Vai al contenuto

8

La via Biringhello era di razza contadina, si allungava scavata nei campi, anonima, quieta, all’apparenza deserta. Ma come i contadini anche lei nascondeva un sacco di segreti. La rivedo ancora, un po’ sbilenca, e piena di sassi, se  c’era il sole  la polvere sbiadiva il verde ai suoi lati per riprendere brillantezza poco più in là. Se invece pioveva le buche si allagavano  formando un mare d’acqua che persisteva a lungo, per questo i Rhodensi l’ hanno soprannominata: ” Il Mar di Biringhello”. Ci sono ancora oggi degli anziani che per sottolineare il fatto che non andranno in ferie dicono: “Andremo al mar di Biringhello”.

La strada era una scusa, un mezzo, un punto di partenza dal quale ti potevi aspettare di tutto. Bastava costeggiare la cinta del campo sportivo, poco distante,  per scovare fra l’erba alta i ricci. Bastava che i contadini alzassero le chiuse dei canaletti per irrigare i campi che subito i tuoi piedi si tuffavano in quell’acqua gelida che ti trascinava e dovevi tenerti ben salda. Bastava che qualcuno scovasse l’erba che suona per sbizzarrirti in un concerto improvvisato, oppure tutti a buttarsi in quella macchia color violetto per succhiare l’attacco di quei  fiorellini dolcissimi. C’era l’erba che masticandola sapeva di limone, l’ortica che bruciava, altre che infilate nella schiena facevano il solletico. Raccoglievamo margherite, viole e gigliucci, passavamo ore e ore alla ricerca di un quadrifoglio. Più comuni invece i soffioni del tarassaco, che usavamo per soffiarceli l’un con l’altra. A volte l’erba era tanto alta da potercisi nascondere, oppure eravamo piccoli noi, non so!

In quell’intrico di erba, rametti e arbusti, a lato di strada, scorgevamo nidi e formicai, salvavamo gattini abbandonati, e portavamo a casa piccoli di merlo che nutrivamo con carne trita e pezzettini di frutta.

Oltre alle macchine agricole, in Via Biringhello  ci passava il carretto dei gelati che per annunciarsi  suonava il campanello, e noi, tutti a casa, per farci dare cinquanta lire, poi eravamo tutti attorno al carrettino ad aspettare il nostro turno, allungavamo il collo ogni volta che il gelataio alzava il coperchio per affondare la paletta nella panna o nel cioccolato, richiudeva per non farlo sciogliere  e dopo aver riempito un cono passava a prepararne  un altro, e noi sempre li ha sbavare, a controllare che il nostro cono fosse grande come quello degli altri. Pedalando  era arrivato il gelataio vestito di bianco e pedalando proseguiva verso la frazione di Biringhello.

Sulla via Biringhello c’erano poche villette ma quando altri uomini  passavano le donne spuntavano improvvise a farsi molare i coltelli e le forbici dall’arrotino che era vestito di nero. Anche noi accorrevamo e ci fermavamo incantati a guardare la mola che girava e affilando i coltelli spruzzava acqua.

Arrivava un furgoncino con stoffe, calze, fazzoletti e abiti; e di nuovo tutti in strada a mercanteggiare sul prezzo di una camicia,  a ridere del colore di un vestito, a saltare sul furgone!

La strada era la nostra pista per correre, i suoi bordi ci servivano da trampolino di lancio, le sue buche erano ostacoli da saltare, i sassi macigni da spostare, i rospi mostri da sconfiggere. Le ampie pozzanghere ancora scure per l’umidità ma già segnate dalle crepe ci fornivano del fango fantastico per farci di tutto. Eravamo sempre o  impolverati o  infangati, con le ginocchia sbucciate, gli abiti  sbrindellati e il moccico al naso. Eravamo felici e non lo sapevamo!

Poi… molto poi… hanno asfaltato la via Biringhello e quando piove  resta ancora allagata! Questione di pendenze? di scarichi? non si sa!

Ieri ho raccontato a mia nipotina la storia del Mar di Biringhello e comunque, il primo giorno di pioggia la porterò a conoscere questo specialissimo mare!I


7

La signora Narrini  ci aveva pensato un po’ prima di suonare il campanello degli Astoni.

La sua amica Franchina, che prima di lei si era sposata, che prima di lei aveva arredato casa e proprio  un anno prima di lei aveva avuto una bambina,  l’aveva messa in guardia su tre cose fondamentali: mai  un pavimento in marmo, mai portare di notte  nel lettone tuo figlio se piange, mai familiarizzare con i vicini di pianerottolo.

Nei primi sei mesi di vicinato gli Astoni si erano limitati al:“Buon giorno e buona sera”, come del resto avevano fatto loro, i Narrini. Qualche parola di più nei mesi successivi incontrandosi nel viale del condomino o aspettando l’ascensore per salire poi insieme all’ottavo piano, I Narrini con il figlio piccolo in braccio, gli Astoni col cane grande al guinzaglio.

La Signora Narrini  non si preoccupava più quando sentiva aprirsi e chiudersi la porta dell’ascensore dopo la mezzanotte, sapeva che il suo vicino di pianerottolo  aveva portato fuori il cane per l’ultima passeggiatina; quella mattutina invece, toccava alla moglie, prima di andare in ufficio.

Non c’erano in realtà molte occasioni d’incontro ma…dalle pareti che dividevano i due appartamenti  l’atmosfera traspariva serena: mai un litigio, mai alzate di voci, solo il povero Ringo veniva redarguito se abbaiava.

La Signora Narrini pensava che fosse un vero peccato non familiarizzare con i suoi vicini che le sembravano così educati, per esempio, se ci fosse stata più confidenza fra di loro adesso avrebbe potuto portagli il risotto di pesce avanzato per Ringo, era un vero peccato buttarlo. Pensava anche che forse la sua amica Franchina fosse stata meno fortunata di lei con i vicini di pianerottolo e che si poteva provare a fare un primo passo. Certo il Signor Astoni aveva una corporatura massiccia e un barbone nero che un poco di soggezione la metteva. Si augurava per tanto che ad aprirle la porta fosse la Signora.

“Buona sera” disse lui, e subito lo sguardo si posò sul tegame che lei teneva con entrambe le mani.

“Buona sera” rispose lei incerta e cominciò a spiegare “Abbiamo avanzato del risotto di pesce e… pensavo che per Ringo potrebbe andrebbe bene, sa…per non farlo andare sprecato, sarebbe un vero peccato.

“Ma… è di oggi?” aveva cominciato a chiedere lui.

” Si si, è la cena di questa sera”.

“Ma… è un avanzo dei piatti” continuava ad indagare lui.

La Signora Narrini già pensava di aver fatto male a suonare il campanello dei vicini, e quante storie faceva.

“No, non è un avanzo dei piatti ” rispose un po’ imbarazzata, quello nei nostri piatti lo abbiamo  mangiato tutto, è che ho esagerato con le dosi e questo è quello che è avanzato”.

Seguì un attimo di silenzio, l’una difronte all’altro, lei che in piedi sullo zerbino  reggeva sempre  il suo tegame e attendeva una risposta. Lui, titubante non si decideva a risponderle. Poi tolse  lo sguardo dal tegame e guardandola  finalmente in faccia disse tutto d’un fiato:” Ma… mi scusi Signora, non lo posso mangiare io?”.