Fra i libri che mi hanno regalato le amiche per il mio compleanno, mi fa piacere segnalarvi: Ines dell’anima mia di Isabella Allende, una storia vera che l’autrice ha ricostruito in 4 anni di ricerche storiche. La protagonista Ines parteciperà alla conquista del Cile con altri condottieri nel 1580, partendo dalla Spagna per fondare in seguito la prima città cilena Santiago del Cile. È una donna capace di tutto e gli uomini impareranno a rispettarla. Una pagina di storia raccontata al femminile, non per questo priva di atrocità terribili, ma nel contempo con un taglio umano e molto sottile. Una donna protagonista nella Storia. Una donna innamorata, capace di affrontare un mondo decisamente maschilista.
Altro libro che vorrei segnalarvi è: La cuntintizza scritto a due mani da Simonetta Agnello Hornby e sua nipote Costanza Gravina. Un libro leggerissimo, pieno di aneddoti, storie e ricordi di giardini, di terrazzi di cucine e cibi profumatissimi. Durante tutta la lettura, anche se chi legge viene da realtà diverse dalle loro, è tutto un susseguirsi di ricordi, un piacere nel rituffarsi nei profumi della propria infanzia, un gioco alla scoperta di situazioni particolari che ognuno di noi ha vissuto. E sé non fosse stato per le rane che saltano non avrei ricordato Simonetta Agnello e Costanza Gravina con il loro libro: La cuntintizza.
Sono le 11 del mattino e nel porto di Menthana il sole splende e il meltemi si è finalmente affievolito dopo 7 giorni che soffia prepotente. Ora alcune imbarcazioni salpano, altri personaggi si avviano a piedi alle varie spiagge con borse e cappellini. Davanti alla barca Felicità due ragazzine: Eva e Cristina , un maschietto Aris e la nonna (in greco iaia’) Filomena si apprestano a salire a bordo, hanno con loro dei fogli di carta bianchi che una volta piegati e ripiegati a dovere, diventeranno delle rane che saltano. Inizialmente c’è un po’ di confusione: trovare il posto giusto attorno al tavolo nel pozzetto, togliere i fogli di carta dalla cartellina, e poi è stato tutto uno spiegare, fare vedere, provare con loro e poi controllare quando piegavano da soli, ripassare ben le piegature con l’unghia. Le loro voci si accavallano le loro richieste sono pressanti, Filomena chiede la calma ma le sue mani vanno frenetiche ad aiutare Cristina, Eva ed Aris, e ci si mette anche il meltemi che fa volare alcuni fogli. “Adesso pieghiamo per ottenere le zampette, così, bravi, ma il corpo non va ancora bene, lo assottigliamo così”, “così? Va bene?” “ Si, si,” e “la mia rana va bene?” “Si! Si! Siete bravissimi.” Il piano del tavolo brulica confusamente, sembra in movimento, in più il vento fa volare la carta, le mani si destreggiano, piegano, si allungano, schiacciano, i ragazzini sono contenti, la rana prende forma, ma… ancora non salta. Poi, dopo l’ultima piegatura faccio saltare la mia rana e immediatamente anche loro provano, e… assieme gridano per la felicità, loro si agitano, si alzano, le rane saltano da tutte le parti, si incrociano, si scontrano, fanno capriole, cadono dal tavolo, volano per il meltemi, Cristina, Eva ed Aris sono eccitatissimi, non smettono di provare e riprovare, ridono contenti, è un momento di gioia e felicità. Il loro lavoro li ha stupiti e soddisfatti. A questo punto spuntano i pastelli e la fantasia dei ragazzi è impagabile, io mi ero sempre limitata a punteggiare il dorso della rana, loro invece nel colorarle esprimono tutta la loro fantasia.
Insomma tutta questa “ cuntintizza” per me è stata veramente un momento di puro piace, e anche Filomena, la iaia’, se pur sudata, ha un’ espressione contenta. E pensare che abbiamo solo piegato dei fogli di carta.
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Nonna Tina scomparsa col suo mondo
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Portula 14-12-2015
Siamo in macchina, io e mio marito, dalle parti di Biella, come un riflesso penso: Portula, in provincia di Biella. Non ho mai visto dove sono nata. “Dai andiamo a cercare la stazione ferroviaria di Portula, magari trovo il carro merci!” Il navigatore comincia a chiacchierare, Enrico che solitamente non ubbidisce neanche a lui, questa volta segue diligentemente le indicazioni e dopo poco tempo cominciamo a salire. E saliamo ancora. Mi agito, ma non ci sono dubbi, la strada è giusta, abbiamo appena incrociato il cartello comunale che indica la città di Portula. “Ma sei sicura di essere nata in treno? Non vedo binari in giro”. Saliamo ancora ed è chiaro che qua su non esiste nessuna ferrovia. Ma non è possibile che sia una frottola! Mio padre quando voleva zittirmi diceva bonariamente: “ Taci tu, che sei nata su un carro bestiame abbandonato sui binari morti”. E poi c’ è mia cugina Elettra con la storia della cicogna, che quando era arrivata in stazione lei era già volata via e l’ostetrica che dopo il parto aveva detto che il vagone era perfettamente pulito e disinfettato, meglio che in certe case. Sono angosciata, ma si può arrivare a 65 anni e non sapere dove sono nata? Arriviamo in piazza, non c’è ombra di stazione ferroviaria e tanto meno di treni. “Allora… cosa vuoi fare? Torniamo indietro?” “No, non ci posso credere, non può essere una storia inventata, mia nonna non mi avrebbe mai mentito. Fammi andare a chiedere in Comune” “A quest’ ora è chiuso!” Ma devo sapere, devo provare. Devo. Certa che il comune fosse aperto solo perché io ne avevo un disperato bisogno, scendo dalla macchina e mi avvio verso la porta del Comune con il cuore che mi batteva a mille. Abbasso la maniglia e spingo, è aperto! Al di là di un’altra porta a vetri intravedo un’impiegata. Prima di arrivare davanti al banco, mentre lei scrive china sulla scrivania il terrore che mi possa prendere per pazza mi assale. Devo scegliere bene le parole giuste, “Buona sera” esordisco, “ senta, io sono Antonia Mascia e 65 anni fa sono nata qui a Portula però… mia mamma mi ha sempre detto che sono nata su un treno, ma… non c’è nessuna stazione qui a Portula e io… non so cosa pensare… insomma non so dove sono nata, lei non mi potrebbe aiutare?” L’impiegata resta impassibile, mi chiede un documento e dopo averlo controllato si dirige verso un armadio e dopo aver fatto scorrere le grosse ante ne trae un librone, lo porta verso la sua scrivania e comincia a leggere in silenzio, poi mette al corrente anche me, che friggevo dall’impazienza. “Dunque… qui c’è scritto nata nella casa posta in frazione Granero numero 51”. “In una casa a Granero? Al numero 51? Oddio a Granero, mai sentito nominare Granero, mi sembrava di essere uno di quegli impiegati che non capivano mai Portula.” “SI, Granero è una frazione di Portula e lì c’è la stazione , ma adesso non funziona più.” “Oddio, meno male che c’è la stazione” al n. 51, la mia nascita è piena di 5. Dietro di me si materializza Enrico, che finalmente aveva trovato parcheggio, l’impiegata dopo aver dato un’ occhiata veloce al librone lo guarda e chiede: ”il Signor Leoni?” “ Ma c’è scritto anche il suo nome sul certificato?” “Certo, aggiunge lei e, dopo avermi letto parte dell’atto di nascita, cerca altre notizie, ma non ne trova. Io sono elettrizzata e non vedo l’ora di cercare la stazione. Chiedo di poter fotografare il documento ed essendo la persona interessata ricevo dall’impiegata la fotocopia, un bel foglione di 42cm.x 29,5. Ringraziamo ed usciamo in fretta, io col mio certificato in mano, Enrico ancora incredulo del fatto che io abbia trovato il Comune aperto a quell’ora. Fuori è già buio, e io sono in ritardo di 65 anni, devo correre a Granero ma... sento dentro di me un’ immensa gratitudine per l’impiegata che, pur senza farsi coinvolgere era stata molto educata e professionale. Decido di rientrare in Comune per ringraziarla meglio e farle capire come la sua disponibilità sia stata importante per me. Lei per la prima volta accenna ad un sorriso e mi spiega: “È una coincidenza che oggi io sia qui a quest’ora, il Comune dovrebbe essere chiuso, sto registrando l’atto di morte di mia nonna che è appena scomparsa. Finalmente capisco perché prima la sentivo lontana e perché avevo avuto la necessità di tornare da lei, per esprimerle meglio la mia riconoscenza. Mentre mi parlava delle strane combinazioni, della necessità di sopire il proprio dolore, della nostra provvidenziale interruzione, osservo tutti quei particolare che prima non avevo letto in lei. È vestita interamente di nero, in forte contrasto col pallore del viso; il tono della voce ora non è più neutro, ma gli occhi sono un po’ gonfi come prima: tutto in lei avrebbe dovuto farmi pensare ad una persona affranta. Solo ora colgo il suo stato d’animo, e non so comunque cosa dirle, anche se posso immaginare il suo dolore. “Mi dispiace tantissimo, la capisco, anch’io ho avuto una nonna speciale”. Peccato non avere avuto la prontezza di aggiungere, in quel momento, che i ricordi della sua nonna l’avrebbero aiutata. Ci siamo salutate come se ci conoscessimo da tanti anni, entrambe, credo, più leggere, se fra di noi non ci fosse stato il bancone sono certa che ci saremmo abbracciate. Risalgo in macchina e, mentre Enrico si dà da fare per raggiungere Granero, che aveva notato prima di cominciare a salire, io leggo avidamente tutti i particolari scritti sul mio certificato di nascita. “Senti, c’ era anche mio padre. La denuncia di nascita in Comune è stata fatta quattro giorni dopo. Nessuno me lo aveva mai detto, sapevo che lui aveva spedito la mamma e Luciano a Portula e basta. C’è la testimonianza dell’ostetrica che ha assistito al parto e ci sono i nomi dei testimoni dell’atto, due impiegati del comune… senti, senti, sono nata alle 15-30. Elettra era ancora a scuola a quell’ora, per quello non ha visto la cicogna! Sono euforica, contenta e impaziente. Parcheggiamo l’auto davanti al numero civico 51, a destra e a sinistra di questa villa intravediamo nel buio alcuni depositi ferroviari. Si, sono nata qui. Suono il campanello, pensando che mi avrebbero scambiata per una venditrice ambulante, invece sono stati disponibilissimi i due coniugi che ci sono venuti incontro. Gli abbiamo raccontato grosso modo la storia, erano interessati, abbiamo chiacchierato un po’, loro conoscevano un sacco di cose, compreso il nome del capostazione che c’era negli anni 50. Ci siamo salutati con la promessa che saremmo ritornati. Stavo salendo in macchina quando la signora mi ha chiesto: “In che mese è nata?” “A maggio, il 5 Maggio del 50, perché me lo chiede? “ Maggio è un bel mese per nascere qui, c’è il sole tutto il giorno”. Allacciandomi la cintura di sicurezza ho pensato: “cosa voglio sapere di più, sono nata in una bella giornata soleggiata.” Epilogo I ricordi di nonna Tina li ho sempre avuti con me e solo ora ne scrivo, grazie a Sandra, solerte impiegata del comune di Portula, che attraverso il suo dispiacere mi ha fatto capire che anche lei, come me, ha avuto una nonna speciale.L’insegnante della ginnastica dolce
Chissà come sarà questa ginnastica dolce? Per una golosa come me dovrebbe andare bene! Bisogna provare, così mi ritrovo in palestra con altre donne che corrono in tondo, con al centro l’insegnate.
Stabilito che la ginnastica dolce fa al caso mio che sono alquanto arrugginita, il lunedì successivo, nella sala professori che funge da spogliatoio mi unisco alle altre: chiacchiere, presentazioni, cambio di scarpe e abiti.
L’insegnante ci aspetta in palestra ed ha già selezionato un cd con musica degli anni sessanta. Quel che ci vuole per noi che veniamo catapultate nella passata gioventù, il volume del lettore cd non funziona ed è decisamente alto, due asciugamani come copertura ne attenueranno l’intensità.
Inizia il riscaldamento: nonostante siamo un po’ lente e scoordinate, sudiamo, sbuffiamo, ci lamentiamo ma riusciamo lo stesso a chiacchierare; l’insegnante ci incalza e quando è soddisfatta dopo averci lodate ci informa che siamo come un motore diesel: un po’ lente all’inizio ma quando partiamo non ci ferma più nessuno!Continuiamo con entusiasmo, la palestra è luminosa, il pavimento in legno lucido è confortevole, ma quando l’insegnante pronuncia la frase: fronte allo specchio, alcune di noi si lamentano: “Questo specchio è impietoso, guarda li che roba”. Sei metri di specchio ci riflettono: una ventina di donne, chi più chi meno vestite sportivamente, alcune ben pettinate e truccate, altre hanno già i capelli davanti agli occhi e lo sguardo sconvolto per la fatica, chi ansima e chi continua a chiacchierare.“ Sembriamo anche più basse, non è valido”! Ma la nostra insegnante ci rassicura:“ E’ lo specchio che deforma, non preoccupatevi.”
Mercoledì, l’insegnante ci aspetta in palestra e come al solito è sorridente, noi arriviamo alla spicciolata, le novità non mancano, fra di noi c’è una nuova nonna, ma… il paese è piccole e alcune di noi già lo sapevano.
Gli esercizi di riscaldamento non sono sempre gli stessi, le sequenze dei movimenti ci impegnano e finalmente nessuna chiacchiera.
Dopo il riscaldamento, il momento più atteso, tutte sdraiate a terra su di un materassino: vengono spente le luci artificiali e nella penombra il lettore cd che è stato sostituito da uno nuovo diffonde musiche rilassanti, qualche sospiro, qualche respiro profondo, ci godiamo qualche attimo di tregua e poi si ricomincia: “Gamba sinistra piegata a terra, gamba destra tesa in avanti, poi in alto.” Lei spiega a noi come fare gli esercizi mentre li esegue, ci controlla e ci corregge, ma come farà a fare tutto assieme?
Gli esercizi si susseguono, gli addominali sono tosti e ci lasciano ammutolite, altri esercizi apparentemente leggeri li sentiremo un paio di giorni dopo. Lei continua scandendo ad alta voce:“ Insieme, insieme, ancora quattro, ancora tre, due, uno”. Le contestatrici non mancano: “Ma ne abbiamo fatti già 10”, lei sempre sorridendo ma inesorabile prosegue: “Insieme, insieme! Ancora due, ancora uno.”
Il rituale dello snocciolamento della spina dorsale e i due respironi profondi abbinati alla flessione del busto segnano il termine della lezione e…ci giunge sempre gradito un “Brave”, con l’aggiunta di un sorriso e di un battito di mani protese verso l’alto.
E’ la prima ad arrivare ed è l’ultima a chiudere la porta, noi davanti a lei ancora chiacchieriamo!Questa ginnastica dolce non è riuscita a spomparci del tutto. Ci salutiamo dandoci appuntamento per la prossima lezione.
Dolce la ginnastica e dolce anche l’insegnante.
La rivincita dell’orto
Quest’anno l’orto aveva tutte le carte in regola.
In pieno sole, come non mai, da quando sono stati abbattuti cinque pini che uno affianco all’altro creavano un muro d’ombra impenetrabile. Ma prima ancora che godesse del sole primaverile, le sue prose erano state vangate e ben concimate. Vangare e concimare, due verbi semplici semplici ma…quanta fatica, nonostante siano anni che butto i sassi che trovo nel terreno ne spuntano sempre, è come se d’inverno arrivasse un folletto e ne seminasse in ogni dove e di tutte le misure, certi sassi sbilenchi che a volte si sfogliano, altri che bloccano la pala e oppongono una fiera resistenza, devi girargli in giro, fare leva e dopo averlo estratto ti resta un bucone! A quel punto, riprendere a vangare diventa una passeggiata, qua e là scappano lombrichi e riemergono vecchie radici. All’improvviso, girando una zolla di terra, colpisce il contrasto tra il marrone della terra e il bianco di una miriade di uova di formiche. Con la punta della pala cerchi di prenderne il più possibile e le fai volare il più lontano possibile, intanto il terreno brulica di formiche che scappano da tutte le parti. Lo capisco, loro abitano lì da più tempo, l’orto è arrivato dopo, ma in definitiva, loro, non se ne sono mai andate!
Per concimare il massimo sarebbe “Lo sporco delle galline” come racconta il nonno al nipotino nel bellissimo film di Ermanno Olmi: “L’albero degli zoccoli”. La versione moderna è la pollina che acquisto al consorzio. Il terreno è a posto , una bella rastrellata e si passa alla prossima prosa. Poi la semina o il bucherellare del terreno per infilarci le piccole piantine e in fine una bella annaffiata. Quando l’orto è ben organizzato non ti resta che attendere, scrutare cosa combinano le lumache, scacciare le formiche, spostare le coccinelle dalle azalee ai fagiolini, nella speranza che si mangino le afidi delle formiche. “E’ inutile che tu soffi sopra le verdure per farle crescere!!” Commenta ironico mio marito ” Devi aspettare”. E… ho aspettato; è passato aprile, che come previsto è stato un mese piovoso.
Maggio: piovoso.
Giugno, luglio, agosto: PIOVOSO.
I fagiolini erano alti alti e quei quattro fiori in croce che sono apparsi si sono trasformati in una manciata di fagiolini giusto da accontentare la nipotina. l’insalata non è mai nata, salvo una sparuta macchia di cicorino che ho coccolato e coperto dalla pioggia. I pomodori neanche parlarne, all’inizio della maturazione, apparivano già marci nella parte inferiore, ho salvato solo qualche pomodoro ciliegina che raccoglievo al volo prima che cascasse in terra. Le foglie delle zucchine erano mostruosamente grandi e verdi, le zucchine invece… piccole, avvizzite, giallastre e per metà marce. Non proseguo nella descrizione perché mi vien male!! Aggiungo solo che le prose assumevano quotidianamente, come quotidiani erano i temporali, l’aspetto di piccole risaie, il terreno non era più in grado di assorbire acqua! Che debba cambiare hobby? dovrò darmi all’allevamento delle trote!
Gli unici a darmi soddisfazione sono stati i cetrioli, quando li scovavo sotto le foglie addossate alla roccia erano gonfi e stranamente lunghi, una qualità che non conoscevo, ne trovavo tre o quattro al giorno. Li ho usati per le insalate miste, come antipasto tagliati a rotelline con un poco di sale, ci ho preparato una crema greca con lo yogurt, ne ho regalati, ne ho messi in frigo in attesa di portarli a qualche amico, ci è mancato solo che li usassi per prepararmi maschere di bellezza!! Insomma, uno sfacelo di cetrioli che ormai ci uscivano dagli occhi.
Settembre: Sono già in ritardo per piantare: verze, cavoletti di Bruxelles, cavolfiori bianchi e verdi, ma… continua a piovere.
Ottobre: le mattinate sono tiepide, nelle ore centrali il sole è molto caldo e verso sera la roccia rimanda il calore immagazzinato durante il giorno. L’orto (parola grossa) quel che rimane dell’orto sembra ringalluzzirsi e qualche pomodoro finalmente matura. Io ce la metto tutta e rivango, riconcimo e risemino: cicorino, erbette, insalata ghiaccio e spinaci.
Per scovare il cicorino appena nato bisogna bagnare il terreno che, diventando più scuro, evidenzia quel verde tipico dell’esplosione della primavera. Anche gli spinaci sono spuntati e sui loro baffetti lunghi alcuni semi sono ancora attaccati. L ‘insalatina ghiaccio sembra una moquette verde smeraldo! e le erbette che crescono affianco sono di un verde più scuro.
E’ in atto la rivincita dell’orto, il sole continua a splendere. Durante il giorno annaffio con acqua riposata, e la sera copro. Le prose sono una bellezza!
E già… bisogna insistere, darsi da fare, intervenire, credere che il tuo impegno possa cambiare o modificare qualche cosa! o… no?
Spiegano i saggi che il primo passo sia l’accettazione. Non dico solo per l’orto, penso ad altre situazioni nelle quali ci diamo un sacco da fare e forse… sarebbe meglio lascia correre, adeguarsi, non insistere, insomma accettare serenamente la situazione. Sono una nonna e ancora non ho capito come sia meglio comportarsi.
Questa mattina, sollevando i pannelli di policarbonato alveolari alcune macchiette di muffa punteggiavano il terreno e le foglie più grandi dell’insalata ghiaccio presentavano delle ombreggiature scure.
La rivincita dell’orto è durata poco, ma… domani, 27 ottobre mangeremo: uova sode con insalatina dell’orto!