GLI ANGELI DEL PICCOLO BORGO
Quando vai per mare ed è in arrivo un uragano, lo sai con anticipo: i bollettini del mare, le previsioni del tempo, i siti che anticipano i movimenti dei venti e delle onde sono ormai precisi e monitorano anche in tempo reale la situazione nel suo divenire. Basta non sottovalutare, prestare attenzione e ti puoi preparare, hai il tempo di trovare un ormeggio sicuro, oppure puoi aggiungere un’altra àncora alla catena, puoi rinforzare gli ormeggi, aggiungergli delle molle che attutiscono gli strattoni. Controlli i tuoi parabordi e quelli del tuo vicino, se non sei presuntuoso ti confronti con gli altri per capire se si possa fare di più o meglio. Si controlla che gli oblò siano ben chiusi, che all’interno della barca non ci sia niente in giro che possa cadere, a volte si accende il motore per essere pronti ad aiutare l’ àncora a tenere e a contrastare la violenza degli elementi che possono spingerti rovinosamente contro la banchina o sugli scogli. Se sei in baia indosserai i giubbotti di salvataggio e molte altre precauzioni. Poi si aspetta e solitamente arriva prima un vento forte, poi ancora più forte, monta il mare, il rumore è in crescendo e il cielo è già incupito da un po’. Ti sei preparato a tutto ciò, e anche se avrai paura, anche se dovrai agire e prendere delle decisioni, sai con che cosa avrai a che fare, e prima o poi… anche dopo una tempesta arriva il sereno. Più tranquillo indubbiamente rimanere a casa, io amo dire che le case non arano, come invece fanno le àncore, e decreto anche che casa mia sia il porto che preferisco, il più confortevole, sicuro ed affidabile di tutti. Ho dovuto ricredermi. L’uragano che ha colpito Enrico, e di conseguenza anche me, pochi giorni dopo essere rientrati a casa dalla Grecia, questa volta non ha dato nessun preavviso, un fulmine a ciel sereno, anche se a dire la verità, pioveva di brutto. Enrico è scivolato alle undici del mattino sulla rizzata scivolosa che porta da casa nostra, in discesa e in repentine curve e tornanti al piazzale del borgo, dove si parcheggiano le auto. Una scivolata stupida, ma con conseguenze gravi: Malleolo peroneale fratturato in malo modo. Quel giorno, dal pronto soccorso lo hanno dimesso alle 22, perché hanno detto che quello che potevano fare lo avevano fatto: gamba steccata, lastra, eparina e bontà loro anche della tachipirina dopo che l’ortopedico ha visto le lastre alle 8 di sera e sentenziato: “Brutta frattura, va operata al più presto.” Nonostante abbia implorato che lo tenessero in ospedale fino al mattino seguente, non c’è stato verso e alle undici di sera, quando è arrivata l’ambulanza lo hanno rispedito a casa, per poi richiamarlo alle sette del mattino seguente. Pensavamo lo operassero, ma no, non si poteva, il piede era ormai troppo gonfio. Ritornate giovedì e valuteremo, nel frattempo è stato fatto tutto il necessario per il futuro intervento che hanno programmato per il lunedì successivo. Un day hospital: operato al mattino e dimesso in giornata. Day hospital? Siamo sconcertati ma fiduciosi che sappiano quello che fanno. I primi giorni sono stati veramente duri, scendere da casa nostra fino al piazzale forse è stata la cosa più semplice avvalendoci della disponibilità dell’amico Ilio che caricava Enrico sulla motocariola cingolato e lo portava fino al fianco della macchina, giù al parcheggio, poi io lo portavo in ospedale. Tutto il resto invece è stato allucinante a cominciare dalla burocrazia: medico di famiglia per ricette rosse, CUP per i pagamenti, ore e ore di code. Farmacia dove devi sempre ritornare per avere dei farmaci, ospedale senza parcheggi e con portinai fortunatamente non sempre inflessibili, ricerca spasmodica di ambulanze. Per non parlare delle litigate con infermiere per presunti accaparramenti di sedie a rotelle. Il capitolo della maleducazione e onnipotenza di alcuni medici sarebbe troppo complicato visto che per fortuna alcuni si sono salvati, ma per il resto… pur non essendo di indole violenta ho cominciato a capire le motivazioni per cui alcune persone menano i medici. Io Invece ho gridato: ” Ma quanto deve soffrire ancora mio marito, prima che qualcuno si decida a fare qualcosa” Ho pianto, e ho dovuto insistere perché un medico vedesse Enrico, che dopo l’intervento e due sacche di antidolorifico e 4 ore di sofferenze atroci si aggrappava alla maniglia, non sapendo più a che santo rivolgersi, soffriva come una bestia e nessuno faceva niente. Lo hanno chiamato finalmente, un medico, che dopo averlo visto si è informato telefonando al collega e subito dopo si è scusato con Enrico, perché il dosaggio di antidolorifico che lui ha programmato era per un day hospital, non era stato informato del tipo di intervento che prevedeva placca metallica e viti. Dopo la morfina Enrico è rinato e il day hospital è saltato. Ha passato la notte in ospedale e il giorno dopo veniva dimesso, senza ricette per le medicine e il giorno dopo era festa. Un angelo ha provveduto, e non posso dire altro. L’ambulanza è arrivata con un ora di ritardo per il traffico e con solo due persone anziché 4 che sarebbero servite per trasportare Enrico in casa. Dopo un intervento pensavo che sarebbe stato meno traumatico della motocariola, mi sbagliavo, povero Enrico, tutto traballante veniva issato sulla strada di sassi fino ad arrivare a casa dove sul divano avrebbe passato le prossime tre settimane sempre con il piede per aria. Poi si è avventurato col sedere sui gradini che portano giù in camera e… ha potuto finalmente dormire nel letto. E’ stata una faccenda lunga, dal 23 ottobre in pronto soccorso, all’intervento dopo una settimana, poi medicazioni, controlli, lastre, e quando all’ultimo controllo il 30 novembre hanno tolto la stecca e consigliato un tutore e fisioterapia abbiamo tirato un sospiro di sollievo, ci speravamo ma non ne eravamo sicuri, finalmente ne venivamo a capo. Ma 5 giorni dopo ci telefonano dall’ospedale per sapere da noi se nessuno ci avesse informato che c’era da togliere una vite dal piede di Enrico. NO, nessuno ci ha informato. “Controlliamo e le faremo sapere”, la loro risposta. Due giorni dopo siamo di nuovo in ospedale per il prericovero e cinque giorni dopo per un nuovo intervento vero e proprio: anestesia, taglio, e ricucitura. Enrico è SVITATO, così l’abbiamo raccontata agli amici mentre noi, con Ilio sempre al nostro fianco, andavamo avanti e indietro da casa al piazzale, dal piazzale in ospedale, sempre a caccia di un parcheggio. Avanti e indietro tutto in giornata, anche questo intervento sarà un day hospital, molto meno traumatico ma Enrico ne avrebbe volentieri fatto a meno. Per andare al controllo successivo Enrico prova col tutore e stampella a scendere la rizzata tenendosi anche al corrimano, ce la fa. Per più di due mesi Ilio è stato il nostro angelo custode trasportatore, al mattino presto per gli interventi, al buio e sotto la pioggia; per controlli, lastre e medicazioni sempre in orari pasto, sempre pronto, sempre allegro, con una leggerezza che ci ha fatto bene in momenti veramente difficili. Ma di angeli in questa bufera ne abbiamo incontrati molti a cominciare da Ambra che ha caricato Enrico in macchina e lo ha portato al pronto soccorso, sarei andata anch’io ma lei si preoccupava anche per me: ”E’ meglio di no, piove e si scivola”. Il mio piede già dolorante, in quei giorni stava peggiorando, ma non sapevo ancora che fosse rotto, l’avrei scoperto dopo 15 giorni facendo una lastra. Poi suo padre Giovanni che da subito ci ha assistito facendoci da tassista i primi giorni fino a che non ho ricominciato a guidare, cosa che non facevo più da tempo. Rita, sua moglie, che non ha esitato ad offrirci un letto da loro la prima notte in cui dal pronto soccorso hanno rispedito a casa Enrico alle 11 di sera. Pinuccio che incrociandomi lungo la rizzata mi prendeva le borse della spesa e me le portava fino in casa. Fabio che vedendo l’ambulanza è venuto ad aiutare. Annamaria, Cristina, Alessandra, Monica, che non mancavano di chiedermi se mi servisse qualcosa. Anna che ci ha fatto recapitare la sua mitica crostata, Francesca che al mattino si presentava con le brioche calde, e… le visite, tante visite, soprattutto il sabato e la domenica in cui il piccolo borgo si rianima ospitando i non indigeni. Sono arrivati con pasticcini, fiori. E ancora: La piccola Iris di 5 anni, su consiglio del padre, mi ha aiutata portando un pacco di carta igienica grande quanto lei, e quando è arrivata in casa ha detto ad Enrico: “ Se l’osso non si aggiusta con le viti puoi provare con lo scotch”, suo padre intanto portava il resto della spesa. Iris l’angelo più piccolo del borgo. Nei primi giorni, i più difficili, un altro giovane angelo è volato dalla Brianza fino a noi, ha fatto la spesa, cucinato, guidato e soprattutto ha riempito di gioia le nostre giornate. Dove abitiamo è bellissimo: vista lago e monti, boschi, ruscelli e sentieri, uccellini, fiori e aria profumata. Certo non mancano le difficoltà ma è il prezzo da pagare. Che abitassimo in un paradiso lo sapevamo, che i nostri vicini di casa fossero delle brave persone anche, ma questa volta ci siamo sentiti circondati da Angeli. Grazie infinite a tutti.