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Quando nel 1968 Dario Fo scrisse il testo della canzone cantata da Jannacci: Ho visto un re, tutti i protagonisti piangono per le disgrazie che gli capitano, solo il villano non piange, anzi ridacchia perché sempre allegri bisogna stare. Naturalmente Dario Fo da sottile autore ci spiegherà tutte le implicazioni per cui, il più povero, il più modesto, il più colpito dalle disgrazie debba ridere. L’ingiustizia è il nocciolo di questo testo e l’esilarante ironia ne fa un capolavoro. Ed è a questa canzone che ho pensato quando il C.V. ci ha colpiti tutti, anche se in questo caso c’è poco da ridere. Ma il coinvolgimento totale: dai re ai cardinali, dai politici ai calciatori, dai medici agli infermieri, dai cittadini comuni ai più diseredati ci ha resi uguali davanti al C.V. È cosa facciamo noi? Noi che non abbiamo affossato la ricerca. Noi che non siamo e non eravamo i responsabili della sanità quando era il momento di adeguare gli ospedali alla preannunciata pandemia. Noi che non abbiamo tagliato i fondi alla sanità negli anni precedenti. Noi che non abbiamo sminuito il lavoro del nostro medico di famiglia. Noi che non abbiamo deciso di non assumere più i medici e infermieri quando andavano in pensione. Noi che non abbiamo rubato, che non siamo in politica e nemmeno imprenditori compromessi con loro. Noi cosa facciamo oltre a constatare la tragedia della situazione. Noi facciamo come il villano di Dario Fo: noi ridiamo, anche se c’è poco da ridere. Perché ridere ci aiuta, sdrammatizza, e fa bene anche al sistema immunitario. Facciamo quello che possiamo, ci aiutiamo da soli ridendo di una vignetta sul C.V. arrivata sul telefonino. La cosa è assurda, irreale, irriverente, persino oscena se solo pensiamo alle vittime. Invece noi pensiamo di fare ridere un amico inviandogliela subito. Quegli attimi immobili davanti a un video e alla fine quella risata liberatoria, quell’allentare la tensione, quel pensare ad altro per pochi secondi. È passato di tutto sotto i nostri occhi: frasi, video, fotomontaggio, non si è salvato nessuno: dall’arte, con Monnalisa ingrassata, ai soliti carabinieri, ai vecchietti, ai bimbi, al sesso, ai politici. Abbiamo sentito i dialetti di mezza Italia declamare filastrocche o barzellette, la fantasia degli italiani si è scatenata a chi la sparava più bella. C’è poco da ridere è vero, non me ne voglia nessuno, ma, ridere è una prerogativa umana, ne hanno scritto e parlato filosofi, sia nell’antichità che in tempi moderni. Pasquino, la statua parlante, a Roma per denunciare le malefatte papali e non solo, con la sua satira in versi colpiva i potenti e faceva ridere il popolo. Ridere è una terapia, una sonora risata può diventare contagiosa, e certe volte si ride fino alle lacrime, il solletico è la passione di molti e la disperazione di altri. Cominciamo presto, il sorriso del neonato ci fa letteralmente sciogliere Ma… c’è poco da ridere. Questa pandemia ci costringe, ci isola, ci limita, ci condiziona nel nostro privato e ci angoscia collettivamente. Non è solo la televisione con le notizie da tutto il mondo, no, lo percepiamo vicino a noi: in condominio, in fondo alla nostra via, nel nostro rione e comune, persone che conosciamo, i nostri cari in famiglia e quelli lontani per cui non possiamo fare niente. Purtroppo è toccato a quasi tutti. Per sentirci più vicini ci telefoniamo, ci messaggiamo, ci inviamo vignette e ridiamo, anche se… c’è poco da ridere. Così i giorni passano, la clausura avvilisce, il risultato del tampone che non arriva logora e ci aiutiamo da soli, attaccandoci a tutto, anche ai ricordi dell’infanzia quando a farci ridere era il signor Bonaventura, così mio fratello Luciano, in isolamento da una vita, si mette nei panni del Signor Bonaventura e racconta la sua disavventura con sagacia ed ironia. A me è piaciuta molto perciò la prendo in prestito è la pubblico qui col suo permesso a beneficio dei lettori, perché se è vero, come è vero, che non ci sia molto da ridere è anche vero che una sana risata non può che far bene. Qui comincia la sventura del signor Bonaventura: l’ospedal che l’ha operato, l’ha col Covid contagiato! Di controllo fa il tampone ma cocente delusione, non gli danno il risultato, ..va su internet cercato! .. e continua la sventura del signor Bonaventura che non trova, con sconcerto traccia alcuna del referto! Sembra proprio sia sparito! Di sicuro, è garantito, Il nemico dichiarato, BARBARICCIA l’ha involato! Il malvagio, è questo il fatto, si diverte come un matto, e il referto renderà solo quando gli parrà. Ma che ha fatto quel malnato?! Il responso gli ha cambiato! Lo sperato negativo ha mutato in positivo! Il signor Bonaventura giallo per la gran paura, per uscire di prigione ..PAGHEREBBE LUI IL MILIONE!! Epilogo (26/11/2020) Si conclude l’avventura del signor Bonaventura: Or che un mese è già passato, lui guarito e’ giudicato: pur se l’ultimo tampone non da ancor notizie buone, tosse e febbre non ci sono! Vale cio’ un MILIONE buono! Luciano (a imitazione di Sergio Tofano)

Il 27 Dicembre 1947, 70 anni fa, avveniva la promulgazione della Costituzione della Repubblica Italiana. Che sorpresa, che onorelo avevo conosciuto attraverso le pagine di Repubblica e ascoltato nella trasmissione Babele e adesso era lì davanti a me. Ma come è stato possibile!? Una sera, esattamente il 14 novembre, mentre ascoltavo la musica di Piovani ed ero comodamente seduta in poltrona un fascio di luce illuminava la prima pagina del suo libro che tenevo sulle gambe. Sono bastate poche righe e il tono confidenziale della sua scrittura mi ha affascinata. Come se mi fosse seduto accanto e cominciasse il suo discorso scusandosi per averlo scritto, questo libro… forse lo si sarebbe preso per un esibizionista o, ancora peggio, avrebbe corso il rischio di essere noioso…ma la tentazione di raccontare, mi confidava, era stata forte e aveva dovuto seguirla. Continuavo a leggere rapita da tanta spontanetà e già pensavo:Ma figuriamoci, Corrado Augias noioso, esibizionista? Mi veniva voglia di incoraggiarlo: “su… su… non faccia così, una persona a modo come lei, con la sua esperienza, cultura e capacità professionale può solo far bene” Avevo ragione! Il suo ultimo libro intitolato “Questa nostra Italia-luoghi del cuore e della memoria” è uno di quei libri di cui, una volta aperti, non vorresti mai interromperne la lettura. Parla delle città italiane, ripercorre la loro storia, racconta dei tesori d’arte e con la convivialità che lo contraddistingue ci fa partecipi dei suoi ricordi d’infanzia legati al dopoguerra. La storia con la esse maiuscola è sempre ben documentata con dovizie di date, nomi e fatti. Si parla molto d’Italia, di Italiani e di concetto di patria. Scrive a un certo punto, come ad interrompere il discorso, un capitolo dal titolo: “A tavola!” Ma è sempre d Italia e di Italiani che si parla, delle loro diversità e delle loro varie ricchezze. Ho preso un sacco di appunti prima di scrivere questo pezzo: Torino la misteriosa, Milano e Giorgio Gaber, Venezia e il Bucintoro, Trieste, Gorizia e qui l’autore non manca di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Genova con i suoi cantautori. Riporta una lettera di Leopardi inviata al padre a Recanati in cui è chiaro il suo sconcerto per gli intellettuali romani di quell’epoca. Approccia Firenze nel 1865-1870 quando è stata capitale del Regno d’Italia, prosegue con Machiavelli e tutti i suoi altri Grandi. Un capitolo è dedicato alle città umbre, ai suoi boschi e colline. C’è la Bologna turrita di Giosuè Carducci e tutto quello che la città ha valorizzato; Augias la confronta con Roma, che non ha saputo fare altrettanto. Non mancano pagine sulle stagioni dei cambiamenti: nell’editoria l’avvento di Rai 3 e del quotidiano la Repubblica, gli anni 60, il Vietnam, la liberazione delle donne e molti altri avvenimenti. Infine: Rimpianti e nostalgie anche per persone e luoghi di cui non ha parlato. Non mancano foto e un nostalgico profumo di bachelite. Insomma, tutti appunti che non è il caso che approfondisca perchè Corrado Augias nelle 343 pagine di “Questa nostra Italia” assolve egregiamente a questo compito dopo aver consultato documenti, visitato città, musei, chiese, e aver letto libri per tutta la sua lunga vita. Riporto solo dal testo poche righe a proposito di Palermo e Napoli ” Anche Palermo, come Napoli, è definita dalla contraddizione. Le due vecchie capitali del regno borbonico in questo sono uguali o meglio: sembrano uguali perchè in realtà le rispettive contraddizioni sono diverse…”. Riporto anche dalla quarta di copertina: Perché possiamo dirci italiani? A settant’anni dalla firma della Costituzione, Corrado Augias compie un viaggio nei luoghi della nostra memoria collettiva e in quelli del suo cuore. E scrive il suo libro più personale. Un’opera civile e insieme intima, che scava alla ricerca di un’identità le cui radici affondano nei mille diversi volti di un paese grande,bellissimo e tormentato. Ecco, se anche a voi, come a me, piacciono la storia, la geografia, l’arte , la musica, la letteratura e volete passare qualche serata con Corrado Augias non dovete fare altro che leggere il suo ultimo libro “Questa nostra Italia-luoghi del cuore e della memoria” Sappiatemi dire se vi è piaciuto

Non ha certo bisogno di presentazioni Gian Antonio Stella , e quando nel 2005 ha pubblicato: Il maestro magro, come per  molte altre  novità non mi sono precipitata a leggerlo anche  perché mi era sfuggito che non si trattasse di politica.

Il maestro magro visto sotto questa nuova luce di romanzo mi ha intrigata e le quattro righe in prima di copertina hanno fatto il resto. Si aggiunga poi il suggerimento della rubrica radiofonica: Il bel vizio di leggere. A questo punto le aspettative che riponevo in questo romanzo erano molte e… sono state ampiamente soddisfatte. Non è a mio avviso solo un  romanzo, sono tantissimi racconti sapientemente intrecciati tra di loro con una scrittura scorrevole e suggestiva.

L’incontro  dei due  protagonisti: Osto siciliano e Ines veneta, non sono che l’inizio di una carrellata di persone che si dipanano dal sud al nord  nell’Italia del dopo guerra.

Tra gli anni  cinquanta e sessanta, si viaggia molto in treno, con valige di cartone, si mescolano non solo  odori di aglio e  pecorino, dialetti e fisionomie, ma anche  modi diversi di vivere e pensare.

Un’ umanità variegata si sposta dalle sue terre d’origine alla ricerca di speranze e  pane. Arrivano dal Veneto  gli sfollati del Polesine e  dal sud altri disperati cercano lavoro al nord.

Non sarà difficile per quelli che hanno vissuto quegli anni riconoscere nei  propri vicini di casa quegli  sfollati o i compagni di scuola meridionali e…  maestri di scuola  siciliani.

Per i giovani invece potrà essere la scoperta di un’Italia poverissima, ma piena di entusiasmo, che trova via via, fino al bum degli anni sessanta, la voglia di riscatto e di benessere.

E’ in questa cornice che il maestro  Ariosto Aliquò detto Osto, deve man mano prendere decisioni, affrontare problemi, ascoltare miserie umane e sorridere anche per situazioni inverosimili.

La sua compagna Ines è una donna forte, temprata dalle vicissitudini della vita che fin da giovane l’hanno resa vedova di guerra con un figlio da crescere. E’ anche ironica e il suo imprecare in veneto o l’apostrofare il marito con il nomignolo “Moro” la rendono simpatica.

La tenerezza del loro amore è a prova dell’ignoranza e del bigottismo altrui.

Convivono in questo romanzo oltre a camorristi e preti infingardi anche  medici ruffiani e assassini col mal di denti,  un albero di carrubo dei giardini di  Naxos e il profumo dei dollari californiani. Troviamo venditori di illusioni e un  guardiano di faro che chissà perché non dipinge mai il mare e il cielo.

Ogni capitolo è una  miniera di aneddoti, situazioni e personaggi. E… proprio uno di questi, permetterà ai racconti vari, paradossalmente veri, di diventare nel finale  un autentico romanzo.

Il più delle volte, le nostre aspettative ci tirano brutti scherzi, lasciandoci delusi e insoddisfatti, questa volta è andata bene!