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Tutte le mattine, aprendo la porta della chiesetta di Orascio, l’intenso profumo del cero che arde mi sorprende sempre e mi avvolge piacevolmente. Fa anche freddo e l’umidità è palpabile, saluto S. Giuseppe e il resto della sacra famiglia, poi ritorno verso casa. La porta aperta è un invito ad entrare, è un passaggio preferenziale e diretto per raggiungere una zona mistica. È accoglienza. I tre gradini che precedono il dentro dal fuori non sono ostacolo ma danno il senso alla volontà di entrare, è un attimo, si curiosa da fuori, poi bisogna decidere se salire e entrare, oppure restare fuori e proseguire la passeggiata. S. Giuseppe, comunque, dalla sua postazione fissa: sopraelevata e centrale rispetto all’altare maggiore, osserva chi passa fuori e accoglie chi entra. Non fa distinzioni fra residenti e villeggianti, ascolta persone di diverse nazioni e religioni. Ha visto affacciarsi nella chiesa testimoni di Geova e, seguaci di Padre Pio lasciare delle immaginette del Santo sulle panche. Si sentono tutti liberi di entrare in questa zona franca. Chi supplica, chi ringrazia, chi piange, chi prega, chi canta, tutti si confidano con S. Giuseppe, protettore del piccolo borgo di Orascio. Si fidano, certamente potrà capire, anche lui è stato su questa terra e conosce i problemi. Tutti si aspettano molto e Lui, penso, faccia quello che può. Anche i non credenti oltrepassano la porta il cui riquadro di serizzo sottolinea l’importanza del passaggio, lasciano un’offerta, accendono una candela, fanno considerazioni, rievocano ricordi, osservano, e in questo luogo ritrovano l’atmosfera dei tempi passati, magari quando erano chierichetti o partecipavano alle processioni Tutte le sere, andando verso la chiesetta di Orascio, è sempre la luce tremula del cero che mi guida nell’ oscurità, poi, in prossimità dei gradini, scatta la fotocellula e la luce elettrica rende impercettibile la fiammella del cero, e il suo profumo si è ormai stemperato all’esterno, ma il freddo e l’umidità sono rimasti. Quando richiudo la porta, saluto di nuovo S. Giuseppe e siccome mi dispiace chiuderlo dentro aggiungo: “Ci vediamo domani”. E sei io non potrò farlo lo faranno altre donne, come già tengono acceso sempre il cero e risistemano fiori freschi nei vasi, sostituiscono pile e tengono pulito tutto. Gli uomini sistemano cardini, aggiustano panche, cambiano tegole e regolano il battere delle ore della campana che è sempre un po’ in anticipo. La chiesetta di Orascio, per rimanere viva, necessita di attenzioni, amore, fatica, pazienza, dedizione e di una porta sempre aperta. Un po’ quello che servirebbe a tutti noi: attenzione, amore, dedizione e con un po’ di fatica e pazienza, potremmo sperare di trovare sempre una porta aperta che ci accolga, e che possa accogliere.

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Quando Vittorio Zucconi, al termine della cerimonia, ha dichiarato a Colui Che Aiuta il “ medicina men” Marvin di non aver capito niente, e di conseguenza non sapere ancora se avesse o no ricevuto il permesso dallo spirito, di scrivere la storia di Cavallo pazzo, Marvin gli risponde così: “Sì ma ti ha ordinato di tornare qui per una cerimonia di ringraziamento e di purificazione, quando lo avrai finito. Ricordatelo, perché loro, gli spiriti, non dimenticano.” Ed questo il titolo che Zucconi ha dato al suo libro: “GLI SPIRITI NON DIMENTICANO. Vittorio Zucconi non si addentra subito nella storia di Cavallo Pazzo, ha, come dire, la necessità di spiegarci i suoi primi approcci con Lui e le letture che lo hanno riguardato, ci parla del viaggio intrapreso nella terra dei Lakota per meglio approfondire e documentarsi. Da questo punto in poi il suo coinvolgimento sarà totale, fino alla fine della stesura di questo bel libro di Storia. Ricco di aneddoti, date, resoconti, documentazioni che finalmente rendono giustizia agli indiani e come scrive Zucconi nell’ introduzione: “l’immagine di quei popoli e dei loro capi è sempre stata violentemente distorta dalla fantasia commerciale dei registi e dei produttori di Hollywood.” Scrive naturalmente molte altre cose che è bene leggere perché sono motivo di chiarimenti e riflessioni. Non vorrei però darvi l’immagine di un libro polpettone, al contrario, è un avvincente romanzo. Seguendo non solo il suo protagonista ma tutto il suo popolo: come vive, come dorme, come caccia il bisonte e come lo cacciava prima di conoscere il cavallo. Scrive del rispetto e dell’ importanza di ogni membro della tribù: le donne, con le loro capacità, gli uomini cacciatori, i bambini, che come leggeremo vengono ascoltati e presi sul serio anche in decisioni importanti. I vecchi, le vedove i malati e gli omosessuali che vengono mantenuti da tutta la tribù. Per ognuno di loro ci viene svelato un mondo a noi sconosciuto, come per esempio, fare la fila con gli altri contendenti, fuori da un tipì, per poter corteggiare una ragazza seduti accanto a lei, sotto una coperta. Oppure come ottenere della colla dagli zoccoli di un bisonte o costruire un giocattolo, sempre ricavandolo dal bisonte. È all’interno di questo mondo, e precisamente in un villaggio di Lakota Brulé, alle porte di Fort Laramie che la tragedia degli indiani ebbe inizio, a causa della mucca impaurita di un pioniere mormone. L’autore, dopo aver descritto per bene tutta la storia, così conclude il capitolo: “ La guerra fra gli Stati Uniti d’America e gli indiani delle Grandi Praterie – che sarebbe durata più di vent’anni e sarebbe finita con lo sterminio dei Sioux – era cominciata formalmente, in quel 1854. Per colpa di una mucca lessata.” Le grandi Praterie appartenevano agli indiani. L’uomo bianco, chiamato dagli indiani Uas’ichu (Colui che ruba il grasso), gli ha rubato anche la terra, non mantenendo i trattati, perpetrando ruberie, imbrogli, umiliazioni e massacri. Ci informa Zucconi “ Alla fine del secolo quando il West fu vinto dagli emigrati europei, erano rimasti 1000 bisonti e 237.000 indiani. In 90anni erano morti in guerra o di malattia, il 75 percento degli indiani e il 100 Percento dei bisonti, che erano alla base della loro civiltà e della loro esistenza.” In queste 308 pagine sono ben spiegati tutti i meccanismi che hanno portato a questa tragica conclusione: tutti i personaggi (nomi e cognomi ) tutte le categorie di ingordi affaristi e piccoli commercianti, dallo sfruttamento minerario, ai grandi interessi della linea ferroviaria della Northern Pacific Railroad che avrebbe collegato le due coste dell’America. E non manca nemmeno il segreto finale che ci svela Scialle Nero. Ho apprezzato molte cose in questo libro, prima di tutto l’ imparzialità dell’autore quando racconta degli indiani: che rubavano i cavalli alle altre tribù, o altre loro malefatte. Ho apprezzato la chiarezza della sua scrittura nel destreggiarsi fra: conflitti e tattiche di guerra. La fluidità con cui ha saputo intrecciare tenerezze, spiritualità, con l’invidia e la meschinità. Ho molto gradito la cartina geografica Della Grande Prateria del Nord, sulla quale ho seguito la battaglia del Little Bighorn del 25 giugno 1876, tifando per Cavallo Pazzo e gioiendo per la sconfitta del generale Custer. E condivido a pieno la quarta di copertina, in particolare la frase: racconto struggente e meraviglioso, che nessun “ viso pallido” potrà leggere senza un brivido di tenerezza e di Vergogna. Non so quando l’autore abbia partecipato alla cerimonia di ringraziamento è purificazione, ma sono certa che oggi, lo spirito di Cavallo Pazzo abbia tratto giovamento da questo bel libro, non solo per se ma per tutti gli indiani. Grazie all’autore per aver dato luce a questo pezzo di storia e grazie a mia nipote che me lo ha regalato, centrando a pieno le mie preferenze, anche le nonne non dimenticano😁

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Non assunta in cielo, come la Vergine Maria, ma assunta a tempo indeterminato, che di questi tempi è comunque quasi un miracolo. Si dice che i concorsi o si vincono o si perdono, come se fossero una lotteria che il più delle volte risulta truccata perché il vincitore o la vincitrice sarà il raccomandato di turno. Ma le cose sembrano stiano cambiando. Non importa sapere di che concorso si stia parlando, non importa sapere che oltre al solito raccomandato ci sono altri ragazzi o ragazze che dall’ estero vorrebbero rientrare in Italia.Concorrenza sleale e leale, dunque.Per assurdo non servirebbe nemmeno sapere il nome del vincitore o della vincitrice. La competizione è feroce e proprio perché non è una lotteria sarebbe interessante sapere con che criterio è stato scelto il migliore o la migliore. Non lo sapremo mai. Ma conosciamo Claudia che è risultata la più preparata e competente in assoluto, tanto da meritarsi l’assunzione a tempo indeterminato per l’unico posto disponibile in Italia per la sua specializzazione. Laureata con 110 e lode, 9 mesi di borsa di studio, 2 anni di dottorato di ricerca, altri 8 con assegno di ricerca e innumerevoli pubblicazioni. Purtroppo, nonostante tutto, non sono mancati 3 anni di disoccupazione. Ma oggi, finalmente, a 40 anni, Claudia raccoglie il frutto del suo lavoro ottenuto con: perseveranza, impegno, fatica, dedizione, pazienza e fiducia nel futuro. Una breve storia per sottolineare la frase che i colleghi e amici di Claudia le hanno comunicato appena raggiunti dalla bella notizia: “ Sei la nostra speranza per il futuro “. Si, siamo sulla buona strada, l’impegno paga, i nostri giovani hanno una nuova speranza. Complimenti a Claudia e auguri a tutti i giovani per un mondo migliore.

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Giusto per non lasciare vuoto il blog ci metto il link ai miei due libri. STRETTAMENTE PERSONALE La quinta barca è Magica Segnalo e ringrazio uno dei primi acquirenti del libro: Carlo Beccaria che nei commenti al post dice che ha preferito acquistare il PDF piuttosto che scaricarlo dai circuiti P2P.