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Nonna Tina scomparsa col suo mondo
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Portula 14-12-2015
Siamo in macchina, io e mio marito, dalle parti di Biella, come un riflesso penso: Portula, in provincia di Biella. Non ho mai visto dove sono nata. “Dai andiamo a cercare la stazione ferroviaria di Portula, magari trovo il carro merci!” Il navigatore comincia a chiacchierare, Enrico che solitamente non ubbidisce neanche a lui, questa volta segue diligentemente le indicazioni e dopo poco tempo cominciamo a salire. E saliamo ancora. Mi agito, ma non ci sono dubbi, la strada è giusta, abbiamo appena incrociato il cartello comunale che indica la città di Portula. “Ma sei sicura di essere nata in treno? Non vedo binari in giro”. Saliamo ancora ed è chiaro che qua su non esiste nessuna ferrovia. Ma non è possibile che sia una frottola! Mio padre quando voleva zittirmi diceva bonariamente: “ Taci tu, che sei nata su un carro bestiame abbandonato sui binari morti”. E poi c’ è mia cugina Elettra con la storia della cicogna, che quando era arrivata in stazione lei era già volata via e l’ostetrica che dopo il parto aveva detto che il vagone era perfettamente pulito e disinfettato, meglio che in certe case. Sono angosciata, ma si può arrivare a 65 anni e non sapere dove sono nata? Arriviamo in piazza, non c’è ombra di stazione ferroviaria e tanto meno di treni. “Allora… cosa vuoi fare? Torniamo indietro?” “No, non ci posso credere, non può essere una storia inventata, mia nonna non mi avrebbe mai mentito. Fammi andare a chiedere in Comune” “A quest’ ora è chiuso!” Ma devo sapere, devo provare. Devo. Certa che il comune fosse aperto solo perché io ne avevo un disperato bisogno, scendo dalla macchina e mi avvio verso la porta del Comune con il cuore che mi batteva a mille. Abbasso la maniglia e spingo, è aperto! Al di là di un’altra porta a vetri intravedo un’impiegata. Prima di arrivare davanti al banco, mentre lei scrive china sulla scrivania il terrore che mi possa prendere per pazza mi assale. Devo scegliere bene le parole giuste, “Buona sera” esordisco, “ senta, io sono Antonia Mascia e 65 anni fa sono nata qui a Portula però… mia mamma mi ha sempre detto che sono nata su un treno, ma… non c’è nessuna stazione qui a Portula e io… non so cosa pensare… insomma non so dove sono nata, lei non mi potrebbe aiutare?” L’impiegata resta impassibile, mi chiede un documento e dopo averlo controllato si dirige verso un armadio e dopo aver fatto scorrere le grosse ante ne trae un librone, lo porta verso la sua scrivania e comincia a leggere in silenzio, poi mette al corrente anche me, che friggevo dall’impazienza. “Dunque… qui c’è scritto nata nella casa posta in frazione Granero numero 51”. “In una casa a Granero? Al numero 51? Oddio a Granero, mai sentito nominare Granero, mi sembrava di essere uno di quegli impiegati che non capivano mai Portula.” “SI, Granero è una frazione di Portula e lì c’è la stazione , ma adesso non funziona più.” “Oddio, meno male che c’è la stazione” al n. 51, la mia nascita è piena di 5. Dietro di me si materializza Enrico, che finalmente aveva trovato parcheggio, l’impiegata dopo aver dato un’ occhiata veloce al librone lo guarda e chiede: ”il Signor Leoni?” “ Ma c’è scritto anche il suo nome sul certificato?” “Certo, aggiunge lei e, dopo avermi letto parte dell’atto di nascita, cerca altre notizie, ma non ne trova. Io sono elettrizzata e non vedo l’ora di cercare la stazione. Chiedo di poter fotografare il documento ed essendo la persona interessata ricevo dall’impiegata la fotocopia, un bel foglione di 42cm.x 29,5. Ringraziamo ed usciamo in fretta, io col mio certificato in mano, Enrico ancora incredulo del fatto che io abbia trovato il Comune aperto a quell’ora. Fuori è già buio, e io sono in ritardo di 65 anni, devo correre a Granero ma... sento dentro di me un’ immensa gratitudine per l’impiegata che, pur senza farsi coinvolgere era stata molto educata e professionale. Decido di rientrare in Comune per ringraziarla meglio e farle capire come la sua disponibilità sia stata importante per me. Lei per la prima volta accenna ad un sorriso e mi spiega: “È una coincidenza che oggi io sia qui a quest’ora, il Comune dovrebbe essere chiuso, sto registrando l’atto di morte di mia nonna che è appena scomparsa. Finalmente capisco perché prima la sentivo lontana e perché avevo avuto la necessità di tornare da lei, per esprimerle meglio la mia riconoscenza. Mentre mi parlava delle strane combinazioni, della necessità di sopire il proprio dolore, della nostra provvidenziale interruzione, osservo tutti quei particolare che prima non avevo letto in lei. È vestita interamente di nero, in forte contrasto col pallore del viso; il tono della voce ora non è più neutro, ma gli occhi sono un po’ gonfi come prima: tutto in lei avrebbe dovuto farmi pensare ad una persona affranta. Solo ora colgo il suo stato d’animo, e non so comunque cosa dirle, anche se posso immaginare il suo dolore. “Mi dispiace tantissimo, la capisco, anch’io ho avuto una nonna speciale”. Peccato non avere avuto la prontezza di aggiungere, in quel momento, che i ricordi della sua nonna l’avrebbero aiutata. Ci siamo salutate come se ci conoscessimo da tanti anni, entrambe, credo, più leggere, se fra di noi non ci fosse stato il bancone sono certa che ci saremmo abbracciate. Risalgo in macchina e, mentre Enrico si dà da fare per raggiungere Granero, che aveva notato prima di cominciare a salire, io leggo avidamente tutti i particolari scritti sul mio certificato di nascita. “Senti, c’ era anche mio padre. La denuncia di nascita in Comune è stata fatta quattro giorni dopo. Nessuno me lo aveva mai detto, sapevo che lui aveva spedito la mamma e Luciano a Portula e basta. C’è la testimonianza dell’ostetrica che ha assistito al parto e ci sono i nomi dei testimoni dell’atto, due impiegati del comune… senti, senti, sono nata alle 15-30. Elettra era ancora a scuola a quell’ora, per quello non ha visto la cicogna! Sono euforica, contenta e impaziente. Parcheggiamo l’auto davanti al numero civico 51, a destra e a sinistra di questa villa intravediamo nel buio alcuni depositi ferroviari. Si, sono nata qui. Suono il campanello, pensando che mi avrebbero scambiata per una venditrice ambulante, invece sono stati disponibilissimi i due coniugi che ci sono venuti incontro. Gli abbiamo raccontato grosso modo la storia, erano interessati, abbiamo chiacchierato un po’, loro conoscevano un sacco di cose, compreso il nome del capostazione che c’era negli anni 50. Ci siamo salutati con la promessa che saremmo ritornati. Stavo salendo in macchina quando la signora mi ha chiesto: “In che mese è nata?” “A maggio, il 5 Maggio del 50, perché me lo chiede? “ Maggio è un bel mese per nascere qui, c’è il sole tutto il giorno”. Allacciandomi la cintura di sicurezza ho pensato: “cosa voglio sapere di più, sono nata in una bella giornata soleggiata.” Epilogo I ricordi di nonna Tina li ho sempre avuti con me e solo ora ne scrivo, grazie a Sandra, solerte impiegata del comune di Portula, che attraverso il suo dispiacere mi ha fatto capire che anche lei, come me, ha avuto una nonna speciale.Il biglietto sincronizzato
Ci sperava poco: Assistere alla Turandot presentandosi alla cassa del Teatro Coccia poco prima dell’inizio dell’opera senza nemmeno una prenotazione, e invece…” E’ fortunata Signora, c’è stata una rinuncia ed è disponibile un biglietto in un palco centrale con un notevole sconto”.
La trama dell’opera la Signora Narrini la ricordava così: Una giovane badante di nome Liù accompagna un anziano signore (per altro cieco) a vedere la decapitazione del principe di Persia. La confusione quel giorno a Pechino è molta e quando la strana coppia viene travolta dalla folla il Principe Calaf (che dovrebbe essere in esilio e forse anche morto) aiuta l’anziano a rialzarsi e… guardandolo si accorge trattarsi di Timur, suo padre. La badante gli spiega che si era subito presa cura dell’anziano signore da quando era diventato cieco semplicemente perchè lui Calaf una volta le aveva sorriso.
Calaf invece si innamora a prima vista di Turandot, la cattivissima regina che condanna a morte tutti i principi che la vorrebbero sposare ma non sono in grado di svelare gli indovinelli che lei propone. Non che Turandot odiasse gli uomini o fosse lesbica, quella sua crudeltà era un modo per vendicare una sua antenata che era stata violentata ed ammazzata da un re barbaro.
Tutti mettono in guardia Calaf: Liù che lo ama perdutamente, il padre che lo ha appena ritrovato e teme di perderlo di nuovo e poi ci sono anche i tre ministri dell’imperatore: Ping, Pong, Pang.
Ma lui niente, non da retta a nessuno, nemmeno al papi di Turandot che lo scongiura di rinunciare alla figlia. Calaf non molla, accetta la sfida e per tranquillizzare tutti dice: VINCERÒ, VINCERÒ, VIINCEEROOÒ. E vince davvero, risolvendo i tre indovinelli. Turandot è spiazzata non vuole assolutamente sposare il principe ma e obbligata dal parde a mantenere il giuramento.
A questo punto il futuro sposo (che è un signore) propone a sua volta un indovinello a Turandot: Se riuscirà a scoprire il suo nome prima dell’alba, lui morirà; altrimenti dovrà accettarlo come sposo.
Turandot farà di tutto per estorcere il nome di quel principe e Liù sotto tortura pur di non tradire colui che ama si ucciderà! Questo fatto sconvolgerà Turandot che già attratta dal principe si farà baciare da lui che le sussurrerà il proprio nome. Lei annuncia di conoscere il nome dello straniero:” Amore”. E vissero felici e contenti.
La Signora Narrini si sta godendo l’opera, e il momento più commovente: Liù si è pugnalata e adesso sta morendo, la melodia pucciniana l’avvolge teneramente.
Cala il sipario e partono gli applausi.
No, no, l’opera non è finita, non finisce così, la Signora Narrini si agita sulla sua poltroncina, cerca disperatamente una conferma nel suo libretto e la trova: Nell’edizione proposta dal Teatro Coccia l’opera viene eseguita fino alla morte di Liù, ossia fino al punto in cui Puccini lasciò la stessa incompiuta, così come avvenne alla prima esecuzione presso il Teatro alla Scala con la direzione del Maestro Toscanini.”
A… ecco il motivo, adesso era tutto chiaro e Il biglietto scontato che si ritrovò nelle mani infilandole nel soprabito era in perfetta sincronia con l’opera incompiuta.
PS. I ricordi della Signora Narrini a proposito della trama del dramma sono incompleti e…Liù non è una badante ma… una schiava.
Sarà un lapsus?