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Domenica 15-10-2023 Lissone. Lo spettacolo teatrale, dal titolo “Impossibile!! del senno di poi ne son piene le fosse” è stato una piacevole sorpresa. Il testo e la regia di Irene Carossia ci fanno conoscere un Alessandro Manzoni inedito, direttamente nel suo studio, alle prese con sua madre. Una casa oramai museo dove madre e figlio esistono come fantasmi. Tre visitatrici non troppo convinte seguono la loro guida in casa Manzoni. Mi ha molto colpita, al di là della bravura recitativa, un sottotesto mimico sorprendente, i personaggi in visita si sentono fisicamente addosso i fantasmi, recitano di fronte a loro e si capisce benissimo che non li vedono, inseguono penne d’oca che volano, e in tutto questo gioco ironico, emergono le realtà di Manzoni bambino, frustrato dai compagni di scuola, un Manzoni che anche adulto non riesce ad uscire di casa da solo. Un Manzoni pieno di problemi, e la madre li sottolinea tutti, non gli dà tregua, lo mette di fronte alle sue debolezze, ma la guida, innamorata di Manzoni… allora succede che… Un riassunto facile da scrivere ma è solo da seduti in poltrona che si apprezza la bravura di Irene Carossia nei panni di Giulia Beccaria quando recita, nel suo incalzare o modulare diversamente il tono di voce, quando volteggia nell’ abito elegante, e nella gestualità precisa. È sempre dalla platea che vediamo Danilo Duroni, Alessandro Manzoni, che mano a mano che gli cadono addosso rimproveri si rimpicciolisce, si chiude, china il capo fino a sprofondare sulla scrivania. È osservando il palcoscenico che notiamo le altre attrici: Giulia Leoni, Eleonora Pozzi e Stefania Venezian, visitatrici del museo, che occupano metà della scena a volte senza dire una battuta o semplicemente frapponendosi agli altri attori. Poi Luisa Caglio, che esprime il suo amore per Alessandro Manzoni con naturalezza disarmante. È sul palcoscenico che il variare delle luci ci guida, è la musica che si diffonde in sala che ci accompagna per tutta la pièce teatrale nella magia del teatro. Uno spettacolo particolare che è piaciuto molto, anche ai giovani presenti in sala. E… anche il povero Alessandro Manzoni, alla fine ha avuto la sua rivincita. Complimenti a tutti. IMPOSSIBILE!!… del senno di poi ne sono piene le fosse. Testo e regia Irene Carossia Compagnia Stabile Carossia Costumi: Anna Maria Mazzoni. Audio e luci: Lorenzo Rivolta. Art: Marina Ferrari

Un filo di panni stesi ci ha accolto al termine dei gradini che ci portavano sull’ampio spazio del teatro di Epidauro, proprio all’altezza del viso; liberata la visuale spostando un asciugamano, sono rimasta allibita: un accampamento di poche roulotte, tendina canadese e camioncino occupava lo spazio retrostante il palcoscenico e… c’era anche un carro funebre un po’ vecchiotto e mal messo, come tutto il resto. Dopo un attimo di sbigottimento nel quale ho pensato: gli attori forse dormono qui, ma… il carro funebre? Poi all’improvviso ho capito: Alcesti muore all’inizio della tragedia greca di Euripide, e noi eravamo nel pieno dell’arco scenico, spostando l’asciugamano che inizialmente ci copriva la visuale, era come se avessimo aperto il sipario di velluto del teatro, eravamo entrati direttamente nella tragedia.

Con il nostro cuscino sotto braccio, ci siamo inerpicati nella cavea dell’anfiteatro cercando i numeri 10 e 11 relativi ai nostri biglietti, l’impresa sarebbe stata impossibile senza l’aiuto delle numerosissime maschere, fra l’altro gentilissime. Con notevole anticipo sull’inizio dello spettacolo, l’anfiteatro si presentava vuoto, imponente, e di un’eleganza essenziale. Le gradinate ricavate scavando sul lato ovest del monte Kynortio erano ancora illuminate e rimandavano un immagine di grandiosità. Poi, piano piano ( siga’ siga’) come si dice qui in Grecia, una miriade di spettatori hanno oscurato le gradinate coprendole di colori, di movimenti di voci e di zainetti. Vecchi, giovani, uomini, donne, bambini e bambine, coppie, singoli e gruppi di diverse nazionalità hanno occupato quasi totalmente i 15.000 posti di questo gioiello, dichiarato patrimonio dell’umanità.

Ridotta ai minimi termini, la tragedia “Alcesti” potrebbe suonare così: il dio Apollo è condannato da Zeus a servire come schiavo Admeto, re di Fere. Quando Apollo scoprirà che il suo re dovrà morire farà di tutto per evitarlo, e ottiene dalle Moire la sua vita a patto che qualcun altro muoia al posto suo. Non trovandosi volontari, la moglie Alcesti si sacrifica per lui. Poi Eracle, che passa di li durante le sue famose dodici fatiche, non capisce subito la portata della tragedia e quando in fine viene messo al corrente che il funerale appena svolto era quello della regina Alcesti, si pente della sua ilarità e delle sue bevute di vino, così cerca di rimediare e sempre tramite le Moire fa rivivere Alcesti.

Si è fatto buio, i tabelloni laterali illuminandosi indicano il titolo della tragedia e per tutta la durata dello spettacolo si susseguirà la traduzione simultanea in greco e in inglese, mentre gli attori reciteranno in tedesco! Panico, non lo sapevamo e noi conosciamo solo l’italiano e il francese, meno male che ci siamo letti prima la storia, ripetutamente, per capirla e gustarla meglio. Sul palcoscenico, da solo, il re di Fere recita, non ci sono scene, il costume è minimalista, non c’è musica e una sola luce lo illumina, ma… sono attentissima, pur non capendo nemmeno una parola mi rendo conto della disperazione di Admeto che perderà la sua sposa, è accasciato e piagnucola, poi si rialza e impreca camminando convulsamente, i toni, il volume cambiano in continuazione, si capisce che è un uomo distrutto. Intanto Thanos, la morte, attende nel carro funebre con la bara che sporge e i fari accesi. Prima di andarsene Alcesti saluta affettuosamente i figli che le sono corsi incontro sul palcoscenico uscendo di corsa dalla roulotte illuminata, sono vestiti di bianco e frenandosi ai piedi della madre sollevano un grosso polverone che illuminato dai proiettori sarà parte integrante per molte scene. Sulla stessa polvere Alceste ed Almeno, dopo che la domestica ha riaccompagnato i bimbi in roulotte si rotolano amandosi per l’ultima volta, poi lei balla accompagnata dalla musica e si dirige al carro funebre entrando nella bara. Un coro in sottofondo, e delle enormi lettere proiettate fino agli alberi dietro le roulotte immagino traducano una frase che avevo letto precedentemente: “il morto giace il vivo si dà pace”. A questo punto arriva il padre di Admeto con la valigia che porta il vestito per la morta, viene aggredito a male parole dal figlio che non gli perdona di non essersi sacrificato per lui e di conseguenza lo accusa della morte di Alcesti. Volano le uniche due sedie di plastica in scena a interpretare la rabbia e la violenza. Il padre non si scompone e gli risponde per le rime (non so cosa, ma cercherò di documentarmi) lo scontro generazionale è sempre interessante.

Irruento e chiassoso irrompe provvidenziale nella scena vuota l’ospite Eracle, reduce dalle sue famose 12 fatiche, equipaggiato di enorme zaino con attaccato di tutto, di cappellaccio da esploratore e scarponi da alpinista; ha un vocione tuonante e quello che dice fa ridere il pubblico. È accolto festosamente dalla famiglia ma notando comunque la tristezza del padrone di casa, gli viene detto, per non turbarlo che si è appena seppellita una persona di famiglia non consanguinea . Eracle continua così la sua allegria e le sue bevute, finché non viene messo al corrente dalla cameriera che è la moglie del re che è morta. Silenzio, Eracle si muove circospetto, sembra pentito e vuol rimediare, si libera dello zaino cammina piano, pensoso, poi bofonchia qualche frase fra sé e sé, ma se pure l’acustica è perfetta e si capisce chiaramente il suo discorso non è necessaria la traduzione: la mimica del volto e del corpo, il tono e il volume della voce, le pause interrogative e la gestualità, fanno di Eracle un attore perfetto, come del resto tutto il resto della compagnia. Di nuovo il coro e sul palcoscenico Admeto, con l’aiuto dei figli cerca maldestramente di distribuire su di uno stendino la biancheria bagnata, le roulotte sul fondo sono illuminate e Thanos cerca con una pila puntata nel motore, di trovare il motivo per cui non riesce a partire, è stato con la testa nel motore a trafficare, da quando Alcesti è entrata nella bara. E mentre il pubblico è concentrato sul bucato che viene steso, una grossa nuvola rossa avvolge il carro funebre, che solo inizialmente copre Eracle che sposta verso il palcoscenico una impalcatura coperta da un pesante drappo. Eracle aveva contattato le Moire ed era riuscito a riavere viva Alcesti che però non avrebbe parlato per altri tre giorni e ora era lì, al centro del palcoscenico davanti ad Admeto e gli offriva questa donna, che diceva di aver vinto al gioco delle carte. “ non se ne parla nemmeno” dice Admeto, “ho promesso ad Alcesti che non avrei avuto mai altra donna all’infuori di Lei”. Ma dai… non fare così… dalle solo un’occhiatina. E sotto il drappo Admeto scopre Alcesti.

Le chiamate del pubblico per applaudire gli attori sono state molte, intense e meritate anche da parte nostra che non abbiamo capito una sola parola. Merito senz’altro della magia del teatro.

Imbocchiamo a ritroso la strada per lasciare il teatro, mi giro e con noi una marea di gente ondeggia in discesa e penso agli antichi Greci che per così tanti anni hanno calpestato gli stessi gradini e forse come me hanno pensato alle inevitabili considerazioni e dubbi di questa tragedia: Thanos, la morte,che è accomodante ma implacabile nell’esigere una vita, una qualsiasi, tanto lì lo sa che prima o poi toccherà a tutti. Molti di noi però si comportano come se dovessero vivere in eterno. Il granitico amore materno, che in questo caso fa difetto: Alcesti abbandona i figli, ma alle madri, da sempre si è chiesto troppo. Avere le conoscenze giuste: un ospite amico come Eracle che ti risolve i problemi non è da tutti averlo. Un padre solo, incapace di gestire i figli… e anche il bucato. E in fine sulla trama penso che molte donne oggi avrebbero da ridire: sacrificarsi e morire per amore, vincere una donna al gioco delle carte… più che ad una tragedia penserebbero ad una farsa, e poi spero che vorranno tenere presente che la tragedia in questione è stata scritta da Euripide nel 438 a.C. Che però, sommati ai nostri 2022 d.C. fanno 2460, ebbene dopo tutto questo tempo per alcuni uomini non è cambiato molto visto che considerano ancora le donne oggetti di loro proprietà.

Adesso però devo stare attenta a dove appoggio i piedi, questi gradini sono alti, alcuni sconnessi ed altri sbeccati. Ci avviamo all’immenso parcheggio, saliamo in macchia per rientrare, ci perdiamo e ci mettiamo due ore anziché una, una vera tragedia greca. Due al prezzo di una.





Ammetto di essere  un’ammiratrice di  Mirandolina: non solo donna affascinante e piena di femminilità ma anche capace locandiera e pratica calcolatrice. Goldoni la circonda di uomini che la desiderano  e lei li sfugge ma… accetta di buon grado i loro regali. E per quell’uomo  che dice di ignorarla  tesserà una sottile ragnatela nella quale resterà invischiato. Donna libera e scaltra, anche in amore dimostrerà  coerenza, scegliendo come sposo il fedele servitore.

La Locandiera è una brillante  commedia comica in cui gli attori parlano sinceramente  rivolti  al pubblico ma sulla scena, fra di loro, fingono, fanno la commedia! Come accade nella vita vera! Ed è per questo che i personaggi di Goldoni appaiono così umanamente genuini.

Una commedia così la si risente sempre volentieri.

Il 12 gennaio, a Magenta presso il Teatro Lirico, la produzione Teatripossibili ne ha offerta una versione moderna. Un tripudio di plastica e colori: Mirandolina portava i pantaloni rossi molto attillati, il conte squattrinato sfoggiava una giacca verde pisello e… il macio che odiava le donne indossava un giubbotto nero. Moderno anche l’arredamento della locanda e le musiche. La regia di Corrado D’Elia mi ha subito conquistata. Ed anche la bravura di Mirandolina interpretata da Monica Faggiani e di tutti gli altri attori: Edoardo Ribatto, Alessandro Castellucci, Gustavo la Volpe, Bruno Viola, Andrea Ribaldi, Andrea Coppone.

La commedia è veloce, incalzante, a tratti, e improvvisamente, un vuoto in palcoscenico, riempito dal buio e dalla musica in crescendo. Una mancanza per avere del tempo, il tempo in cui il pubblico è attivo nell’immaginare, proprio come nella lettura, quando una pagina  con delle lettere nere riesce a trasportarti nel mondo dell’immaginazione.

E’ stata una Locandiera moderna e brillante in tutti i sensi. Da sentire, vedere, immaginare.