Gente in Aspromonte
Leggendo questo libro di Corrado Alvaro non ho potuto fare a meno di ricordare Ignazio Silone che nel suo romanzo Fontamara parla di ”cafoni” della Valle Abruzzese e di Piero Chiara che così bene descrive nei suoi libri le storie dei valligiani del luinese, in cui i passeri, congelati dal freddo, cadono al mattino dai platani. Un mosaico regionale di povera gente sopraffatta dalla fame e dalle ingiustizie, assalita dalle avversità della natura, ma anche operosa e piena di risorse. Come una fotografia o immagine fissa che descriva i tempi passati.
Corrado Alvaro, in questa raccolta di racconti sembra voler invece traghettare quei tempi passati in quelli che stanno per arrivare. I suoi personaggi non sono solo immersi nel passato ma cominciano ad emergere, a cambiare, a sperare, vedono nei propri figli il loro riscatto agli occhi della gente che… si sa… nei piccoli paesi vedono e sanno tutto di tutti. Come nel primo racconto in cui il pastore Argirò desidera per il proprio figlio un futuro diverso dal suo. Lo farà studiare in seminario e anche il fratello maggiore sarà coinvolto in questo riscatto che lo porterà allo sfinimento. Non mancheranno le delusioni e le bugie, ma… il seme del cambiamento è già gettato. Lo si legge anche in La pigiatrice d’uva, dove la protagonista disperata si ribella, e la sua decisione potrebbe avere delle gravi conseguenze. In Coronata, sarà lo stesso: se il racconto è in linea coi tempi, nel finale il futuro è già scritto. Per il racconto Teresita invece, l’amor filiale e l’egoismo paterno avranno la meglio. Ma a che prezzo. Crisolina, in La zingara, vuole scappare, scappare, scappare.
Ma Corrado Alvaro racconta anche di uomini buoni, come Biasi che in viaggio per andare a trovare la madre trova rifugio presso Vènera, e lei, che di uomini se ne intende, vedendolo così innocente e gentile gli dirà: ”Siete buono”. E rinuncerà momentaneamente agli altri uomini che bussano insistentemente alla sua porta. In tutti questi racconti l’Aspromonte è espresso fino in fondo con i suoi torbidi torrenti, con il fragore delle piogge torrenziali, le orecchie sono assordate dal rotolare di sassi e dallo schiantarsi di alberi colpiti dal fulmine. I pastori fuggono rifugiandosi in casupole di foglie e fango, in grotte, prigionieri di quella natura Matrigna di leopardiana memoria in cui anche il destino di una giovane giumenta è segnato, trovando la morte in un burrone.
La scrittura di Corrado Alvaro è minuziosa e precisa, senza essere pedante. I personaggi e il loro carattere ci appaiono chiari, e già alcuni ci piacciono più di altri, li osserviamo mentre intagliano legni di ulivo, o imprecano per la mala sorte. La natura, quando non è matrigna viene descritta poeticamente, con un garbo speciale . Persino le sue ombre mi hanno emozionata quando scrive: ”La sera era chiara, c’era la luna. Erano intinti di luna gli alberi e la montagna, il mare lontano. Dopo i grandi calori era come se una lieve rugiada fosse passata sul mondo a inumidirne la sete. Pareva di sentire la voce delle fonti ai piedi dei monti o dei fiumi rinsecchiti che si ricordavano del loro boato. Le ombre delle case per le strade strette erano dense e nere, e tagliavano a spicchi e a triangoli le strade, come se vi fosse disteso qua e là un panno scuro.”
L’ ultima storia ”Ventiquattr’ore” viene da lontano, i tre protagonisti sono emigrati all’estero e in terra straniera rimpiangono la loro Calabria, il suo profumo e perfino il sapore delle erbe che mangiavano da bambini. La storia in cui si troveranno coinvolti Borriello, Ferro e Mandorla esula da ogni recinto personale, è una storia universale che loro, pur nascondendoselo, vivranno intensamente. Non importa più che siano Calabresi, che siano poveri, che non abbiano fatto fortuna. Adesso per loro la priorità è un’ altra.
Scrive fra l’altro, Mario Pomilio, nella sua bella presentazione al libro: ”Eppure, sotto la crosta, il mondo della sua infanzia sopravviveva: nella memoria e negli affetti. E doveva essere proprio esso a ispirargli la prima opera della sua maturità, questa compatta raccolta di racconti di Gente in Aspromonte dove non c’è una sola riga che non riguardi la sua Calabria e dove con tanto amore e penosa partecipazione se ne descrivono la condizione, i problemi umani e sociali, i modi di vita, i paesaggi.”
Dopo aver letto questo bel libro mi viene spontaneo ringraziare pubblicamente la mia amica Simona, che me ne ha suggerita la lettura, e la Biblioteca Comunale ”A. Lucifero” di Crotone che concretamente me lo ha lasciato in prestito per quindici giorni. Penso comunque che questo sarà uno di quei libro che comprerò, così da poterlo riprendere in mano per rileggerne alcune pagine. Come si fa con i libri che più ti sono cari.
Grazie a questa recensione ho realizzato quanto questo libro, che ho letto molto tempo fa e che credevo di avere dimenticato, mi sia rimasto dentro. lo rileggo.
Grazie per il commento.
Sono contenta che ti abbia fatto venir voglia di rileggero. I libri ripresi in mano a distanza di tempo hanno un fascino speciale, a cominciare magari da un segnalibro che ritroviamo all’interno e che credevamo perso. Poi ci sono quelle sottolineature che andiamo a rileggere con avidità, ancor prima di iniziare la lettura. Quelle altre righe verticali, un po’ ondulate a margine del foglio con l’ aggiunta di una nostra frase. E… ritroviamo la nostra vecchia calligrafia anche a piè pagina: un’ osservazione, un pensiero. É strano, non ci sembra più la nostra, e anche il libro non sembra più lo stesso. Non capiamo il perchè di quel punto di domanda aggiunto da noi in alcuni punti, eppure, adesso, a distanza di anni quel concetto ci risulta chiaro.È questo il fascino dei libri riletti a distanza: non ci sembrano più gli stessi perchè siamo noi che nel frattempo siamo cambiati.
Non mi resta che augurarti buona rilettura.