Autore: Lella
É STATO BELLO
GLI ANGELI DEL PICCOLO BORGO
Povero Alessandro
Oramai lo sapevano tutti.
Alla domanda: “Il rientro tutto bene?” E’ stato imbarazzante rispondere. Passi, ancora in Grecia, la deviazione obbligata per una frana a causa dell’alluvione del mese scorso, con il nuovo percorso non segnalato e su strada particolarmente tortuosa che ha richiesto 40 minuti in più del previsto. Passino pure le 4 ore e 30 di ritardo sulla partenza da Patrasso per Ancona della Hellenic Spirit, nave traghetto della compagnia di navigazione greca Anek Lines, ormai siamo quasi assuefatti dalla loro mancanza di puntualità. Passi anche, che di conseguenza, gli amici che ci aspettavano a Ravenna per cena ci abbiano visti arrivare alle 23,30. Comunque quando dalla Anek Lines, quattro ore prima della partenza ci hanno avvisati del ritardo li abbiamo chiamati invitandoli a non aspettarci per cena, saremmo arrivati decisamente fuori orario. Fino a quel momento diciamo che è andato quasi tutto bene. Terminare le ferie incontrando a Ravenna Clo e Roberto è stato un piacere, nonostante l’orario del nostro arrivo, siamo andati avanti a chiacchierare fino a notte fonda. La mattina seguente partiamo con comodo, abbiamo davanti tutta la giornata per arrivare a casa. Dovrei guidare io perché ad Enrico è scaduta la patente a settembre, ma decidiamo che in autostrada guiderà lui, poi da Varese guiderò io. Dopo aver mangiato la Quiche lorraine che la sera precedente ci aveva preparato Clo ci siamo fermati in un autogrill nei pressi di Somalia per prendere un caffè, e mentre ci accingevamo ad uscire, per immetterci in autostrada, dall’auto della polizia stradale è sceso un agente e ci ha informati che dovevano controllare i documenti perchè con la telecamera, inquadrando la nostra targa, risultava che non avessimo effettuato la revisione del’ auto. Anche la patente era scaduta, ma come glielo spieghi alla Polizia Stradale che prima di partire abbiamo, tramite l’ ACI, cercato di rinnovarla la patente, ma ci hanno spiegato che sarebbe stato possibile rinnovarla non prima di quattro mesi, cosa per noi non fattibile perchè la prenotazione per la partenza era fissata al primo maggio. Ci siamo detti che non sarebbe stato un problema, al ritorno avrei guidato io. A chiacchiere, però, nei fatti Enrico ha voluto risparmiarmi la tensione di un lungo viaggio, tanto, ha detto: “In autostrada non ti fermano”. Appunto! Dopo aver preso una bella sgridata da uno dei due poliziotti, abbiamo spiegato, ma la cosa più grave era il ritiro del libretto di circolazione con conseguente fermo macchina e mille altre difficoltà burocratiche ed economiche. Quella della revisione è stata una nostra dimenticanza e l’avviso della scadenza è arrivato per posta quando eravamo in Grecia. Eravamo sopraffatti dalle conseguenze che si profilavano davanti a noi. Senza macchina sarebbero saltati più appuntamenti che avevamo preso in precedenza. Abbiamo cercato una soluzione possibile ed è stato il poliziotto a suggerircela: “Certo, se aveste già la prenotazione della revisione entro domani, potremmo non ritirarvi il libretto di circolazione”. Enrico chiama subito l’officina che fa difficoltà per l’urgenza, a questo punto il poliziotto chiede di parlare direttamente col responsabile: ” Pronto Polizia! mi serve un appuntamento entro domani per una revisione e mi serve anche che mi mandi la conferma dell’appuntamento via E-mail ” Risposta: ” Va bene, domani alle 14,30″. Non finiamo più di ringraziare, siamo salvi. Ci è voluto un bel po’ per tutte le scartoffie, una delle quali ci permetteva di guidare fino a casa, e il giorno dopo fino dal meccanico in officina, un altro foglio per il rinnovo patente. Ripartiamo mogi, che sfiga, ci siamo fermati solo per un caffè e ci hanno beccato subito. Guida Enrico, ora può farlo, strada facendo ci rendiamo conto che l’ ufficio dell’ACI è di strada e ci siamo anche con gli orari, ma l’impiegata pretende la patente che ci è stata ritirata, non c’è verso, le diamo il foglio che ci ha rilasciato la polizia che ha trattenuto la patente, niente, irremovibile. Passiamo dalla scuola guida, chiediamo, spieghiamo, mostriamo il foglio della polizia e ci fissano l’appuntamento con l’oculista per le ore 20 della stessa giornata, il medico c’è due volte alla settimana: il martedì e il venerdì e oggi è martedì, un po’ di fortuna non guasta. Oggi è stata una giornata molto tesa, la macchina è carica, noi siano stravolti, sono le 18 e fa ancora caldo, possiamo solo andare a casa, e non possiamo più usare la macchina fino a domani per la revisione. Prima ancora di arrivare a destinazione chiamiamo Ilio, il nostro vicino di casa, gli raccontiamo tutto, chiedendogli anche se può accompagnarci all’autoscuola per le 20, non ci sono problemi, anzi, ci accompagnerà Annamaria, e poi andremo assieme a mangiare una pizza. Alle 20,30 dello stesso giorno in cui hanno ritirato la patente ad Enrico, dopo la visita oculistica, aveva già in tasca il foglio che lo autorizzava a guidare. Il telefono suonerà più volte: Clo e Roberto chiedono se siamo arrivati, e… gli raccontiamo tutto. Gli amici di Methana vogliono sapere della deviazione, e… gli raccontiamo tutto. Valentina chiede se ce la sentiamo di andare da loro, sabato per la consueta riunione di famiglia annuale, e… le raccontiamo tutto. Nostra nipote sapendo che avrei dovuto guidare io per tutto il viaggio, vuole sapere come va e… le raccontiamo tutto. Ad altre chiamate risponderemo dopo. Il giorno dopo, puntuali, siamo dal meccanico e passata la revisione tiriamo un sospiro di sollievo. Patente a posto, revisione a posto, ma… fra le varie scartoffie che la Polizia Stradale ci ha consegnato ci sono due bollettini postali già compilati per due belle multe da pagare entro 5 giorni. Faremo anche quello. Non andiamo fieri delle nostre mancanze e non avremmo avuto voglia di raccontarle, ma…oramai lo sapevano tutti, tanto valeva rendere pubblica questa storia, magari, leggendola, potrà essere utile a qualche automobilista.
Impressioni di viaggio
LA PARTENZA
Abbiamo cominciato bene il viaggio, la nostra pasticceria Belli di Cunardo era finalmente aperta e il caffè, se pur all’aperto era ottimo come sempre. Ci è sembrato di buon auspicio, poi risalendo in macchina e controllando il telefonino ho letto con molto piacere gli auguri di buon viaggio di molti amici. Sono le 9 del mattino di domenica 30 maggio, siamo partiti dal nostro piccolo borgo un’oretta fa e quella nostalgia nel lasciare casa è già passata. Il viaggio prosegue un po’ col nuvolo, un po’ col sole, ripercorriamo la solita strada, quell’unica strada che in questo periodo di pandemia, ci fa volare in Brianza da nostra nipote. Poi un salto dai fratelli, ma tutto in giornata e di corsa perché c’è anche il coprifuoco. La libertà era ancora sbocconcellata, fra zona arancione e zona gialla, libertà provvisoria e malata, con mascherina e senza contatti. Sempre una libertà agognata ed evanescente, come se al posto della promessa di un buon pranzo arrivasse: atteso, profumato, invitante e buono, un piccolo assaggio di antipasto, insufficiente a saziarti. Una libertà spicciola, di poco conto che abbiamo cercato di sfruttare al massimo. Si, la solita strada dal febbraio del 2020. Ma oggi è diverso, oggi proseguiamo e ho l’impressione che faremo una scorpacciata di immagini nuove dal sapore antico che ci ridaranno pienezza di spirito.
IL VIAGGIO
Imbocchiamo la Milano Bologna. Mai stata così attenta al panorama, come una voglia di non sorvolare su niente, capisci l’ indifferenza dei tempi migliori, scruti attentamente per non perderti particolari, apprezzi i covoni affiancati tra di loro e lasciati ad asciugare nei prati tagliati e già dorati. Poi quel prato verde smeraldo illuminato dal sole, quasi irreale la sua lucentezza, in contrasto con il verde scuro del prato confinante. Una scacchiera di verdi diversi, di terre scure appena arate, su di loro le nuvole lanciano senza alcuna regola geometrica le loro ombre tondeggianti e allungate, scurendone qua e là piccole porzioni. Di vedetta, cipressi a gruppetti di quattro o cinque o disposti in fila a delimitare crinali e confini. La pioggia dei giorni scorsi ha tolto ogni pulviscolo e su tutto prevale la limpidezza dei colori. Ho l’impressione che con un paesaggio del genere Joan Mirò sarebbe andato a nozze.
RINNOVATA LIBERTA’
All’altezza di Fiorenzuola sorpassiamo una fila interminabile di motociclisti, tutti indistintamente vestiti di nero, chi soli, chi in coppia, viaggiano affiancati ed alternati, la postura dei guidatori e delle guidatrici è classica: braccia aperte a stringere il manubrio. Il passeggero invece o è aggrappato a chi guida o si regge al sellino con entrambe le mani. Quando li abbiamo raggiunti l’ultimo di loro portava una pettorina arancione con la scritta “servizio”. Occupano tutta la corsia di destra e procedono calmi, sicché anche il rombo dei motori è adeguato alla velocità, la fila era talmente lunga che ho avuto modo di pensare che anche loro si stessero godendo quella rinnovata libertà, senza fracasso, senza esibizionismo, calmi e rilassati sui loro motoroni, col le loro donne e i loro uomini, con la voglia di viaggiare all’aperto, con la voglia di libertà, la stessa che sento anch’io, e anche se viaggio in macchina mi sento accomunata a loro, abbasso il finestrino e raggiunto il primo motociclista della fila, che indossa anche lui la pettorina arancione, lo saluto, immaginando così di salutarli tutti, lui, girandosi verso di me sorride. Ho avuto l’impressione che anche la sua mano si sia mossa in un saluto impercettibile, senza lasciare il manubrio.
ANCONA
Il sovraccarico di immagini, impressioni e pensieri mi inducono a dedurre di essere in viaggio da almeno due giorni, la realtà è ben diversa e solo dopo alcune ore di viaggio mi sento stanca e la voglia di sonnecchiare mi raggiunge, complice anche il susseguirsi ipnotico di filari di alberi da frutta. Non mancheranno le varie soste per caffè, gas auto e pipì, nel parcheggio dell’autogrill i passerotti, per niente intimoriti becchettano le briciole e ci saltellano attorno per recuperare anche le nostre. Siamo in prossimità di Ancona, è il terzo anno che ci imbarchiamo dal suo porto. La prima volta, come al solito siamo arrivati al check-in con notevole anticipo, ma in biglietteria ci hanno sollecitato di sbrigarci perché la nave stava salpano, ma come, ci siamo detti io e mio marito, partenza alle 19, sono le 17… guardiamo l’orario sul biglietto che conferma la partenza alle ore 17! Ma come è potuto succedere? Un piccolo ragionamento e ne siamo venuti a capo: il biglietto acquistato in dicembre perché scontato nel giorno del Black Friday era rimasto nei documenti senza più attirare la nostra attenzione fino a quel momento. Fra dicembre e maggio l’orario della partenza era passato, nella nostra fantasia, dalle ore 17 alle 7 di sera per fissarsi poi di conseguenza alle 19. Per cui la prima partenza da Ancona lo abbiamo vissuto in fretta e furia, correndo in macchina verso l’imbarco, fra una rotonda e un rettilineo, siamo saliti al volo sulla motonave che subito dopo è salpata verso la Grecia. La seconda volta da Ancona, dopo aver controllato per mille volte l’orario del biglietto, arriviamo comunque con due ore di anticipo, è il primo di luglio del 2020, siamo in piena pandemia e la Grecia a fissato questa data per accogliere i turisti provenienti dall’Italia, penso che tutti gli italiani fossero lì. Non mi va di raccontare la bolgia, il caldo e quelle terribili 5 ore di fila, ma l’angoscia della paura del contagio è durata per i seguenti 15 giorni, fino a che abbiamo capito di non essere stati contagiati da nessuno. Ancona? Il porto di Ancona? lo abbiamo solo intravisto, una porta Romana, mi pare, un po’ alta con una gradinata davanti. Questo è il terzo anno: l’orario del biglietto è chiaro, la data della partenza dovrebbe essere una partenza intelligente, c’è il risultato del tampone molecolare eseguito 72 ore prima, ma soprattutto c’è una curiosità nuova per Ancona. Qualche mese fa, un lunedì sera sul canale 54 di Rai Storia ho seguito un documentario condotto dallo storico Sergio Sparapani, anconetano doc, è stata una vera sorpresa: sarà stato l’amore con cui ha raccontato la sua città, sarà stata la storia ultra millenaria di Ancona, i suoi monumenti antichi, il museo archeologico, insomma quella porta Romana con la gradinata davanti che io avevo definita un po’ alta, per lo storico è l’ arco di Traiano, molto slanciato. Ho seguito la trasmissione con molta curiosità ed ora non vedo l’ora di arrivare sul molo del porto di Ancona per ammirare con più calma e più consapevolezza questo Arco trionfale che in prospettiva perfetta si vede anche dall’arco Clementino e, per chiudere la visuale, in cima al colle Guasco troneggia il Duomo, dedicato a S. Ciriaco. Se tutto ciò non lo avessi visto prima in TV, forse non me ne sarei mai accorta. Per il Museo Archeologico e tutto il resto bisognerebbe prendersi almeno una giornata prima dell’imbarco. Ma le cose cambiano sempre e… non so se l’anno prossimo partiremo ancora da Ancona. Ma certamente l’aver conosciuto un nuovo pezzetto d’Italia mi ha dato non solo l’impressione, ma anche la certezza di appartenere a uno splendido paese.
VERSO LA GRECIA
Il traghetto Florencia è già attraccato al molo, sembra piccolo ma i camion che ne escono, non finiscono mai e alla fine la sua linea di galleggiamento che prima era immersa nel mare ora affiora con evidenza. Tocca a noi, ora, salire a bordo, le macchine in coda sono veramente poche e i marinai ci guidano a gesti sul ponte scoperto, di solito ci fanno parcheggiare nella pancia della nave dove il rumore è assordante, il caldo è insopportabile, la puzza e la mancanza di aria è terribile, in più la confusione è totale: portiere spalancate, bagagliai aperti, motori di auto ancora accesi, e una moltitudine di persone che zizagano cariche di borse e di zaini fra una macchina e l’altra per raggiungere le scale che porteranno alla reception. Noi, come gli altri andiamo all’arrembaggio per conquistarci la chiave della camera, fra un passeggino e un disabile, tra borsoni e bambini, tra cani al guinzaglio e gabbie di gatti. Mi ci vuole sempre un po’ di tempo per raccapezzarmi: prendere dalla macchina la borsa da viaggio, la borsa con le cibarie e l’acqua, le giacche se la sera vogliamo uscire sul ponte, insomma come al solito siamo carichi come somari. Questa volta va meglio sembra una gita sul battello del lago, la macchina all’aperto e un sacco di spazio libero, ma vista la pandemia ci dirigiamo in cabina per uscirne solo la mattina seguente per prendere un cappuccino al bar. Ma anche da lì scappiamo subito: i camionisti greci fumano alla grande, come se niente fosse. Sul ponte esterno i viaggiatori girovagano, telefonano, degli hippie settantenni fanno crocchio, altri osservano e fotografano la costa Greca già in vista, io approfitto per fare ginnastica su di una panchina di legno sul ponte più alto dove non c’è quasi nessuno. È strana questa traversata: il piccolo traghetto è molto ben curato e pulito, c’è odore di disinfettante dappertutto, il personale è gentile e disponibile, il mare è calmo e il vento a favore. Mi sarebbe piaciuto che questa volta ci fosse con noi nostra nipote. Mi ricordo perfettamente il suo sguardo angosciato di qualche anno fa, nella pancia del traghetto Splendid: è scesa di macchina e si è guardata in torno con sgomento, non era mai stata su un traghetto e noi glielo lo avevamo descritto con ampie sale piene di divani e il bar, ristorante e self-service, negozi, sale Giochi, e sala con pianoforte nonché cinema e piscina esterna. Mi sono avvicinata a lei e gridando un po’ perché il rumore era fortissimo l’ho rassicurata spiegandole che quello dove ci trovavamo era solo il garage, sopra avrebbe trovato tutto diverso e con aria condizionata. Lei, in seguito avrebbe chiamato quel traghetto: Il Carciofus del mare, a ricordo di quella prima e pessima impressione.
IL CANTIERE
Entrare in cantiere in macchina è oramai una consuetudine, il più delle volte sospiro sconsolata e penso: ecco signora Leoni, qui cominciano le sue ferie. Già prima di arrivarci, sulla stradina che percorriamo per raggiungerlo gli scossoni in macchina causati dalle voragini che la costellano, mettono a dura prova le mie vertebre cervicali. Scendendo dalla macchina c’è vento, per forza siamo al mare ma la sua vista è ostruita da centinaia di barche sollevate da terra e appoggiate a invasature che le rendono innaturalmente immobili e quasi irraggiungibili, se il cantiere non fornisse delle lunghe scale per arrivare al pozzetto di ognuna di loro, queste barche sono talmente vicine le une alle altre che sotto questo intrico di carene si forma una fitta ombra che sarebbe anche piacevole se il vento non sollevasse un polverone da farti lacrimare gli occhi. Lo stesso cantiere visto dal mare, a un paio di miglia dalla terra sembra un immenso bosco di soli tronchi secchi: centinaia e centinaia di alberi di barche riempiono compatti l’orizzonte, si ha l’impressione di un panorama extraterrestre. Il cantiere non è un posto per signorine eleganti, nemmeno per signorine normali, è un vero regno di maci, meglio se con un poco di pancia, meglio se con barba da tagliare, l’ abbigliamento è diciamo casual, meglio se macchiato di vernice. Lo si vede arrampicato in testa d’albero, o per metà immerso nei motori o alle prese con una centralina elettrica, ama disporsi a crocchio con i suoi simili per discutere di baderne, prese a mare, e cinghie dell’alternatore che non si riescono ad allineare. Avvitano, svitano, carteggiano, verniciano, puliscono con l’idropulitrice, armano le loro barche e controllano che gli anodi sacrificali non siano consumati. Sono tutti super esperti ma i furgoncini di meccanici ed elettricisti non mancano mai in cantiere. Come non mancano mai gatti famelici e affamati, gazze che rubano il cibo dei gatti e cani che cercano di fare altrettanto, c’è sempre un gran movimento di animali anche attorno alle enormi pattumiere. Le giornate passano frenetiche e verso sera avviene la trasformazione dei maci del cantiere, dopo la doccia sono tutti puliti, sbarbati e profumati, scendono dalle alte scale appoggiate alle loro barche con calzoncini in tinta con la t-shirt, sembrano la pubblicità del Martini: già abbronzati col pullover sulle spalle e un’ aria da lupi di mare che la sanno lunga. Di donne in cantiere se ne vedono pochine sono per lo più all’interno delle imbarcazione a pulire e sistemare, quando scendono dalle alte scale, si destreggiano fra tavole di legno, catene e àncore penzolanti, a terra ci sono buchi con prese d’acqua a cui attaccare le canne, una vera gincana fra pericoli, non mancano improvvise cascate d’acqua dagli ombrinali delle barche, pozze di olio da raggirare o retromarce di macchine da scansare. Se proprio tutto va bene, rumori improvvisi e violenti fanno trasalire e miasmi di diluenti e vernici le assalgono. Lasciamo perdere le condizioni dei bagni e non parliamo nemmeno di una ben che minima comodità. All’occorrenza non mancano di aiutare i loro compagni, lo fanno, ma ne farebbero volentieri a meno. Infatti molte arrivano in cantiere a lavori terminati o si fanno venire a prendere in aeroporto prima del varo oppure fanno il part-time alloggiando in albergo la sera e lavorando in cantiere di giorno. Ho l’impressione che le donne facciano tutto questo per amore dei loro uomini e del mare, altrimenti non si spiegherebbe tutto questo gran tramestio di disagi e fatiche varie. Certo ci sono cantieri e cantieri, in alcuni ci sono ristoranti e negozi e elettricisti e meccanici sono messi a disposizione (a pagamento) ma… non sono cantieri adatti ai nostri maci che vogliono farsi i lavori da soli. Solo la sera, quando l’officina del cantiere è chiusa e i trapani tacciono, quando gli effluvi delle vernici si sono diluite nell’aria, quando il sole si ritira e il cantiere sembra svuotarsi, solo allora spuntano lievi nel cielo le stelle e la luna si riflette nel mare ricamandolo con fili d’argento che danzano a pelo d’acqua. È solo allora che anche le donne del cantiere si materializzano e le vediamo aggirarsi al buio, indossano gonne lunghe, e orecchini pendenti, ben truccate e profumate, come i loro maci, pronti per una meritata cena al ristorante. Ho l’impressione che l’arte culinaria abbia un notevole peso per i frequentatori dei cantieri.