La via Biringhello era di razza contadina, si allungava scavata nei campi, anonima, quieta, all’apparenza deserta. Ma come i contadini anche lei nascondeva un sacco di segreti. La rivedo ancora, un po’ sbilenca, e piena di sassi, se c’era il sole la polvere sbiadiva il verde ai suoi lati per riprendere brillantezza poco più in là. Se invece pioveva le buche si allagavano formando un mare d’acqua che persisteva a lungo, per questo i Rhodensi l’ hanno soprannominata: ” Il Mar di Biringhello”. Ci sono ancora oggi degli anziani che per sottolineare il fatto che non andranno in ferie dicono: “Andremo al mar di Biringhello”.
La strada era una scusa, un mezzo, un punto di partenza dal quale ti potevi aspettare di tutto. Bastava costeggiare la cinta del campo sportivo, poco distante, per scovare fra l’erba alta i ricci. Bastava che i contadini alzassero le chiuse dei canaletti per irrigare i campi che subito i tuoi piedi si tuffavano in quell’acqua gelida che ti trascinava e dovevi tenerti ben salda. Bastava che qualcuno scovasse l’erba che suona per sbizzarrirti in un concerto improvvisato, oppure tutti a buttarsi in quella macchia color violetto per succhiare l’attacco di quei fiorellini dolcissimi. C’era l’erba che masticandola sapeva di limone, l’ortica che bruciava, altre che infilate nella schiena facevano il solletico. Raccoglievamo margherite, viole e gigliucci, passavamo ore e ore alla ricerca di un quadrifoglio. Più comuni invece i soffioni del tarassaco, che usavamo per soffiarceli l’un con l’altra. A volte l’erba era tanto alta da potercisi nascondere, oppure eravamo piccoli noi, non so!
In quell’intrico di erba, rametti e arbusti, a lato di strada, scorgevamo nidi e formicai, salvavamo gattini abbandonati, e portavamo a casa piccoli di merlo che nutrivamo con carne trita e pezzettini di frutta.
Oltre alle macchine agricole, in Via Biringhello ci passava il carretto dei gelati che per annunciarsi suonava il campanello, e noi, tutti a casa, per farci dare cinquanta lire, poi eravamo tutti attorno al carrettino ad aspettare il nostro turno, allungavamo il collo ogni volta che il gelataio alzava il coperchio per affondare la paletta nella panna o nel cioccolato, richiudeva per non farlo sciogliere e dopo aver riempito un cono passava a prepararne un altro, e noi sempre li ha sbavare, a controllare che il nostro cono fosse grande come quello degli altri. Pedalando era arrivato il gelataio vestito di bianco e pedalando proseguiva verso la frazione di Biringhello.
Sulla via Biringhello c’erano poche villette ma quando altri uomini passavano le donne spuntavano improvvise a farsi molare i coltelli e le forbici dall’arrotino che era vestito di nero. Anche noi accorrevamo e ci fermavamo incantati a guardare la mola che girava e affilando i coltelli spruzzava acqua.
Arrivava un furgoncino con stoffe, calze, fazzoletti e abiti; e di nuovo tutti in strada a mercanteggiare sul prezzo di una camicia, a ridere del colore di un vestito, a saltare sul furgone!
La strada era la nostra pista per correre, i suoi bordi ci servivano da trampolino di lancio, le sue buche erano ostacoli da saltare, i sassi macigni da spostare, i rospi mostri da sconfiggere. Le ampie pozzanghere ancora scure per l’umidità ma già segnate dalle crepe ci fornivano del fango fantastico per farci di tutto. Eravamo sempre o impolverati o infangati, con le ginocchia sbucciate, gli abiti sbrindellati e il moccico al naso. Eravamo felici e non lo sapevamo!
Poi… molto poi… hanno asfaltato la via Biringhello e quando piove resta ancora allagata! Questione di pendenze? di scarichi? non si sa!
Ieri ho raccontato a mia nipotina la storia del Mar di Biringhello e comunque, il primo giorno di pioggia la porterò a conoscere questo specialissimo mare!I