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Carissima Chiara, purtroppo ho perso il suono della tua voce che pure mi era così piacevole e rassicurante, che mi ha accompagnato in questi ultimi 2 anni durante la pratica Yoga che ho cercato di continuare da sola. Rimane invece, intensa e forte, quando ci penso, la sensazione di serenità che coglievo quando ad occhi chiusi seguivo la pratica dal vero.

Il tuo volto si è velato e finisce per svanire nel desiderio del ricordo che non riesco più ad afferrare, tranne la dolcezza dei tuoi occhi che non credo riuscirò a tradurre in parole. Una sensazione di sana vitalità: pulita, semplice, chiara, come il nome che porti con tanta naturalezza.

La tua immagine, invece, è ancora nitida, ad evidenziare il corpo armonioso e flessibile, avvolto dalla mitica tuta bianca, comoda e leggera.

Ho nostalgia del nostro primo approccio, quando, con il tuo dire garbato ci hai spigato perché era necessario non chiacchierare, non distrarsi, non fare rumori e gesti inconsulti, come dire… non consoni alla pratica e muoversi di conseguenza. Mi era sembrato eccessivo, ma in seguito ho capito che avevi ragione e ti ho seguita fiduciosa.

Sei riuscita ha creare un’atmosfera particolare, dove ognuna di noi era in sintonia ed unione con le altre. Non di meno hai saputo farci sentire uniche, informandoti sulle nostre sensazioni o fastidi, sulle nostre necessità ed esigenze. Mi hai scritto una volta: “Ricordo ancora quali asana ti avrebbero fatto bene”.

La tua attenzione non mollava mai, sempre a ricordarci di non distrarci coi pensieri, di ritornare a noi stesse:     “qui ed ora” dicevi.Allentate i muscoli della gamba che non sta lavorando”.

Altri ricordi si sono persi, peccato.

E come siamo cambiate dopo due anni di pratica. Molte neofite, alcune decisamente arrugginite, altre giovani e forti, ma entrambe desiderose di armonia, equilibrio e scioltezza.

Abbiamo trovato molto di più.

Poi mi sono trasferita e sono rimasta senza Maestra. Nei due anni successivi è stato molto difficile ricordare le asana che diventavano numericamente sempre più scarse e di conseguenza più ripetitive. Difficile anche regolare a dovere la respirazione. In quel periodo è stato fondamentale il ricordo della tua voce, il viso, l’immagine del tuo corpo che si muoveva senza alcuno sforzo. Poi come ti scrivo all’inizio di questa lettera, poco alla volta tutto è sfumato ed è rimasta una grande nostalgia.

Ripenso spesso alla sala comunale che ci ospitava: con il tetto in legno a vista e due delle pareti costituite da ampie vetrate da cui la luce andava scemando mano a mano che la lezione proseguiva, le file di sedie rosse che accatastavi sul fondo della sala prima di ogni pratica, Il profumo d’incenso, il sottofondo musicale e i tappetini sul pavimento: su 3 file, per tutta la lunghezza della sala, ben allineati, come dei soldatini, vicini vicini. Quelli proprio non li ho mai digeriti, non ho mai capito perché pur avendo a disposizione una intera sala, dovessimo “azzepparci”. Cercavo sempre una posizione laterale dalla quale poter allontanare il mio tappetino, non so se non te ne sei mai accorta, oppure facevi finta di niente. Era il mio modo per sentirmi libera, e la libertà ha sempre un prezzo: ribellarsi alla Maestra.

La nostalgia è piacevole quando accarezza i ricordi, anche in frangenti complicati, come quando avevi perso le chiavi della sala comunale che poi hai ritrovato nel bagagliaio dell’auto, sotto la ruota di scorta. Solo tu, con la tua calma potevi arrivare a quella chiave, in quel punto, dopo ragionamenti ponderati e senza ansia.

Ma la nostalgia più grande va alla tua capacità di condurci durante il rilassamento finale, dove ogni parte del nostro corpo assumeva peso e consapevolezza, dove la nostra mente, dopo essere stata guidata, si alleggeriva, corpo e mente finalmente in pace con se stesse e con il resto del mondo.

Sto esagerando? Forse… ma è così che mi sentivo, sopraffatta da un benessere totale.

Ti ringrazio e ti saluto, con affetto Lella

Ps. Lo so, sarebbe meglio salutarti con: Om Tat Sat ma…non mi è ancora congeniale e, a dire il vero ho faticato anche a scrivere “asana” e “la pratica”. Nonostante la brava Maestra, l’alunna resta sempre un po’  disobbediente!

Chissà come sarà questa ginnastica dolce? Per una golosa come me dovrebbe andare bene! Bisogna provare, così mi ritrovo in palestra con altre donne che corrono in tondo, con al centro l’insegnate.

Stabilito che la ginnastica dolce fa al caso mio che sono alquanto arrugginita, il lunedì successivo, nella sala professori che funge da spogliatoio mi unisco alle altre: chiacchiere, presentazioni, cambio di scarpe e abiti.

L’insegnante ci aspetta in palestra ed ha già selezionato un cd con musica degli anni sessanta. Quel che ci vuole per noi che veniamo catapultate nella passata gioventù, il volume del lettore cd non funziona ed è decisamente alto, due asciugamani come copertura ne attenueranno l’intensità.

Inizia il riscaldamento: nonostante siamo un po’ lente e scoordinate, sudiamo, sbuffiamo, ci lamentiamo ma riusciamo lo stesso a chiacchierare; l’insegnante ci incalza e quando è soddisfatta dopo averci lodate ci informa che siamo come un motore diesel: un po’ lente all’inizio ma quando partiamo non ci ferma più nessuno!Continuiamo con entusiasmo, la palestra è luminosa, il pavimento in legno lucido è confortevole, ma quando l’insegnante pronuncia la frase: fronte allo specchio, alcune di noi si lamentano: “Questo specchio è impietoso, guarda li che roba”. Sei metri di specchio ci riflettono: una ventina di donne, chi più chi meno vestite sportivamente, alcune ben pettinate e truccate, altre hanno già i capelli davanti agli occhi e lo sguardo sconvolto per la fatica, chi ansima e chi continua a chiacchierare.“ Sembriamo anche più basse, non è valido”! Ma la nostra insegnante ci rassicura:“ E’ lo specchio che deforma, non preoccupatevi.”

Mercoledì, l’insegnante ci aspetta in palestra e come al solito è sorridente, noi arriviamo alla spicciolata, le novità non mancano, fra di noi c’è una nuova nonna, ma… il paese è piccole e alcune di noi già lo sapevano.

Gli esercizi di riscaldamento non sono sempre gli stessi, le sequenze dei movimenti ci impegnano e finalmente nessuna chiacchiera.

Dopo il riscaldamento, il momento più atteso, tutte sdraiate a terra su di un materassino: vengono spente le luci artificiali e nella penombra il lettore cd che è stato sostituito da uno nuovo diffonde musiche rilassanti, qualche sospiro, qualche respiro profondo, ci godiamo qualche attimo di tregua e poi si ricomincia: “Gamba sinistra piegata a terra, gamba destra tesa in avanti, poi in alto.” Lei spiega a noi come fare gli esercizi mentre li esegue, ci controlla e ci corregge, ma come farà a fare tutto assieme?

Gli esercizi si susseguono, gli addominali sono tosti e ci lasciano ammutolite, altri esercizi apparentemente leggeri li sentiremo un paio di giorni dopo. Lei continua scandendo ad alta voce:“ Insieme, insieme, ancora quattro, ancora tre, due, uno”. Le contestatrici non mancano: “Ma ne abbiamo fatti già 10”, lei sempre sorridendo ma inesorabile prosegue: “Insieme, insieme! Ancora due, ancora uno.”

Il rituale dello snocciolamento della spina dorsale e i due respironi profondi abbinati alla flessione del busto segnano il termine della lezione e…ci giunge sempre gradito un “Brave”, con l’aggiunta di un sorriso e di un battito di mani protese verso l’alto.

E’ la prima ad arrivare ed è l’ultima a chiudere la porta, noi davanti a lei ancora chiacchieriamo!Questa ginnastica dolce non è riuscita a spomparci del tutto. Ci salutiamo dandoci appuntamento per la prossima lezione.

Dolce la ginnastica e dolce anche l’insegnante.

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Scrivendo il racconto: “La voce nel tempo”, mi è venuto naturale far vestire i panni della maestra alla Signora Majellaro Pia. Donna dolcissima che negli anni cinquanta, fino al termine delle elementari ha insegnato, seguito e amato le bambine della 2° A. Pensando a lei, avevo scritto pagine su pagine, e quando le ho rilette ho pensato a quello che ci spiegava: “Mentre scrivete non dilungatevi troppo, ma non scrivetemi nemmeno l’elenco della spesa, rileggete spesso il titolo del tema e… per piacere sforzatevi di trovare dei verbi che non siano solo: dire e fare. A cinquant’anni di distanza, evidentemente suggestionata da quello che stavo rileggendo, i suoi suggerimenti mi hanno costretta a ridimensionare quello che avevo già scritto su di lei. Il soggetto del tema era: la bambina che sentiva una voce e la sua maestra non poteva occupare così tante pagine. Presentando il mio primo libro: “La quinta barca è Magica” Una signora del pubblico mi ha chiesto quale fosse stata la cosa più difficile nello scrivere il libro. Il silenzio che è seguito credo abbia imbarazzato un po’ tutti. La mia risposta sarebbe sembrava strana? ma era proprio così: la cosa più difficile nello scrivere il libro era stata cancellare, cancellare frasi, periodi e pagine intere. Per il libro “Strettamente personale” non è stato diverso, così delle diverse pagine che parlavano della maestra, dopo un lungo lavoro ne è rimasto un cammeo che spero le renda giustizia. E se così non fosse vorrei aggiungere qui di seguito un breve ricordo. La 2° A , da quando è arrivata lei non è più stata la stessa. Non so se allora, noi bambine ne fossimo consapevoli, quello di cui eravamo certe era che la nostra nuova maestra fosse speciale.Ventotto bambine che per lo più abitavano in cascine e parlavano il dialetto milanese oppure erano immigrate del veneto o del meridione ma tutte in chiesa rispondevano in latino al sacerdote che celebrava la S. Messa. Non sapevano far di conto ma già recitavano le tabelline a memoria. Negli anni cinquanta una scolaresca di bambine era a digiuno di quasi tutti i saperi e lei, la nostra maestra ha cominciato dalla pulizia delle nostre mani, unghie comprese: tutte le mattine controllava che fossero ben pulite. Questa era stata la prima lezione e come tutte le altre che seguirono furono di una leggerezza incredibile. Mai che avesse alzato il tono della voce e tanto meno le mani su di noi (come usava allora). Mai che ci castigasse. Mai che ci facesse vivere i nostri errori con angoscia, anzi, formava dei gruppi di lavoro (diceva lei), così c’era il gruppo di chi sbagliava le doppie, di chi ancora non aveva capito come funzionasse la gn di gnomo e la ghi e la ghe. Il gruppo che si esercitava con le maiuscole e quello molto numeroso che aveva grosse difficoltà a capire quando la a fosse o non fosse voce del verbo avere. L’ h era un rebus per molte di noi e lei… è genialmente partita da quello che sapevamo: il dialetto, trasformando il: “Ta ghè fam?” in “Tu hai fame? Tutte le volte che in dialetto incontravamo una ” ghè” corrispondeva alla voce del verbo avere. Partendo dal nostro dialetto ci ha portate all’italiano. E’ stato lo stesso per la matematica, non so se allora esistessero gli insiemi ma lei… con giochi, e disegni ha trasformato l’astrazione della matematica in un fatto concreto e palpabile. Aveva lottato per noi, con la direzione, per permetterci di scrivere con la penna a sfera nera anziché usare quel pennino che macchiava tutti i quaderni e ci era riuscita. Aveva lottato contro i pidocchi tenendoci costantemente sotto controllo. Aveva voluto andare a casa di tutte noi per conoscere personalmente i nostri genitori e l’ambiente dove vivevamo. Ha fatto di tutto, persino cambiato disposizione dei banchi che anziché presentarsi a file di due occupavano tutta l’aula con dei semicerchi. Sulla cattedra una panciuta caraffa di peltro sfoggiava giornalmente fiori di campo che noi bambine raccoglievamo per lei. In quell’aula così accogliente, così a misura di bambine le sue lezioni erano una continua scoperta, tutto appariva fantastico, persino quegli schifosi bruchi che sistemati su di un banco tenuto isolato mangiavano le foglie di gelso diventavano interessanti perché poi avrebbero prodotti il filo di seta! Ci ha insegnato a ripiegare la carta in modo da ottenere un bicchiere perfettamente a tenuta perché spiegava: “Ognuna di voi deve bere dal proprio bicchiere. L’igiene, lo avevamo capito subito era un suo punto fermo e forse ne avevamo bisogno! Nei successi anni passati con lei abbiamo festeggiato nel 1961 i cento anni dell’unità d’Italia, esplorato il cinquecento, piantato alberi nel cortile della scuola, marciato in palestra per sopperire al riscaldamento che non funzionava. Ricordi, tanti ricordi che ancora oggi mi sorprendono magari in bagno, quando il tappo del dentifricio mi sfugge di mano e… risento il suo consiglio: ” Non correte dietro al tappo cercando di prenderlo prima che finisca nel buco del lavandino, ma piuttosto tappate subito il buco con la mano. Oppure prendendo in mano un libro, quella frase:”Leggete bambine, leggete, sarà la vostra salvezza”. Come aveva ragione. Con i libri ho viaggiato, ho sognato, ho pianto, gioito… una fonte inesauribile! La nostra maestra… penso che un po’ tutte noi ne fossimo innamorate era: bella, brava, e ci voleva bene. Tutte noi bambine la vedevamo così. Oggi ho cinquantotto anni e lei per me non è mai cambiata. Grazie Signora Majellaro Pia, le voglio bene.