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Domenica 15-10-2023 Lissone. Lo spettacolo teatrale, dal titolo “Impossibile!! del senno di poi ne son piene le fosse” è stato una piacevole sorpresa. Il testo e la regia di Irene Carossia ci fanno conoscere un Alessandro Manzoni inedito, direttamente nel suo studio, alle prese con sua madre. Una casa oramai museo dove madre e figlio esistono come fantasmi. Tre visitatrici non troppo convinte seguono la loro guida in casa Manzoni. Mi ha molto colpita, al di là della bravura recitativa, un sottotesto mimico sorprendente, i personaggi in visita si sentono fisicamente addosso i fantasmi, recitano di fronte a loro e si capisce benissimo che non li vedono, inseguono penne d’oca che volano, e in tutto questo gioco ironico, emergono le realtà di Manzoni bambino, frustrato dai compagni di scuola, un Manzoni che anche adulto non riesce ad uscire di casa da solo. Un Manzoni pieno di problemi, e la madre li sottolinea tutti, non gli dà tregua, lo mette di fronte alle sue debolezze, ma la guida, innamorata di Manzoni… allora succede che… Un riassunto facile da scrivere ma è solo da seduti in poltrona che si apprezza la bravura di Irene Carossia nei panni di Giulia Beccaria quando recita, nel suo incalzare o modulare diversamente il tono di voce, quando volteggia nell’ abito elegante, e nella gestualità precisa. È sempre dalla platea che vediamo Danilo Duroni, Alessandro Manzoni, che mano a mano che gli cadono addosso rimproveri si rimpicciolisce, si chiude, china il capo fino a sprofondare sulla scrivania. È osservando il palcoscenico che notiamo le altre attrici: Giulia Leoni, Eleonora Pozzi e Stefania Venezian, visitatrici del museo, che occupano metà della scena a volte senza dire una battuta o semplicemente frapponendosi agli altri attori. Poi Luisa Caglio, che esprime il suo amore per Alessandro Manzoni con naturalezza disarmante. È sul palcoscenico che il variare delle luci ci guida, è la musica che si diffonde in sala che ci accompagna per tutta la pièce teatrale nella magia del teatro. Uno spettacolo particolare che è piaciuto molto, anche ai giovani presenti in sala. E… anche il povero Alessandro Manzoni, alla fine ha avuto la sua rivincita. Complimenti a tutti. IMPOSSIBILE!!… del senno di poi ne sono piene le fosse. Testo e regia Irene Carossia Compagnia Stabile Carossia Costumi: Anna Maria Mazzoni. Audio e luci: Lorenzo Rivolta. Art: Marina Ferrari

Alla domanda: “Il rientro tutto bene?” E’ stato imbarazzante rispondere. Passi, ancora in Grecia, la deviazione obbligata per una frana a causa dell’alluvione del mese scorso, con il nuovo percorso non segnalato e su strada particolarmente tortuosa che ha richiesto 40 minuti in più del previsto. Passino pure le 4 ore e 30 di ritardo sulla partenza da Patrasso per Ancona della Hellenic Spirit, nave traghetto della compagnia di navigazione greca Anek Lines, ormai siamo quasi assuefatti dalla loro mancanza di puntualità. Passi anche, che di conseguenza, gli amici che ci aspettavano a Ravenna per cena ci abbiano visti arrivare alle 23,30. Comunque quando dalla Anek Lines, quattro ore prima della partenza ci hanno avvisati del ritardo li abbiamo chiamati invitandoli a non aspettarci per cena, saremmo arrivati decisamente fuori orario. Fino a quel momento diciamo che è andato quasi tutto bene. Terminare le ferie incontrando a Ravenna Clo e Roberto è stato un piacere, nonostante l’orario del nostro arrivo, siamo andati avanti a chiacchierare fino a notte fonda. La mattina seguente partiamo con comodo, abbiamo davanti tutta la giornata per arrivare a casa. Dovrei guidare io perché ad Enrico è scaduta la patente a settembre, ma decidiamo che in autostrada guiderà lui, poi da Varese guiderò io. Dopo aver mangiato la Quiche lorraine che la sera precedente ci aveva preparato Clo ci siamo fermati in un autogrill nei pressi di Somalia per prendere un caffè, e mentre ci accingevamo ad uscire, per immetterci in autostrada, dall’auto della polizia stradale è sceso un agente e ci ha informati che dovevano controllare i documenti perchè con la telecamera, inquadrando la nostra targa, risultava che non avessimo effettuato la revisione del’ auto. Anche la patente era scaduta, ma come glielo spieghi alla Polizia Stradale che prima di partire abbiamo, tramite l’ ACI, cercato di rinnovarla la patente, ma ci hanno spiegato che sarebbe stato possibile rinnovarla non prima di quattro mesi, cosa per noi non fattibile perchè la prenotazione per la partenza era fissata al primo maggio. Ci siamo detti che non sarebbe stato un problema, al ritorno avrei guidato io. A chiacchiere, però, nei fatti Enrico ha voluto risparmiarmi la tensione di un lungo viaggio, tanto, ha detto: “In autostrada non ti fermano”. Appunto! Dopo aver preso una bella sgridata da uno dei due poliziotti, abbiamo spiegato, ma la cosa più grave era il ritiro del libretto di circolazione con conseguente fermo macchina e mille altre difficoltà burocratiche ed economiche. Quella della revisione è stata una nostra dimenticanza e l’avviso della scadenza è arrivato per posta quando eravamo in Grecia. Eravamo sopraffatti dalle conseguenze che si profilavano davanti a noi. Senza macchina sarebbero saltati più appuntamenti che avevamo preso in precedenza. Abbiamo cercato una soluzione possibile ed è stato il poliziotto a suggerircela: “Certo, se aveste già la prenotazione della revisione entro domani, potremmo non ritirarvi il libretto di circolazione”. Enrico chiama subito l’officina che fa difficoltà per l’urgenza, a questo punto il poliziotto chiede di parlare direttamente col responsabile: ” Pronto Polizia! mi serve un appuntamento entro domani per una revisione e mi serve anche che mi mandi la conferma dell’appuntamento via E-mail ” Risposta: ” Va bene, domani alle 14,30″. Non finiamo più di ringraziare, siamo salvi. Ci è voluto un bel po’ per tutte le scartoffie, una delle quali ci permetteva di guidare fino a casa, e il giorno dopo fino dal meccanico in officina, un altro foglio per il rinnovo patente. Ripartiamo mogi, che sfiga, ci siamo fermati solo per un caffè e ci hanno beccato subito. Guida Enrico, ora può farlo, strada facendo ci rendiamo conto che l’ ufficio dell’ACI è di strada e ci siamo anche con gli orari, ma l’impiegata pretende la patente che ci è stata ritirata, non c’è verso, le diamo il foglio che ci ha rilasciato la polizia che ha trattenuto la patente, niente, irremovibile. Passiamo dalla scuola guida, chiediamo, spieghiamo, mostriamo il foglio della polizia e ci fissano l’appuntamento con l’oculista per le ore 20 della stessa giornata, il medico c’è due volte alla settimana: il martedì e il venerdì e oggi è martedì, un po’ di fortuna non guasta. Oggi è stata una giornata molto tesa, la macchina è carica, noi siano stravolti, sono le 18 e fa ancora caldo, possiamo solo andare a casa, e non possiamo più usare la macchina fino a domani per la revisione. Prima ancora di arrivare a destinazione chiamiamo Ilio, il nostro vicino di casa, gli raccontiamo tutto, chiedendogli anche se può accompagnarci all’autoscuola per le 20, non ci sono problemi, anzi, ci accompagnerà Annamaria, e poi andremo assieme a mangiare una pizza. Alle 20,30 dello stesso giorno in cui hanno ritirato la patente ad Enrico, dopo la visita oculistica, aveva già in tasca il foglio che lo autorizzava a guidare. Il telefono suonerà più volte: Clo e Roberto chiedono se siamo arrivati, e… gli raccontiamo tutto. Gli amici di Methana vogliono sapere della deviazione, e… gli raccontiamo tutto. Valentina chiede se ce la sentiamo di andare da loro, sabato per la consueta riunione di famiglia annuale, e… le raccontiamo tutto. Nostra nipote sapendo che avrei dovuto guidare io per tutto il viaggio, vuole sapere come va e… le raccontiamo tutto. Ad altre chiamate risponderemo dopo. Il giorno dopo, puntuali, siamo dal meccanico e passata la revisione tiriamo un sospiro di sollievo. Patente a posto, revisione a posto, ma… fra le varie scartoffie che la Polizia Stradale ci ha consegnato ci sono due bollettini postali già compilati per due belle multe da pagare entro 5 giorni. Faremo anche quello. Non andiamo fieri delle nostre mancanze e non avremmo avuto voglia di raccontarle, ma…oramai lo sapevano tutti, tanto valeva rendere pubblica questa storia, magari, leggendola, potrà essere utile a qualche automobilista.

LA PARTENZA

Abbiamo cominciato bene  il viaggio, la nostra pasticceria Belli di Cunardo era finalmente aperta e il caffè, se pur all’aperto era ottimo come sempre. Ci è sembrato di buon auspicio, poi risalendo in macchina e controllando il telefonino ho letto con molto piacere gli auguri di buon viaggio di molti amici. Sono le 9 del mattino di domenica 30 maggio, siamo partiti da Orascio un’oretta fa e quella nostalgia nel lasciare casa nostra è già passata. Il viaggio prosegue un po’ col nuvolo, un po’ col sole, ripercorriamo la solita strada, quell’unica strada che in questo periodo di pandemia, ci fa volare in Brianza da nostra nipote. Poi un salto dai fratelli, ma tutto in giornata e di corsa perché c’è anche il coprifuoco. La  libertà era ancora sbocconcellata, fra zona arancione e zona gialla, libertà provvisoria e malata, con mascherina e senza contatti. Sempre una libertà agognata ed evanescente, come se al posto della promessa di un buon pranzo arrivasse:  atteso, profumato, invitante e buono, un piccolo assaggio di antipasto, insufficiente a sazziarti. Una libertà spicciola, di poco conto che abbiamo cercato di sfruttare al massimo. Si, la solita strada dal febbraio del 2020. Ma oggi è diverso, oggi proseguiamo e ho l’impressione che faremo una scorpacciata di immagini nuove dal sapore antico che ci ridaranno  pienezza di spirito.

IL VIAGGIO

Imbocchiamo la Milano Bologna. Mai stata così attenta al panorama, come una voglia di non perdersi niente, capisci l’ indifferenza dei tempi migliori, scruti attentamente per non perderti particolari, apprezzi i covoni affiancati lasciati ad asciugare nei prati tagliati e già dorati. Poi quel prato verde smeraldo illuminato dal sole, quasi irreale la sua lucentezza, in contrasto con il verde scuro del prato confinante. Una scacchiera di verdi diversi, di terre scure appena arate, su di loro le nuvole lanciano senza alcuna regola geometrica le loro ombre tondeggianti e allungate, scurendone qua e là piccole porzioni. Di vedetta, cipressi a gruppetti di quattro o cinque o disposti in fila a delimitare crinali e confini. La pioggia dei giorni scorsi ha tolto ogni pulviscolo e su tutto prevale la limpidezza dei colori. Ho l’impressione che con un paesaggio del genere Joan Mirò sarebbe andato a nozze.

RINNOVATA LIBERTA’

All’altezza di Fiorenzuola sorpassiamo una fila interminabile di motociclisti, tutti indistintamente vestiti di nero, chi soli, chi in coppia, viaggiano affiancati ed alternati, la postura dei guidatori e delle guidatrici è classica: braccia aperte a stringere il manubrio. Il passeggero invece o è aggrappato a chi guida o si regge al sellino con entrambe le mani. Quando li  abbiamo raggiunti l’ultimo di loro portava una pettorina arancione con la scritta “servizio”. Occupano tutta la corsia di destra e procedono calmi, sicché anche il rombo dei motori è adeguato alla velocità, la fila era talmente lunga che ho avuto modo di pensare che anche loro si stessero godendo quella rinnovata libertà, senza fracasso, senza esibizionismo, calmi e rilassati sui loro motoroni, col le loro donne e i loro uomini, con la voglia di viaggiare all’aperto, con la voglia di libertà, la stessa che sento anch’io, e anche se viaggio in macchina mi sento accomunata a loro, abbasso il finestrino e raggiunto il primo motociclista della fila, che indossa anche lui la pettorina arancione, lo saluto, immaginando così di salutarli tutti, lui, girandosi verso di me sorride. Ho  avuto l’impressione che anche  la sua mano  si sia mossa impercettibilmente, senza lasciare il manubrio.

 

ANCONA

Il sovraccarico di immagini, impressioni e pensieri mi inducono a dedurre  di essere in viaggio da almeno due giorni, la realtà è ben diversa e solo dopo alcune ore di viaggio mi sento stanca e la voglia di sonnecchiare mi raggiunge, complice anche il susseguirsi ipnotico di filari di alberi da frutta. Non mancheranno le varie soste per caffè, gas auto e pipì, nel parcheggio dell’autogrill i passerotti, per niente intimoriti becchettano le briciole e ci  saltellano attorno per recuperare anche le nostre. Siamo in prossimità di Ancona, è il terzo anno che ci imbarchiamo dal suo porto. La prima volta, come al solito siamo arrivati al check-in con notevole anticipo, ma in biglietteria ci hanno sollecitato di sbrigarci perché la nave stava salpano, ma come, ci siamo detti io e mio marito, partenza alle 19, sono le 17… guardiamo l’orario sul biglietto che conferma la partenza alle ore 17! Ma come è potuto succedere? Un piccolo ragionamento e ne siamo venuti a capo: il biglietto acquistato in dicembre perché scontato nel giorno del Black Friday era rimasto nei documenti senza più attirare la nostra attenzione fino a quel momento. Fra dicembre e maggio l’orario della partenza era passato, nella nostra fantasia, dalle ore 17 alle 7 di sera per fissarsi  poi di conseguenza alle 19. Per cui il primo imbarco ad Ancona lo abbiamo vissuto in fretta e furia, correndo in macchina verso l’imbarco, fra una rotonda e un rettilineo, siamo saliti al volo sulla motonave che subito dopo è salpata verso la Grecia. La seconda volta da Ancona, dopo aver controllato per mille volte l’orario del biglietto, arriviamo comunque con due ore di anticipo, è il primo di luglio del 2020, siamo in piena pandemia e la Grecia a fissato questa data per accogliere i turisti provenienti dall’Italia, penso che tutti gli italiani fossero lì. Non mi va di raccontare la bolgia, il caldo e  quelle terribili 5 ore di fila, ma l’angoscia della paura del  contagio è durata per i seguenti 15 giorni, fino a che abbiamo capito di non essere stati contagiati da nessuno. Ancona? Il porto di Ancona? lo abbiamo solo intravisto, una porta Romana, mi pare, un po’ alta con una gradinata davanti. Questo è il terzo anno: l’orario del biglietto è chiaro, la data della partenza dovrebbe essere una… partenza intelligente, c’è il risultato del tampone molecolare eseguito 72 ore prima, ma soprattutto c’è una curiosità nuova per Ancona. Qualche mese fa, un lunedì sera sul canale 54 di Rai storia ho seguito un documentario condotto dallo storico Sergio Sparapani, anconetano doc., è stata una vera sorpresa: sarà stato l’amore con cui ha raccontato la sua città, sarà stata la storia ultra millenaria di Ancona, i suoi  monumenti antichi, il museo archeologico, insomma quella porta Romana con la gradinata davanti che io avevo definita un po’ alta, per lo storico è l’ arco di Traiano, molto slanciato. Ho seguito la trasmissione con  molta curiosità ed ora non vedo l’ora di arrivare sul molo del porto di Ancona  per ammirare con più calma e più consapevolezza questo Arco trionfale che in prospettiva perfetta si vede anche dall’arco Clementino e, per chiudere la visuale, in cima al colle Guasco troneggia il Duomo, dedicato a S. Ciriaco. Se tutto ciò non lo avessi visto prima in TV, forse non me ne sarei mai accorta. Per il Museo Archeologico e tutto il resto bisognerebbe prendersi almeno una giornata prima dell’imbarco. Ma le cose cambiano sempre e… non so se l’anno prossimo partiremo ancora da Ancona. Ma certamente l’aver   conosciuto un nuovo pezzetto d’Italia mi ha dato non solo l’impressione, ma anche la certezza di appartenere a uno splendido paese.

VERSO LA GRECIA

Il traghetto Florencia è già attraccato al molo, sembra piccolo ma i camion che ne  escono, non finiscono mai e alla fine la sua linea di galleggiamento che prima era immersa  nel mare ora affiora con evidenza. Tocca a noi, ora,  salire a bordo, le macchine in coda sono veramente poche e i marinai ci guidano a gesti sul ponte scoperto, di solito ci fanno parcheggiare nella pancia della nave dove il rumore è assordante, il caldo è insopportabile, la puzza e la mancanza di aria è terribile in più la confusione è totale: portiere spalancate, bagagliai aperti, motori di auto ancora accesi, e una moltitudine di persone che zizagano cariche di borse e di zaini  fra una macchina e l’altra per raggiungere le scale che porteranno alla reception. Noi,  come gli altri andiamo all’arrembaggio per conquistarci la chiave della camera, fra un passeggino e un disabile, tra borsoni e bambini, tra cani al guinzaglio e gabbie di gatti. Mi ci vuole sempre un po’ di tempo per raccapezzarmi: prendere dalla macchina la borsa da viaggio, la borsa con le cibarie e l’acqua, le giacche se la sera vogliamo uscire sul ponte, insomma come al solito siamo carichi come somari. Questa volta va meglio sembra una gita sul battello al lago, la macchina all’aperto e un sacco di spazio libero, ma vista la pandemia ci dirigiamo in cabina per uscirne solo la mattina seguente per prendere un cappuccino al bar. Ma anche da lì scappiamo subito: i camionisti greci fumano alla grande, come se niente fosse. Sul ponte esterno i viaggiatori girovagano, telefonano, degli hippie settantenni fanno crocchio, altri osservano e fotografano la costa Greca già in vista, io approfitto per fare ginnastica su di una panchina di legno sul ponte più alto dove non c’è quasi nessuno. È strana questa traversata: il piccolo traghetto è  molto ben curato e pulito, c’è odore di disinfettante dapertutto, il personale è gentile e disponibile, il mare è calmo e il vento a favore. Mi sarebbe piaciuto che questa volta ci fosse con noi nostra nipote. Mi ricordo perfettamente il suo sguardo  angosciato di  qualche anno fa, nella pancia del traghetto Splendid: è scesa di macchina e si è guardata in torno  con sgomento, non era mai stata su un traghetto e noi glielo lo avevamo descritto con ampie sale piene di divani,  ristorante e self-service, negozi, sale Giochi, e sala con pianoforte nonché cinema e piscina esterna. Mi sono avvicinata a lei e gridando un po’ perché il rumore era fortissimo l’ho rassicurata spiegandole che quello dove ci trovavamo era solo il garage, sopra avrebbe trovato tutto diverso e con aria condizionata. Lei, in seguito avrebbe chiamato quel  traghetto: Il Carciofus del mare,  a ricordo di quella prima e pessima impressione.

 IL CANTIERE

Entrare in cantiere in macchina è oramai una consuetudine,  il più delle volte sospiro sconsolata e penso: ecco signora Leoni, qui cominciano le sue ferie. Già prima di arrivarci, sulla stradina che percorriamo per raggiungerlo gli scossoni in macchina causati dalle voragini che la costellano, mettono a dura prova le mie  vertebre cervicali. Scendendo dalla macchina c’è vento, per forza siamo al mare ma la sua vista  è ostruita da centinaia di barche sollevate da terra e appoggiate a invasature che le rendono innaturalmente immobili, e quasi irraggiungibili se il cantiere non fornisse delle lunghe scale per arrivare al pozzetto di ognuna di loro, queste barche sono talmente vicine le une alle altre che sotto questo intrico di carene si forma una fitta ombra che sarebbe anche piacevole se il vento non sollevasse un polverone da farti lacrimare gli occhi. Lo stesso cantiere visto dal mare, a un paio di miglia dalla terra sembra un immenso bosco di soli tronchi secchi: centinaia e centinaia di alberi di barche riempiono compatti l’orizzonte,  si ha l’impressione di un panorama ectraterrestre.Il cantiere non è un posto per signorine eleganti, nemmeno per signorine normali, è un vero regno di maci, meglio se con un poco di pancia,  meglio se con barba da tagliare, l’ abbigliamento è… diciamo casual, meglio se macchiato di vernice. Lo si vede arrampicato in testa d’albero, o per metà immerso nei motori o alle prese con una centralina elettrica, ama disporsi a crocchio con i  suoi simili per discutere di baderne, prese a mare, e cinghie dell’alternatore che non si riescono ad allineare. Avvitano, svitano, carteggiano, verniciano, puliscono con l’idropulitrice, armano le loro barche e controllano che gli anodi sacrificali non siano consumati. Sono tutti super esperti ma i furgoncini di meccanici ed elettricisti non mancano mai in cantiere. Come non mamcano mai gatti famelici e affamati, gazze che rubano il cibo dei gatti e cani che cercano di fare altrettanto, c’è sempre un gran movimento di animali anche attorno alle enormi pattumiere. Le giornate passano frenetiche e verso sera avviene la trasformazione dei maci del cantiere, dopo la doccia sono tutti puliti, sbarbati e profumati,  scendono dalle alte scale appoggiate alle loro barche con calzoncini in tinta con la t-shirt, sembrano la pubblicità del Martini: già abbronzati col pullover sulle spalle e un’ aria da lupi di mare che la sanno lunga. Di donne in cantiere se ne vedono pochine sono per lo più all’interno delle imbarcazione a pulire e sistemare, quando scendono dalle alte scale  si destreggiano fra tavole di legno, catene e ancore penzolanti, a terra ci sono buchi con prese d’acqua a cui attaccare le canne, una vera gincana fra pericoli, non mancano improvvise cascate d’acqua dagli ombrinali delle barche, pozze di olio da raggirare o retromarce di macchine da scansare. Se proprio tutto va bene, rumori improvvisi e violenti fanno trasalire e miasmi di diluenti e vernici le assalgono. Lasciamo perdere le condizioni dei bagni e non parliamo nemmeno di una ben che minima comodità. All’occorrenza non mancano di aiutare i loro compagni, lo fanno, ma ne farebbero volentieri a meno. Infatti molte arrivano in cantiere a lavori terminati o si fanno venire a prendere in aeroporto prima del varo oppure fanno il part-time alloggiando in albergo la sera e lavorando in cantiere di giorno. Ho l’impressione che le donne facciano tutto questo per amore dei loro uomini  e del mare, altrimenti non si spiegherebbe tutto questo gran tramestio di  disagi e fatiche varie. Certo ci sono cantieri e cantieri, in alcuni ci sono ristoranti e negozi  e elettricisti e meccanici sono messi a disposizione (a pagamento) ma… non sono cantieri adatti ai nostri maci che vogliono farsi i lavori da soli. Solo la sera, quando l’officina del cantiere è chiusa e i trapani tacciono, quando gli effluvi delle vernici si sono diluite nell’aria, quando il sole si ritira e il cantiere sembra svuotarsi, solo allora spuntano lievi nel cielo le stelle e la luna si riflette nel mare ricamandolo con fili d’argento che danzano a pelo d’acqua. È solo allora che anche le donne del cantiere si materializzano e le vediamo aggirarsi al buio, indossano gonne lunghe, e orecchini pendenti, ben truccate e profumate, come i loro maci, pronti per una meritata cena al ristorante. Ho l’impressione che l’arte culinaria abbia un notevole peso per i frequentatori dei cantieri.  

 

 

 

 

 



 

 

  Ciao Giuseppina è un po’ che non ci si vede, siamo salite a Campagnano  in macchina, due persone per auto, per via del covid, ci sarebbe piaciuto di più raggiungerti  attraverso il sentiero nel bosco ma anche un solo anno in più pesa  sulla schiena e sulle caviglie, ma… non parliamo di queste cose, siamo venute da te per dirti che ci manchi, ci manchi davvero molto,  anche se a volte ci pare di  cogliere un movimento e ti rivediamo  mentre cerchi nella borsetta le chiavi per aprire la chiesa,  risentiamo  la tua parlata veloce, vediamo il tuo procedere spedito.  Sono immagini così vive, così chiare che ancora non ci capacitiamo che tu non sia più fra noi. Siamo venute nell’illusione di chiacchierare un po’ con te, come quando bevevamo il the insieme o come quando la sera facevi i mille lavori con Annamaria, o insieme alle altre si preparavano gli addobbi di Natale. Siamo venute per raccontarti come vanno le cose, ti parleremo dei piccoli cambiamenti, del tuo giardino in fiore, della mimosa sempre più grande, delle staccionate nuove, di Iris che ha quasi 3 anni e con la sua vocina riempie Orascio, i suoi occhi balenano curiosi ovunque, e corre, corre in salita e corre in discesa, si ferma solo per annusare i fiori, è una vera forza della natura. Non c’è molto altro da raccontare, tu lo sai, Orascio è un posto tranquillo, i cambiamenti sono talmente impercettibili che è difficile accorgersene. Ma tu, ci hai dato uno scossone tremendo. Eravamo a metà  marzo del 2020, in pieno lockdown, l’atmosfera era pesante, anche  Orascio, nonostante la primavera, aveva perso il suo smalto gioioso e confidenziale, una cappa di tristezza aveva avvolto tutti noi. La  chiesa chiusa, le mascherine, la distanza,  la paura e il silenzio, un silenzio strano, non assoluto, un silenzio solo degli umani, non della natura che anzi  in quei giorni sembrava esaltarsi, ampliarsi. Poi Giuseppina ti sei sentita male e…lì, ti abbiamo persa, pochi giorni dopo non c’eri più, non sei morta di covid, no, ma la cosa non ha consolato nessuno. Improvvisamente è cambiato tutto per tutti, atrocemente. Il 21  marzo del 2020, primo giorno di primavera ci guardavamo attoniti, increduli, e il covid è passato in secondo piano, il giorno della tua morte è stato per noi tutti  lutto cittadino. Scusaci, non volevamo rattristarti, scusaci, volevamo solo salutarti, stare un poco con te, come ai vecchi tempi, quando insieme raccoglievamo nei boschi il  muschio per il presepio, quando ci preparavi la pizza, quando sistemavamo i fiori nei vasi o le statuine nel  presepio. Ciao Giuse, scendiamo ad Orascio, altrimenti piangiamo di nuovo. Ci ha fatto piacere venirti a trovare e lo faremo ancora per stare un poco insieme. L’arrivo della primavera d’ora in poi per noi, non farà rinascere solo la natura ma terrà sempre vivo in noi il tuo piacevolissimo ricordo.  Ciao Giuse, le amiche di Orascio. 

E’ passato un po’ di tempo da quando ho avuto il piacere di leggere  il primo romanzo di Gino Corcione dal titolo “Il Maestro Di Violino”. Aspettavo una sua presentazione ufficiale per poterne parlare, ma il CV ha bloccato tutto, ma non ha bloccato Gino che a distanza di poco tempo  ha pubblicato un secondo romanzo dal titolo: ” La Nonna”. Se Gino corre io fatico a stargli dietro! Per cui, ora parlerò ampliamente del primo giallo: ” Il Maestro di Violino”. Mai un momento in cui poter interrompere la lettura. Si entra subito nell’azione, poi si delinea la figura del protagonista Napoleone Esposito, la Napoli degli anni 70 e dintorni sono il teatro delle sue avventure accompagnate da un corollario di personaggi. Ecco, sì, i personaggi sono molteplici e diversi, a volte grotteschi, altri tremendi. L’autore dosa sapientemente: eccessi e quotidianità, esplora e traduce per noi quella moltitudine napoletana che via via si interseca nel giallo. È uno scorrere continuo di fatti, situazioni che mutano, personaggi che si aggiungono. In tutto questo mondo, Napoleone Esposito, cerca di barcamenarsi, di capire, di scoprire. Così da ragioniere si improvvisa investigatore. Fra le tante difficoltà  Napoleone, detto Popò, dovrà vedersela di continuo con il suo ego, proveniente anche lui da Casal di Principe!  che non lo molla mai, sempre lì a fargli da grillo parlante. Dovrà vedersela col suo primo incontro – scontro con una barca a vela, con problemi economici, e quando apparirà Nadia, gli tremeranno le gambe. Ma questo non sarà nulla in confronto ai morti, e agli scontri che avrà con la camorra. 
È in questi frangenti che viene fuori il meglio di Napoleone: persona onesta e profondamente corretta che pur capendo certe situazioni non viene mai a compromessi. Il suo comportamento sarà vincente e avrà dalla sua altri napoletani: coraggiosi ed onesti, suore che rubano ma capirete il perché e persone che indossano panni che non gli appartengono, e anche di questo capirete il perché.
 Popò si muoverà su due indagini, sempre destreggiandosi nella sua Napoli. Nel 30° capitolo ne farà un inno emozionante dal quale traspare tutto il suo amore per Napoli. Scrive l’autore: Il Parco della Rimenbranza, detto anche Parco Virgiliano. Di giorno era metà di turisti. Un promontorio boschivo che all’improvviso, si affacciava sull’impossibilità. Poeti, scrittori e viaggiatori di tutti i tempi avevano tentato inutilmente di descrivere ciò che provavano quando lo sguardo volgeva a sinistra sul Golfo di Napoli, Mergellina, il Castel dell’Ovo, Castel S. Elmo, Capri e la Penisola sorrentina e di fronte e sulla destra Capo Miseno, Procida ed Ischia…
 È sensibile il nostro Popò, ma nei momenti cruciali tira fuori una bella grinta, e noi facciamo il tifo per lui. 
Al di là della trama, top secret per ovvi motivi, il romanzo giallo: “ Il Maestro Di Violino” è scoppiettante di vivacità,  ironico e di piacevolissima lettura, ho trovato personalmente solo qualche difficoltà nel leggere e tradurre le frasi dialettali in napoletano, ma, se noi lettori abbiamo imparato il siciliano attraverso i romanzi di Camilleri, certamente impareremo il napoletano con i romanzi di Corcione.
Ma non è tutto perché il nostro Gino Corcione è uno scrittore prolifico, come già spiegato, e il suo Napoleone Esposito detto Popò è alla sua seconda avventura con il nuovo romanzo giallo dal titolo “La Nonna”. In questo secondo romanzo Popò vede avverarsi la sua più grande aspirazione: diventare un vero investigatore, ma la sua personalità la farà sempre da padrona.
Se avete già letto: ” Il Maestro Di Violino” sarà un vero piacere veder crescere l’investigatore Napoleone Esposito, se non lo avete ancora letto, Corcione vi accennerà nel secondo romanzo: ” La Nonna” appena pubblicato, le sue origini e le sue aspirazioni. Sulla trama… Sempre top secret.
Una nuova avventura tutta da scoprire. 

  Il primo motivo per cui ho scelto di leggere questo romanzo è perchè me lo ha suggerito la mia amica Monica, per cui ero  certa di andare a colpo sicuro. Il secondo motivo è perché ho da poco tempo una nuova amica taiwanese e avrei voluto saperne di più sulla Cina, pur avendo già letto altri libri tra cui “Cigni selvatici, tre figlie della Cina” romanzo memorabile di Jung Chang. In questo caso mi interessava  sapere cosa scrivessero le nuove generazioni di autrici  cinesi e Karoline Kan, con il suo romanzo: “ Sotto cieli rossi” Diario di una millennial cinese, ha soddisfatto molte delle mie curiosità ed è andata oltre le mie aspettative.  L’autrice nelle prime 4 pagine, ci da una precisa cronologia storica, che non guasta mai, sulla Cina dagli anni 1945 fino ad oggi. Poi passa a raccontare della sua vita prima che venisse al mondo, dando un quadro completo di quello che succedeva ai suoi genitori negli anni ‘80 in cui la faceva da padrona la politica del figlio unico. La protagonista di questo romanzo  è una secondogenita, con tutte le conseguenze del caso e vivrà costantemente con la paura di essere portata via dalla polizia. Governo, funzionari, commissioni, autorità, poliziotti, regole, divieti, obblighi, popolano i 18 capitoli di questo romanzo ma Chaoqun, vero nome dell’autrice di questa storia autobiografica, che vuol dire fuori dal coro, ha alle sue spalle generazioni di donne non da poco. Si legge a pag. 47: Più tardi, quando mia madre mi raccontò dell’incrollabile supporto ricevuto da Guiqin, rimasi sorpresa solo in parte. Le donne della mia famiglia quelle da cui discendo anch’io, sono così: ostinate. Mi hanno spronato ad andare avanti, risoluta e senza paura, proprio come hanno dovuto fare loro per permettermi di esistere.  Ed è con questo spirito  che la narrazione prosegue, anno dopo anno, avvenimento dopo avvenimento: trasferimento, scuole, nuovi vicini, lavoro. Ma sono anche un fiume di particolari, di impressioni, di profumi, di colori, di paesaggi mai uguali che arricchiscono questo racconto così accorato e drammatico, così reale ma nel contempo pieno di sogni.   Non è poi così difficile immedesimarsi con la piccola Chaoqun quando si nasconde per la paura, fa tenerezza,  anche se il contesto è diverso dal nostro, la paura dei bambini è sempre tragica. La  osserviamo adolescente, oberata dai compiti di studentessa, impegnatissima per raggiungere il traguardo, ma ha anche il tempo per farsi  domande e darsi risposte che a volte non le piaceranno, e infine la ritroviamo adulta,  alle prese coi genitori  che contesta. Come non volerle bene, come non tifare per Lei, così apparentemente fragile in un mondo così granitico. Ogni pagina andrebbe  riletta per poterla assaporare meglio. Miriadi di storie, di aneddoti, descrizioni di vecchie pettegole, e integerrime funzionare.    Leggere oggi, nel 2021 tutte le vicissitudini di Karoline Kan mi ha fatto trasalire più volte, la sua data di nascita 1989 corrisponde alla rivolta degli studenti in piazza Tienanmen con le conseguenze che tutti conosciamo ma che ancora oggi il governo cinese rifiuta di commemorare. Ma il 4 giugno del 1989 quanti anni avevo io? Cosa facevo? Come avevo vissuto quella notizia? Non me lo ricordo chiaramente, ma leggerlo in questi giorni da un libro ha avuto su di me un effetto dirompente, ho riletto date ed episodi, le condizioni drammatiche di un intero popolo con la Grande Carestia, la tragedia delle donne, corruzione, ingiustizie, e la voglia di riscossa. Ho ritrovato Mao Zedong, di cui mi parlava mio padre da bambina. L’avvento della Rivoluzione Culturale, le guardie rosse che impazzano nel 1966; io forse in quegli anni  avevo il primo fidanzatino, lo so che la cosa non interessa  nessuno, ma volevo dire che la Storia va avanti anche se noi dormiamo. E ancora: Deng Xiaoping, La SARS nel 2002 e in fine Xi Jinping, attuale presidente in carica. Rileggere oggi la Storia che mi è scivolata addosso senza coinvolgermi troppo perché lontana, mi ha confusa e amareggiata. Oggi forse è diverso perché sono adulta, perché la Cina e altri paesi non sono più così lontani. Ancora una volta la lettura di un libro mi ha aiutata a comprendere meglio alcune realtà, non solo curiosità, non solo Storia, ma anche comprensione. Tutto molto  al di là delle mie aspettative.   Scrive Karoline: Per comprendere la Cina e i cinesi è necessario immaginarsi qui, chiedersi come ci si sarebbe comportati al posto delle famiglie di questo libro, che alle spalle avevano determinate tradizioni politiche e culturali. E’ molto più facile biasimare la Cina che capirla davvero, è più facile giudicare i cinesi che tentare di conoscerli. Ma sono certa che la ricompensa per chi ci prova sarà grande, tanto quanto il rischio per chi rinuncia. Be… se volete anche Voi  la ricompensa, non mi resta che augurarvi 297 pagine di strepitosa lettura.

Quest’anno eravamo pronti: a Natale saremmo stati soli, per cui non valeva la pena di tirare in ballo tutte le scatole e scatolette per addobbare dentro e fuori casa con albero, luminare e presepe. Niente preparativi culinari pantagruelici, niente pacchettini con i regali, niente sfilze di bigliettini, niente caos totale di carte natalizie e nastrini rossi e dorati, niente sbuffamenti dei nonni, niente urla dei ragazzi, ma soprattutto niente esplosioni di abbracci e baci che nascono spontanei nel ritrovarsi tutti insieme La situazione si presentava talmente assurda, talmente triste da farmi reagire: va bene, saremo soli, ma la stella luminosa la possiamo mettere senza faticare tanto, e il pranzo sarà diverso, certo, le cosine che di solito preparo per Natale non le farò perché proprio non mi va di mangiarle noi due, soli soletti, ma comunque qualcosa di buono si può preparare. Avevo avuto anche una mezza idea di apparecchiare con i piatti della nonna, quelli belli col bordo d’oro e i bicchieri di cristallo, idea subito scartata al pensiero che avrei dovuto, dopo, lavarli a mano. Anche se era solo il 10 dicembre, l’atmosfera del Natale, per quanto ridotta, mortificata, svilita e resa claustrofobica dal virus e dai vari Dpcm, spingeva, spingeva di brutto. Non mi aspettavo certo delle sorprese, ma avrei fatto di tutto per fregare il virus. Ho cominciato col telefonare agli amici, lunghe chiacchierate che altre volte non mi concedevo, li ho sentiti tutti, ma proprio tutti e, a tutti, pochi giorni prima del Natale ho inviato il più bel messaggino musicale, selezionato fra quelli ricevuti, con immagini della natività eseguiti dai nostri migliori pittori. Nelle ultime giornate di libertà abbiamo concentrato: spesa, dentista, farmacia e una mezza giornata per rivedere nostra nipote: all’aperto, con mascherina, e distanziati, senza baciarci o abbracciarci, un vero supplizio di Tantalo per noi nonni. Nel rientrare a casa, prima del coprifuoco abbiamo scartato l’idea di addentrarci in centri commerciali per acquistare pensierini, ma in prossimità della nostra pasticceria Belli di Cunardo, la nostra preferita, non abbiamo resistito e dopo esserci disinfettate le mani col gel abbiamo acquistato un bel quantitativo di piccoli panettoni artigianali che nei giorni seguenti abbiamo regalato ai nostri vicini di casa con aggiunta di una buona bottiglia. Non potevamo fare altro. Pochi giorni prima di Natale hanno cominciato ad arrivare corrieri con pacchi dono, sono arrivati fiori, i vicini ci hanno portato cassettine di cachi e di kiwi, biscottini tanto belli che è stato un peccato mangiarli, cioccolatini artigianali, e tante altre leccornie. Enrico mi ha spiegato che la motosega nuova arrivata col corriere era il mio regalo per lui, e allora ho provveduto anch’io a farmi un regalo “da parte sua” arrivato via corriere, alla faccia del corona virus . Bene, ora siamo a posto, soli ma organizzati, soli ma sereni. Comunque soli. E’ Natale, “auguri amore” il primo bacio della giornata è partito, siamo vestiti bene, la tavola è apparecchiata, l’arrosto è cotto e l’insalata è pulita, il panettone siciliano è ancora impacchettato. Dal CD le musiche di Natale impazzano e Enrico ha recuperato due cappellini di Babbo Natale che indossiamo. Mancano le poche telefonate ai più intimi e poi, più tardi mangeremo. Ma… il telefono suonerà in continuazione: “ Auguri, auguri, come state? Noi stiamo mangiando L’oca!”. “Ciao, Auguri anche a Voi, noi siamo ancora ai ravioli di zucca”. Poi c’è stata la video chiamata. E poi un’altra. E’ arrivata la foto con la tavolata di katy e Oliviero con la loro fonduta taiwanese. Gli Auguri di Giulia e subito dopo la foto del suo polpettone al forno. Ha suonato il campanello e siamo usciti per ricambiare gli Auguri. Dall’Olanda le immagini del pezzo di cervo in pasta sfoglia di Ludolf e la sua foto in cucina mentre lo prepara. Poi altre chiamate... e anche noi arrivati a fine pranzo abbiamo contraccambiato inviando la foto del nostro panettone ricoperto di crema al pistacchio “Siamo al dolce!” Tutte queste chiamate sono state come un’esplosione di fuochi d’artificio: una dietro l’altra, a raffica, intense, calorose, spumeggianti, piacevolissime e inaspettate. Il botto finale, lo abbiamo provocato noi, stappando lo spumante e brindando alla loro salute. In questo tormentato Natale avremmo dovuto essere soli. Ed eravamo soli. Ma non ci siamo sentiti soli. Proprio un bel regalo di Natale

Quando nel 1968 Dario Fo scrisse il testo della canzone cantata da Jannacci: Ho visto un re, tutti i protagonisti piangono per le disgrazie che gli capitano, solo il villano non piange, anzi ridacchia perché sempre allegri bisogna stare. Naturalmente Dario Fo da sottile autore ci spiegherà tutte le implicazioni per cui, il più povero, il più modesto, il più colpito dalle disgrazie debba ridere. L’ingiustizia è il nocciolo di questo testo e l’esilarante ironia ne fa un capolavoro. Ed è a questa canzone che ho pensato quando il C.V. ci ha colpiti tutti, anche se in questo caso c’è poco da ridere. Ma il coinvolgimento totale: dai re ai cardinali, dai politici ai calciatori, dai medici agli infermieri, dai cittadini comuni ai più diseredati ci ha resi uguali davanti al C.V. È cosa facciamo noi? Noi che non abbiamo affossato la ricerca. Noi che non siamo e non eravamo i responsabili della sanità quando era il momento di adeguare gli ospedali alla preannunciata pandemia. Noi che non abbiamo tagliato i fondi alla sanità negli anni precedenti. Noi che non abbiamo sminuito il lavoro del nostro medico di famiglia. Noi che non abbiamo deciso di non assumere più i medici e infermieri quando andavano in pensione. Noi che non abbiamo rubato, che non siamo in politica e nemmeno imprenditori compromessi con loro. Noi cosa facciamo oltre a constatare la tragedia della situazione. Noi facciamo come il villano di Dario Fo: noi ridiamo, anche se c’è poco da ridere. Perché ridere ci aiuta, sdrammatizza, e fa bene anche al sistema immunitario. Facciamo quello che possiamo, ci aiutiamo da soli ridendo di una vignetta sul C.V. arrivata sul telefonino. La cosa è assurda, irreale, irriverente, persino oscena se solo pensiamo alle vittime. Invece noi pensiamo di fare ridere un amico inviandogliela subito. Quegli attimi immobili davanti a un video e alla fine quella risata liberatoria, quell’allentare la tensione, quel pensare ad altro per pochi secondi. È passato di tutto sotto i nostri occhi: frasi, video, fotomontaggio, non si è salvato nessuno: dall’arte, con Monnalisa ingrassata, ai soliti carabinieri, ai vecchietti, ai bimbi, al sesso, ai politici. Abbiamo sentito i dialetti di mezza Italia declamare filastrocche o barzellette, la fantasia degli italiani si è scatenata a chi la sparava più bella. C’è poco da ridere è vero, non me ne voglia nessuno, ma, ridere è una prerogativa umana, ne hanno scritto e parlato filosofi, sia nell’antichità che in tempi moderni. Pasquino, la statua parlante, a Roma per denunciare le malefatte papali e non solo, con la sua satira in versi colpiva i potenti e faceva ridere il popolo. Ridere è una terapia, una sonora risata può diventare contagiosa, e certe volte si ride fino alle lacrime, il solletico è la passione di molti e la disperazione di altri. Cominciamo presto, il sorriso del neonato ci fa letteralmente sciogliere Ma… c’è poco da ridere. Questa pandemia ci costringe, ci isola, ci limita, ci condiziona nel nostro privato e ci angoscia collettivamente. Non è solo la televisione con le notizie da tutto il mondo, no, lo percepiamo vicino a noi: in condominio, in fondo alla nostra via, nel nostro rione e comune, persone che conosciamo, i nostri cari in famiglia e quelli lontani per cui non possiamo fare niente. Purtroppo è toccato a quasi tutti. Per sentirci più vicini ci telefoniamo, ci messaggiamo, ci inviamo vignette e ridiamo, anche se… c’è poco da ridere. Così i giorni passano, la clausura avvilisce, il risultato del tampone che non arriva logora e ci aiutiamo da soli, attaccandoci a tutto, anche ai ricordi dell’infanzia quando a farci ridere era il signor Bonaventura, così mio fratello Luciano, in isolamento da una vita, si mette nei panni del Signor Bonaventura e racconta la sua disavventura con sagacia ed ironia. A me è piaciuta molto perciò la prendo in prestito è la pubblico qui col suo permesso a beneficio dei lettori, perché se è vero, come è vero, che non ci sia molto da ridere è anche vero che una sana risata non può che far bene. Qui comincia la sventura del signor Bonaventura: l’ospedal che l’ha operato, l’ha col Covid contagiato! Di controllo fa il tampone ma cocente delusione, non gli danno il risultato, ..va su internet cercato! .. e continua la sventura del signor Bonaventura che non trova, con sconcerto traccia alcuna del referto! Sembra proprio sia sparito! Di sicuro, è garantito, Il nemico dichiarato, BARBARICCIA l’ha involato! Il malvagio, è questo il fatto, si diverte come un matto, e il referto renderà solo quando gli parrà. Ma che ha fatto quel malnato?! Il responso gli ha cambiato! Lo sperato negativo ha mutato in positivo! Il signor Bonaventura giallo per la gran paura, per uscire di prigione ..PAGHEREBBE LUI IL MILIONE!! Epilogo (26/11/2020) Si conclude l’avventura del signor Bonaventura: Or che un mese è già passato, lui guarito e’ giudicato: pur se l’ultimo tampone non da ancor notizie buone, tosse e febbre non ci sono! Vale cio’ un MILIONE buono! Luciano (a imitazione di Sergio Tofano)

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La premessa

Giovedì 8 marzo ore 19. Le donne si raccontano. Una serata tra note, parole e immagini con le amiche dell’ A. I. S. M. Partecipano Anita Mandelli e Claudio Mella. Siamo felici di invitarvi all’ Apericena di apertura. Ingresso libero

Sono appena rientrata dal Punto d’Incontro del comune di Maccagno. E’ stata una bella serata organizzata dall’Associazione italiana Sclerosi multipla (in pratica dai volontari della nostra zona). E’ stata una serata istruttiva, toccante e anche allegra. La maggior parte dei partecipanti era al corrente delle problematiche della malattia e chi, come me, ne sapeva poco ne è uscita arricchita da tanta solidarietà, dal tanto impegno dei volontari, da tanta fatica per raggiungere obbiettivi a beneficio dell’ Associazione. Si respirava una bella aria… e fra una testimonianza e una poesia di Alda Merini e Pablo Neruda, fra un resoconto dell’Associazione e musica, fra diapositive e canzoni di Fabrizio de Andrè, la serata è volata in leggerezza e positività. Non sembrava mancasse nulla: la sala era piena, il Sindaco ha fatto il discorso, il rinfresco offero dallo sponsor, gardenie e ortensie acquistate per beneficenza, sorrisi, baci, abbracci, eppure… mi ha fatto male constatare che i maccagnesi presenti fossero veramente pochi. Questa volta è stato tradito il vero significato del luogo. Nel “Punto d’Incontro”, l’incontro è mancato, e i maccagnesi hanno così perso una buona occasione e… peggio per loro.

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Probabilmente è una storia conosciuta da molti, anche se si è svolta fuori dall’ Italia ed è collocata nel passato. I suoi protagonisti sono molteplici e i fatti abbracciano l’arte e purtroppo anche la tragedia dell’olocausto. Insomma una trama complicata ma tanto affascinante da farmi venire voglia di raccontartela. Ma… potrei sbagliare un nome o dimenticare una data oppure omettere un fatto cruciale, e… siccome la storia è vera, la responsabilità è tanta. Quindi, questa storia, di cui ho appena visto il film “Donna in oro”, cercherò di riassumerla qui per iscritto e… pazienza se altri la conoscono già.

Non avere discendenti maschi è stato un problema che non ha riguardato solo le famiglie reali. Nel nostro caso, per accontentare il banchiere Moriz Bauer che non aveva avuto figli maschi, la famiglia della figlia, Maria Teresa Bauer, sposando Gustav Bloch amplil cognome in Bloch-Bauer. La ricca famiglia ebraica dei Bloch-Bauer viveva in pace e d’accordo nella stessa palazzina al centro di Vienna con il fratello Ferdinand sposato ad Adele Bauer; questi ultimi si occupavano dell’industria dello zucchero, ereditata dal padre di Ferdinand, e non ebbero figli, mentre Gustav Bloch era avvocato e con la moglie Maria Teresa aveva avuto 3 figli: Leopold, Luis, e Maria; Maria in particolare era molto affezionata alla zia Adele, che dal canto suo non mancava di affetto ed attenzioni per lei. Tutti in famiglia erano appassionati di arte e musica: a casa loro si riunivano, oltre che a politici influenti, anche artisti del calibro di Johannes Brahms, Richard Strauss, Wagner, Gustav Klimt e molti altri. Siamo all’incirca nei primi del ‘900.

Ti ricordi la stampa del quadro Il Bacio di Gustav Klimt appesa in camera? Questo pittore è importante per questa storia. E… le altre due stampe con i mosaici di Ravenna? Anche quelli c’entrano, perchè Klimt, dopo essere andato a Ravenna per due volte nel 1903, rimane affascinato dai suoi maestosi mosaici bizantini e dall’oro musivo che gli ricordano i lavori del padre e del fratello, che erano orafi. Questa esperienza cambierà il suo modo di dipingere: verrà chiamato il suo periodo d’oro. A Vienna è il 1907 quando la signora Adele BlochBauer commissiona al pittore Gustav Klimt un suo ritratto che diventerà famosissimo, forse più del Bacio che conosci tu, perchè fu al centro di una storia rocambolesca, che si concluse solo nel 2006… quando tu compivi 2 anni!

Chi? Dove? Come? Quando? Perchè? Queste erano le nostre regole per inventare storie quando eri piccola, una io e una tu. Se la storia non rispondeva a tutte le domande, non era valida.

Ma chi è il soggetto di questa storia? Gustav Klimt che dipinse il quadro? Adele Bloch-Bauer che ne fu modella e committente? Il quadro stesso? O chi altri, visti i personaggi già citati e altri ancora che verranno?

Per capire, bisogna tornare in casa Bloch-Bauer, e osservare la timida e piccola Maria, che viene invitata dalla zia Adele ad allacciarle al collo una sontuosa e particolarissima collana tempestata di pietre preziose, la stessa collana indossata nel ritratto eseguito da Klimt, che troneggia sulla parete del salone. La zia non ha figli e Maria è la sua prediletta: le parla, l’ ascolta e la sprona a non aver paura. Quando la zia Adele morirà prematuramente di meningite nel 1925, Maria ha 9 anni e la sua perdita le peserà tantissimo. Gli anni passano, siamo nel 1937, il clima politico è ostile agli ebrei e lo zio paterno di Maria, Ferdinand, fugge prima in Cecoslovacchia e, all’incalzare dei nazisti ripiega in Svizzera dove presso una banca, tramite un fondo fiduciario, trasferisce tutti i suoi interessi pensandoli al sicuro. Non sarà così perchè la banca svizzera, anziché proteggere i suoi beni, li cederà sotto pressione del governo austriaco a persone di fidata razza ariana. Ferdinand prima di fuggire sprona il fratello Gustav a fare altrettanto, ma questi, incredulo di quello che sta già succedendo, rimane in balia della barbarie nazista. Maria, il giorno prima che lo zio parta, si sposa con Frederick Altmann, un cantante lirico. Il matrimonio è celebrato con grande sfarzo in casa Bloch-Bauer. Terminata la cerimonia Maria Altmann riceve dallo zio Ferdinand come regalo di nozze la famosa collana della zia Adele. Gli sposi partono in viaggio di nozze per Parigi, ma quando tornano la situazione è precipitata; anche il fratello di Frederick, Bernhard Altmann, è fuggito in Inghilterra lasciandogli la gestione della sua fiorente industria tessile. Sono momenti tremendi: i nazisti terrorizzano, uccidono, torturano, deportano, fanno prigionieri; ricattano Maria, deportando a Dachau suo marito, al fine di accaparrarsi tutti i beni di famiglia. Anche Palais Elisabethen dei Block-Bauer nel 1939 viene derubato di tutto. I quadri finiranno in collezioni private e ne beneficiarono anche il dittatore Hitler e il generale Göring. Il resto fu venduto. Alcuni quadri di Klimt, compreso il ritratto di Adele Blok-Bauer, finirono alla Galleria Belvedere di Vienna dopo vari passaggi.

Non c’è più tempo… se vogliono sopravvivere i giovani sposi devono fuggire subito. Solo nel 1941, dopo diversi trasferimenti, riescono finalmente a stabilirsi negli Stati Uniti, dove, nel 1945, otterranno la cittadinanza statunitense. Due anni prima il cognato Bernhard Altmann, anche lui negli Stati Uniti dal 1939, avvia un’attività tessile nella quale coinvolge, per la vendita dei capi in cashmere, anche Maria e il fratello. Gli affari vanno benissimo per tutta la famiglia, ma quando nel 1955 Bernhard si ritira, a Maria non resta che il suo negozio di abbigliamento. Con suo marito cresce i tre figli e la sua vita si avvia alla normalità. Le tragedie delle persecuzioni antisemite sono finite, e nonostante tutto lei si ritiene fortunata perchè ne è uscita viva.

Alla luce di quello che ti ho raccontato fino adesso, alla domanda: “Chi?” Posso risponderti: “Per il momento è Maria la protagonista”. Ma la storia continua. Alla domanda: “Dove?” E’ più facile risponderti: “Siamo partiti da Vienna, un viaggio di nozze a Parigi, deportazioni a Dachau e per fuggire dai nazisti altri spostamenti in Svizzera, in Inghilterra, negli Stati Uniti, e come vedremo più avanti anche il Canada e nei dintorni di Praga. Ma sarà Vienna il luogo prescelto e per più di un motivo. Anche se la nostra protagonista Maria Altmann aveva giurato che non ci sarebbe mai più tornata”.

La guerra è finita e Leopold, fratello di Maria, che si era rifugiato con la mamma a Vancouver in Canada, tenta di recuperare i beni di famiglia, ma a Vienna non vogliono sentire ragioni e i suoi tentativi andranno falliti. Bisognerà arrivare al 1998, quando il giornalista austriaco Hubertus Czernin, potendo consultare gli archivi del Ministro della Cultura, viene a capo di un mistero che fino a quel momento aveva impedito ai Bloch-Bauer di tornare in possesso del dipinto di Gustav Klimt intitolato: “Ritratto di Adele Bloch-Bauer”. Hubertus scrive un libro nel quale si scopre che il proprietario del quadro è ancora lo zio di Maria Altmann, Ferdinand, anche se sua moglie Ada avrebbe voluto lasciarlo in eredità alla Galleria del Belvedere di Vienna; ma Ada era morta nel 1925 quando il quadro ancora apparteneva alla ricchissima dinastia degli industriali Bloch di origine ebraica. Mai Ada avrebbe immaginato gli orrori della guerra e che i nazisti, dopo il furto, avrebbero cambiato il titolo al suo ritratto, perchè lei era ebrea, chiamandolo “La donna in oro”. Mai avrebbe immaginato che la sua collana, ritratta nel quadro, finisse sul collo della moglie del generale tedesco Göring.

Non tutto è perduto, pensò Maria Altmann quando venne a conoscenza di questi fatti, tanto più che lo zio Ferdinand, spogliato di tutto dai nazisti, aveva comunque, prima di morire, fatto testamento: aveva lasciato tutto ai 3 nipoti, compreso un castello fuori Praga che gli era stato confiscato dal generale tedesco Reinhard. Non tutto è perduto, continuò a pensare Maria, quando venne a conoscenza del fatto che il governo austriaco, per cercare di rimediare ai furti perpetrati dai nazisti ai danni degli ebrei, permetteva la restituzione delle opere d’arte. E qui di seguito il “Come” Maria si impegnò a rientrare in possesso del ritratto della zia Ada. La pubblicazione del libro di Hubertus Czernin la fece illudere che presto avrebbe ottenuto quello che voleva, anche perchè ormai aveva 83 anni. Per risolvere la questione si affidò al giovane avvocato Randol Schonberg, persona fidata, perchè figlio di amici e nipote di un famoso compositore ebreo, anche lui fuggito da Vienna. Maria pensava di cavarsela inviando l’avvocato a Vienna e, quando capì che la sua presenza sarebbe stata indispensabile, tutti i fantasmi del passato si ripresentarono e dovette fare appello a tutte le sue forze per ritornare di nuovo a Vienna. In quell’aula, quel giorno, erano in molti gli ebrei che rivendicavano il possesso dei loro averi: tutti raccontarono con molta fatica cosa fosse successo e in che modo fossero stati derubati di tutto: per primo ci tolsero la dignità, poi l’identità culturale, la libertà e i beni terreni. Altri raccontarono delle vite dei loro parenti rubate per sempre, altri ancora viaggiando nei ricordi del passato non poterono fare a meno di piangere. Quando a parlare toccò a Maria Altmann, fece un discorso lucido e concreto; disse fra l’altro che avrebbe donato volentieri alla Galleria del Belvedere di Vienna il quadro della zia Adele, essendo questo un simbolo per Vienna, ma che voleva le fossero restituiti tutti gli altri. Il comitato per la restituizione rifiutò la sua offerta e le propose in cambio dei bozzetti di Klimt e delle ceramiche. Maria rimase esterefatta e chiese al suo giovane avvocato di intraprendere un’azione legale contro il governo austriaco. Ma il governo pretendeva una tassa di deposito esorbitante, visto il valore dei quadri contesi. Non disponendo di quella cifra, Maria rinunciò all’azione legale e tornò negli Stati Uniti con il suo giovane avvocato.

La storia non è ancora finita e vorrei soffermarmi su di un preciso momento di questa complicata avventura, rispondendo così alla domanda “Quando?” E’ chiaro che le date sono tante e anche molto importanti se pensiamo all’avvento del nazismo, o alla fine della guerra e a molti altri eventi; c’è infine un momento in cui il giovane avvocato Randol Schonberg rimarrà sconvolto tanto da sentirsi male fisicamente. Rientrato negli Stati Uniti dirà alla moglie: “E’ successo qualcosa a Vienna, ho vissuto attraverso i ricordi dei sopravvisuti dell’olocausto delle emozioni fortissime, solo adesso ho capito, anche se già sapevo tutto.” E’ in quel preciso momento, cara nipote, che attraverso la memoria diretta dei sopravvissuti lui prende coscienza, si sente partecipe, soffre, e finalmente capisce. Non sempre sapere vuol dire capire, e se attraverso la memoria possiamo capire, puoi immaginare quanto sia stato importante quel momento e quanto sia importante la memoria: Per primo ci tolsero la libertà, la dignità, l’identità culturale e i beni terreni. Altri raccontarono delle vite dei loro rubate per sempre, altri ancora viaggiando nel ricordo del passato non poterono fare a meno di piangere. Per Randol Schonberg, giovane e inesperto avvocato, non sarà più una questione di vincere o perdere, non importano i soldi, non importa il suo prestigio, vuole giustizia. Quando finalmente trova un modo per far svolgere il processo negli Stati Uniti la signora Maria Altman ha 88 anni e lui si rende conto che non c’è tempo da perdere e propone perciò un arbitrato da tenersi a Vienna. In pratica, tre persone si riuniscono, leggono le ragioni delle due parti e poi decidono, naturalmente una persona a favore della Altman, una a favore del governo austriaco e una terza neutrale. Il giovane avvocato non scrive, fa un discorso, talmente toccante da far decidere che Maria Altmann ha ragione e le saranno restituiti tutti i suoi quadri. La storia è finita, ma in realtà è molto più complicata di come l’ho raccontata, perchè forse avevo paura di annoiarti, ma se ti piacesse saperne di più, fai come me che dopo aver visto il film “Donna in oro” ho trovato in rete il Blog: “Da Vinci Experience”, che racconta dettagliatamente questa storia. E meno male, altrimenti come avrei fatto a ricordarmi tutti i passaggi, i nomi e le date!

Chi? Come? Dove? Quando? Questa storia non è ancora valida, devo ancora rispondere alla domanda più difficile, perchè la guerra?

Sono talmente tante le risposte che non saprei da che parte incominciare, eppure sappi, che alcune guerre sono state scatenate inventandone il motivo, solo perchè le si voleva combattere. Nessuna ragione può essere valida per muovere guerra contro altre nazioni, nessuna, e, fra l’altro, quelli che decidono le guerre mandano gli altri a combatterle.

Sulle guerre posso dirti solo una cosa: è solo prima che si possono evitare. Ti assicuro che ci vuole molto coraggio anche per questo. Non è un caso che i primi morti voluti da Hitler, nella seconda guerra mondiale, fossero proprio i suoi connazionali che gli si opponevano. Loro avevano capito e sapevano quanto sarebbe stato pericoloso. E oggi? Come nonna mi sento in dovere di avvisarti: E’ la difesa della nostra democrazia che non ci farà ricadere nella dittatura. E’ la cultura, la libertà di informazione, è il sapere che ci permette di capire e valutare per il meglio; ma questo non basta. Bisogna impegnarsi affinchè l’ignoranza non trionfi, bisogna non sottovalutare cori razzisti indegni, episodi esecrabili: chi li commette ignora, non sa, non ha memoria. Non può l’ignoranza crescere, unirsi in gruppo e per questo sentirsi forte ed orgogliosa. L’ignoranza è solo una fabbrica di pecoroni pericolosissimi. Perchè tanta ferocia nei confronti degli ebrei? Questa è una domanda che mi facevo anch’io da ragazzina. Nel frattempo ho visto un sacco di documentari e letto molti libri in proposito. In Germania gli ebrei, prima della guerra, occupavano posti importanti, erano industriali, banchieri, professori universitari, erano ricchi e questo non andava bene ad Hitler che con la scusa della razza ariana li ha derubati di tutto. E’ brutto dirlo, ma i treni che partivano per i campi di concentramento stipati di ebrei ritornavano pieni di merce che gli era stata sottratta. Ed è solo una briciola di quello che i nazisti gli hanno rubato. Questo è solo un particolare, ma la ferocia agghiacciante, quella, è stata disumana e non c’è un perchè che lo giustifichi. Oggi, non dimenticarlo, tenere viva la memoria, potrà forse evitare altre catastrofi come quella dell’olocausto.

Questa storia mi ha dato l’opportunità di parlarti non tanto della guerra, ma di come sia importante darsi da fare per evitarla. Ma la parte più leggera del racconto riguarda Gustav Klimt. E siccome ultimamente mi hai raccontato con entusiasmo come a scuola ti abbiano insegnato a leggere e riconoscere un quadro impressionista, sono certa che troverai interessanti alcune notizie su di un gruppo di giovani artisti che a Vienna nel 1897 fondarono “La secessione Viennese”. Devi sapere che il pittore Gustav Klimt, nel 1888 era già considerato un bravissimo pittore tanto da ricevere dal suo imperatore Francesco Giuseppe una benemerenza ufficiale. Ma lui, cercò sempre di migliorarsi, di trovare nuovi modi per esprimersi e con un gruppo di amici nel 1897 fondò “Il secessionismo viennese”, Un’arte fuori dalla classicità contemporanea, controcorrente ed innovativa. Naturalmente furono criticati per questo, ma loro perseverarono in quello in cui credevano, tanto che il palazzo della secessione Viennese progettato dal giovane architetto Joseph Maria Olbrich fu deriso, sbeffeggiato e paragonato ad “un gabinetto”. Oggi è il museo più visitato a Vienna!

Se vuoi, adesso tocca a te, le regole sono le stesse: Chi? Come? Dove? Quando ? Perchè. Sarò felice di ospitarti sul blog.

Bacioni nonna Lella