdinand, e non ebbero figli, mentre Gustav Bloch era avvocato e con la moglie Maria Teresa aveva avuto 3 figli: Leopold, Luis, e Maria; Maria in particolare era molto affezionata alla zia Adele, che dal canto suo non mancava di affetto ed attenzioni per lei. Tutti in famiglia erano appassionati di arte e musica: a casa loro si riunivano, oltre che a politici influenti, anche artisti del calibro di Johannes Brahms, Richard Strauss, Wagner, Gustav Klimt e molti altri. Siamo all’incirca nei primi del ‘900.

Ti ricordi la stampa del quadro Il Bacio di Gustav Klimt appesa in camera? Questo pittore è importante per questa storia. E… le altre due stampe con i mosaici di Ravenna? Anche quelli c’entrano, perchè Klimt, dopo essere andato a Ravenna per due volte nel 1903, rimane affascinato dai suoi maestosi mosaici bizantini e dall’oro musivo che gli ricordano i lavori del padre e del fratello, che erano orafi. Questa esperienza cambierà il suo modo di dipingere: verrà chiamato il suo periodo d’oro. A Vienna è il 1907 quando la signora Adele BlochBauer commissiona al pittore Gustav Klimt un suo ritratto che diventerà famosissimo, forse più del Bacio che conosci tu, perchè fu al centro di una storia rocambolesca, che si concluse solo nel 2006… quando tu compivi 2 anni!

Chi? Dove? Come? Quando? Perchè? Queste erano le nostre regole per inventare storie quando eri piccola, una io e una tu. Se la storia non rispondeva a tutte le domande, non era valida.

Ma chi è il soggetto di questa storia? Gustav Klimt che dipinse il quadro? Adele Bloch-Bauer che ne fu modella e committente? Il quadro stesso? O chi altri, visti i personaggi già citati e altri ancora che verranno?

Per capire, bisogna tornare in casa Bloch-Bauer, e osservare la timida e piccola Maria, che viene invitata dalla zia Adele ad allacciarle al collo una sontuosa e particolarissima collana tempestata di pietre preziose, la stessa collana indossata nel ritratto eseguito da Klimt, che troneggia sulla parete del salone. La zia non ha figli e Maria è la sua prediletta: le parla, l’ ascolta e la sprona a non aver paura. Quando la zia Adele morirà prematuramente di meningite nel 1925, Maria ha 9 anni e la sua perdita le peserà tantissimo. Gli anni passano, siamo nel 1937, il clima politico è ostile agli ebrei e lo zio paterno di Maria, Ferdinand, fugge prima in Cecoslovacchia e, all’incalzare dei nazisti ripiega in Svizzera dove presso una banca, tramite un fondo fiduciario, trasferisce tutti i suoi interessi pensandoli al sicuro. Non sarà così perchè la banca svizzera, anziché proteggere i suoi beni, li cederà sotto pressione del governo austriaco a persone di fidata razza ariana. Ferdinand prima di fuggire sprona il fratello Gustav a fare altrettanto, ma questi, incredulo di quello che sta già succedendo, rimane in balia della barbarie nazista. Maria, il giorno prima che lo zio parta, si sposa con Frederick Altmann, un cantante lirico. Il matrimonio è celebrato con grande sfarzo in casa Bloch-Bauer. Terminata la cerimonia Maria Altmann riceve dallo zio Ferdinand come regalo di nozze la famosa collana della zia Adele. Gli sposi partono in viaggio di nozze per Parigi, ma quando tornano la situazione è precipitata; anche il fratello di Frederick, Bernhard Altmann, è fuggito in Inghilterra lasciandogli la gestione della sua fiorente industria tessile. Sono momenti tremendi: i nazisti terrorizzano, uccidono, torturano, deportano, fanno prigionieri; ricattano Maria, deportando a Dachau suo marito, al fine di accaparrarsi tutti i beni di famiglia. Anche Palais Elisabethen dei Block-Bauer nel 1939 viene derubato di tutto. I quadri finiranno in collezioni private e ne beneficiarono anche il dittatore Hitler e il generale Göring. Il resto fu venduto. Alcuni quadri di Klimt, compreso il ritratto di Adele Blok-Bauer, finirono alla Galleria Belvedere di Vienna dopo vari passaggi.

Non c’è più tempo… se vogliono sopravvivere i giovani sposi devono fuggire subito. Solo nel 1941, dopo diversi trasferimenti, riescono finalmente a stabilirsi negli Stati Uniti, dove, nel 1945, otterranno la cittadinanza statunitense. Due anni prima il cognato Bernhard Altmann, anche lui negli Stati Uniti dal 1939, avvia un’attività tessile nella quale coinvolge, per la vendita dei capi in cashmere, anche Maria e il fratello. Gli affari vanno benissimo per tutta la famiglia, ma quando nel 1955 Bernhard si ritira, a Maria non resta che il suo negozio di abbigliamento. Con suo marito cresce i tre figli e la sua vita si avvia alla normalità. Le tragedie delle persecuzioni antisemite sono finite, e nonostante tutto lei si ritiene fortunata perchè ne è uscita viva.

Alla luce di quello che ti ho raccontato fino adesso, alla domanda: “Chi?” Posso risponderti: “Per il momento è Maria la protagonista”. Ma la storia continua. Alla domanda: “Dove?” E’ più facile risponderti: “Siamo partiti da Vienna, un viaggio di nozze a Parigi, deportazioni a Dachau e per fuggire dai nazisti altri spostamenti in Svizzera, in Inghilterra, negli Stati Uniti, e come vedremo più avanti anche il Canada e nei dintorni di Praga. Ma sarà Vienna il luogo prescelto e per più di un motivo. Anche se la nostra protagonista Maria Altmann aveva giurato che non ci sarebbe mai più tornata”.

La guerra è finita e Leopold, fratello di Maria, che si era rifugiato con la mamma a Vancouver in Canada, tenta di recuperare i beni di famiglia, ma a Vienna non vogliono sentire ragioni e i suoi tentativi andranno falliti. Bisognerà arrivare al 1998, quando il giornalista austriaco Hubertus Czernin, potendo consultare gli archivi del Ministro della Cultura, viene a capo di un mistero che fino a quel momento aveva impedito ai Bloch-Bauer di tornare in possesso del dipinto di Gustav Klimt intitolato: “Ritratto di Adele Bloch-Bauer”. Hubertus scrive un libro nel quale si scopre che il proprietario del quadro è ancora lo zio di Maria Altmann, Ferdinand, anche se sua moglie Ada avrebbe voluto lasciarlo in eredità alla Galleria del Belvedere di Vienna; ma Ada era morta nel 1925 quando il quadro ancora apparteneva alla ricchissima dinastia degli industriali Bloch di origine ebraica. Mai Ada avrebbe immaginato gli orrori della guerra e che i nazisti, dopo il furto, avrebbero cambiato il titolo al suo ritratto, perchè lei era ebrea, chiamandolo “La donna in oro”. Mai avrebbe immaginato che la sua collana, ritratta nel quadro, finisse sul collo della moglie del generale tedesco Göring.

Non tutto è perduto, pensò Maria Altmann quando venne a conoscenza di questi fatti, tanto più che lo zio Ferdinand, spogliato di tutto dai nazisti, aveva comunque, prima di morire, fatto testamento: aveva lasciato tutto ai 3 nipoti, compreso un castello fuori Praga che gli era stato confiscato dal generale tedesco Reinhard. Non tutto è perduto, continuò a pensare Maria, quando venne a conoscenza del fatto che il governo austriaco, per cercare di rimediare ai furti perpetrati dai nazisti ai danni degli ebrei, permetteva la restituzione delle opere d’arte. E qui di seguito il “Come” Maria si impegnò a rientrare in possesso del ritratto della zia Ada. La pubblicazione del libro di Hubertus Czernin la fece illudere che presto avrebbe ottenuto quello che voleva, anche perchè ormai aveva 83 anni. Per risolvere la questione si affidò al giovane avvocato Randol Schonberg, persona fidata, perchè figlio di amici e nipote di un famoso compositore ebreo, anche lui fuggito da Vienna. Maria pensava di cavarsela inviando l’avvocato a Vienna e, quando capì che la sua presenza sarebbe stata indispensabile, tutti i fantasmi del passato si ripresentarono e dovette fare appello a tutte le sue forze per ritornare di nuovo a Vienna. In quell’aula, quel giorno, erano in molti gli ebrei che rivendicavano il possesso dei loro averi: tutti raccontarono con molta fatica cosa fosse successo e in che modo fossero stati derubati di tutto: per primo ci tolsero la dignità, poi l’identità culturale, la libertà e i beni terreni. Altri raccontarono delle vite dei loro parenti rubate per sempre, altri ancora viaggiando nei ricordi del passato non poterono fare a meno di piangere. Quando a parlare toccò a Maria Altmann, fece un discorso lucido e concreto; disse fra l’altro che avrebbe donato volentieri alla Galleria del Belvedere di Vienna il quadro della zia Adele, essendo questo un simbolo per Vienna, ma che voleva le fossero restituiti tutti gli altri. Il comitato per la restituizione rifiutò la sua offerta e le propose in cambio dei bozzetti di Klimt e delle ceramiche. Maria rimase esterefatta e chiese al suo giovane avvocato di intraprendere un’azione legale contro il governo austriaco. Ma il governo pretendeva una tassa di deposito esorbitante, visto il valore dei quadri contesi. Non disponendo di quella cifra, Maria rinunciò all’azione legale e tornò negli Stati Uniti con il suo giovane avvocato.

La storia non è ancora finita e vorrei soffermarmi su di un preciso momento di questa complicata avventura, rispondendo così alla domanda “Quando?” E’ chiaro che le date sono tante e anche molto importanti se pensiamo all’avvento del nazismo, o alla fine della guerra e a molti altri eventi; c’è infine un momento in cui il giovane avvocato Randol Schonberg rimarrà sconvolto tanto da sentirsi male fisicamente. Rientrato negli Stati Uniti dirà alla moglie: “E’ successo qualcosa a Vienna, ho vissuto attraverso i ricordi dei sopravvisuti dell’olocausto delle emozioni fortissime, solo adesso ho capito, anche se già sapevo tutto.” E’ in quel preciso momento, cara nipote, che attraverso la memoria diretta dei sopravvissuti lui prende coscienza, si sente partecipe, soffre, e finalmente capisce. Non sempre sapere vuol dire capire, e se attraverso la memoria possiamo capire, puoi immaginare quanto sia stato importante quel momento e quanto sia importante la memoria: Per primo ci tolsero la libertà, la dignità, l’identità culturale e i beni terreni. Altri raccontarono delle vite dei loro rubate per sempre, altri ancora viaggiando nel ricordo del passato non poterono fare a meno di piangere. Per Randol Schonberg, giovane e inesperto avvocato, non sarà più una questione di vincere o perdere, non importano i soldi, non importa il suo prestigio, vuole giustizia. Quando finalmente trova un modo per far svolgere il processo negli Stati Uniti la signora Maria Altman ha 88 anni e lui si rende conto che non c’è tempo da perdere e propone perciò un arbitrato da tenersi a Vienna. In pratica, tre persone si riuniscono, leggono le ragioni delle due parti e poi decidono, naturalmente una persona a favore della Altman, una a favore del governo austriaco e una terza neutrale. Il giovane avvocato non scrive, fa un discorso, talmente toccante da far decidere che Maria Altmann ha ragione e le saranno restituiti tutti i suoi quadri. La storia è finita, ma in realtà è molto più complicata di come l’ho raccontata, perchè forse avevo paura di annoiarti, ma se ti piacesse saperne di più, fai come me che dopo aver visto il film “Donna in oro” ho trovato in rete il Blog: “Da Vinci Experience”, che racconta dettagliatamente questa storia. E meno male, altrimenti come avrei fatto a ricordarmi tutti i passaggi, i nomi e le date!

Chi? Come? Dove? Quando? Questa storia non è ancora valida, devo ancora rispondere alla domanda più difficile, perchè la guerra?

Sono talmente tante le risposte che non saprei da che parte incominciare, eppure sappi, che alcune guerre sono state scatenate inventandone il motivo, solo perchè le si voleva combattere. Nessuna ragione può essere valida per muovere guerra contro altre nazioni, nessuna, e, fra l’altro, quelli che decidono le guerre mandano gli altri a combatterle.

Sulle guerre posso dirti solo una cosa: è solo prima che si possono evitare. Ti assicuro che ci vuole molto coraggio anche per questo. Non è un caso che i primi morti voluti da Hitler, nella seconda guerra mondiale, fossero proprio i suoi connazionali che gli si opponevano. Loro avevano capito e sapevano quanto sarebbe stato pericoloso. E oggi? Come nonna mi sento in dovere di avvisarti: E’ la difesa della nostra democrazia che non ci farà ricadere nella dittatura. E’ la cultura, la libertà di informazione, è il sapere che ci permette di capire e valutare per il meglio; ma questo non basta. Bisogna impegnarsi affinchè l’ignoranza non trionfi, bisogna non sottovalutare cori razzisti indegni, episodi esecrabili: chi li commette ignora, non sa, non ha memoria. Non può l’ignoranza crescere, unirsi in gruppo e per questo sentirsi forte ed orgogliosa. L’ignoranza è solo una fabbrica di pecoroni pericolosissimi. Perchè tanta ferocia nei confronti degli ebrei? Questa è una domanda che mi facevo anch’io da ragazzina. Nel frattempo ho visto un sacco di documentari e letto molti libri in proposito. In Germania gli ebrei, prima della guerra, occupavano posti importanti, erano industriali, banchieri, professori universitari, erano ricchi e questo non andava bene ad Hitler che con la scusa della razza ariana li ha derubati di tutto. E’ brutto dirlo, ma i treni che partivano per i campi di concentramento stipati di ebrei ritornavano pieni di merce che gli era stata sottratta. Ed è solo una briciola di quello che i nazisti gli hanno rubato. Questo è solo un particolare, ma la ferocia agghiacciante, quella, è stata disumana e non c’è un perchè che lo giustifichi. Oggi, non dimenticarlo, tenere viva la memoria, potrà forse evitare altre catastrofi come quella dell’olocausto.

Questa storia mi ha dato l’opportunità di parlarti non tanto della guerra, ma di come sia importante darsi da fare per evitarla. Ma la parte più leggera del racconto riguarda Gustav Klimt. E siccome ultimamente mi hai raccontato con entusiasmo come a scuola ti abbiano insegnato a leggere e riconoscere un quadro impressionista, sono certa che troverai interessanti alcune notizie su di un gruppo di giovani artisti che a Vienna nel 1897 fondarono “La secessione Viennese”. Devi sapere che il pittore Gustav Klimt, nel 1888 era già considerato un bravissimo pittore tanto da ricevere dal suo imperatore Francesco Giuseppe una benemerenza ufficiale. Ma lui, cercò sempre di migliorarsi, di trovare nuovi modi per esprimersi e con un gruppo di amici nel 1897 fondò “Il secessionismo viennese”, Un’arte fuori dalla classicità contemporanea, controcorrente ed innovativa. Naturalmente furono criticati per questo, ma loro perseverarono in quello in cui credevano, tanto che il palazzo della secessione Viennese progettato dal giovane architetto Joseph Maria Olbrich fu deriso, sbeffeggiato e paragonato ad “un gabinetto”. Oggi è il museo più visitato a Vienna!

Se vuoi, adesso tocca a te, le regole sono le stesse: Chi? Come? Dove? Quando ? Perchè? Sarò felice di ospitarti sul blog.

Bacioni nonna Lella

Mi piacerebbe parlare di questo libro con una mia amica, senza rivelargliene la trama, senza insistere sui personaggi principali, senza calcare la mano sulle evidenze. Mi piacerebbe dirle: “ È bello, leggilo, poi ne parliamo”.

Mi piacerebbe che anche alla mia amica piacesse riflettere su quello che ha letto e le venisse voglia di commentare, discuterne, di approfondire, di raccontarmi in quali punti del romanzo si è sentita completamente estranea o al contrario coinvolta. Quando ha sentito quella scossa che le ha fatto fare un salto, un salto che l’ha portata più avanti, o quando si è vergognata di appartenere alla razza umana.

Sono questi tipi di romanzi che mi fanno venire voglia di scriverne, condividerne i contenuti e soprattutto di conoscere che effetto abbiano fatto a voi. Mi piacerebbe farvi venire voglia di leggerlo e se lo avete già letto mi piacerebbe leggere i vostri commenti.

Portare… Farsi portare… Essere dentro… Sentire… La Mazzantini ci accompagna nel suo romanzo che è una storia di guerra e di amore, un amore strano e imperfetto da sembrare vero, è un presentarci etnie diverse, farcele conoscere quando vivevano in pace fra di loro, e dopo, durante la guerra . Molte volte, leggendo questo bel romanzo: “venuto al mondo” l’emozione mi è salita da dentro e si è fermata in gola formando un nodo che mi impediva di deglutire. I pensieri invece correvano veloci e scuri: terribile, atroce, angosciante, disumano. La Mazzantini mi ha portato in guerra, mi sono sentita in guerra, una guerra di cui avevo già letto e seguito in tv, una guerra che se pur vicina mi aveva trovata distante. Solo qualche zingara con la sua nenia: “ Vengo da Bosnia… aiutatemi” mi aveva fatto vergognare di non fare nulla.

Gemma è la protagonista di questa storia che si intreccia più volte: il presente con il passato, Roma con Serajevo. I mariti con gli amici, i tempi di pace con i tempi di guerra. Si affanna, lavora, si innamora appassionatamente di Diego, fotografo scapestrato; lo troveremo vivo e attivo sotto il tiro degli snipe a Serajevo e depresso a Roma con una scatoletta di tonno che ha fotografato per tutto il giorno. Poi… per Gemma… quella maternità sofferta, cercata a tutti i costi. E si troverà di nuovo sola e disperata, ma un uomo dell’Arma la proteggerà. In questo romanzo le persone anziane sono pennellate lievemente, senza eccessi, senza protagonismi, pennellate che comunque lasciano il segno. Mi sono commossa pensando al senso di colpa di una donna anziana che era ancora viva, quando tanti bambini erano già morti. Quando un anziano signore, dopo essersi vestito di tutto punto si è incamminato verso la sua università; il rispetto della moglie nei confronti della sua decisione, la loro complicità, il loro amore. Il romanzo, nonostante la guerra e tantissimi morti è pieno di amore, quasi a pareggiare i conti. I pensieri di Gemma, le riflessioni, i segreti, quello che vorrebbe dire, fanno da cassa armonica a tutto il racconto che prende un respiro o un affanno diverso ad ogni nuova situazione. È questo e molto altro il romanzo della Mazzantini che fino alle ultime pagine ti sorprende.

Più che un riassunto ho voluto raccontare cosa suscita questo romanzo, cosa ti lascia, le frasi che non vorresti dimenticare, le situazioni che mai avresti pensato di vivere e quelle che invece pur non appartenendoti ti fanno riflettere. Possibilità nuove, fuori dai tuoi orizzonti. Mi si è aggiunto un pezzo di mondo.

Dalla quarta di copertina:

Una mattina Gemma lascia a terra la sua vita ordinaria e sale su un aereo, trascinandosi dietro un figlio, Pietro, un ragazzo di 16 anni………