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E’ una lunga lettera che mi ha spedito mio cugino.

Cara Lella,

ho letto il tuo libro.

Delle persone abitualmente si dice talora (a torto o a ragione, poco importa) “poche, ma buone!”. La stessa cosa devo dire, ma solo a ragione, delle tue pagine:poche, ma buone!”, anzi, ottime.

Salve le debite eccezioni, guardo sempre con qualche prevenzione i libri molto voluminosi. Talvolta accade che gli autori dedichino eccessivo spazio a situazioni descrittive di stati d’animo e finiscono con il creare spesso una gabbia intorno al lettore, il quale viene così preso per mano e non può che prendere atto di ciò che vuole dire lo scrittore, lasciando scarsi margini all’attività introspettiva di chi legge. Tale tecnica va assolutamente bene per la descrizione di paesaggi e oggetti o per definire ad es. l’espressività del viso dei personaggi, ma, secondo il mio modo di veder le cose, diventa una fastidiosa pastoia quando la prolissità investe il pensiero e le sensazioni.

Questa premessa mi è parsa doverosa perché un libro che ha per titolo “Strettamente Personale” non può che trattare argomenti….. strettamente personali. E’ un argomento non solo delicato, ma anche alquanto complicato, perché se le tematiche dell’autore fossero eccessivamente definite e circoscritte finirebbero con l’assolvere ad una funzione pressoché notarile della sua volontà, con il risultato che il lettore potrebbe rimanere imprigionato in uno schema interpretativo non suo, giacché lo scritto risulterebbe privato della irrinunciabile qualità di suscitare o trasmettere le particolari emozioni che l’autore aveva prima provato e poi trascritto. L’opera, come tu stessa hai ottimamente intuito, deve invece avere anche la capacità di coinvolgere ed investire la sensibilità creativa del lettore; accompagnare il lettore in un viaggio parallelo fatto di emozioni; gettare un ponte di comunicabilità. E qui casca l’asino, amava dire un mio omonimo (nel senso di Mascìa, con l’accento sulla “i”) amico sardo. Qui viene fuori la qualità dello scrittore: gli bastano a volte poche e semplici frasi per accendere o quanto meno stimolare la presenza partecipativa del lettore, ma per giungere a questo risultato occorre una grande capacità di cercare, selezionare e calibrare quelle parole “chiavi”, proprio quelle parole magiche (e non altre) che sono necessarie per stabilire una sorta di simbiosi con la sensibilità del lettore. Questi deve essere munito di idonea chiave di lettura che gli consenta non solo di accedere al pensiero dell’autore, ma anche di scrutare in un altro intimo orizzonte di emozioni.

Sei stata brava nella ricerca dell’indispensabile equilibrio narrativo necessario, facendo leva su quelle frasi chiave sapientemente distribuite qua e là.

Ha ragione il prefatore Filippi: il preambolo (complimenti per la magnifica idea!) è una preziosa cornice e proprio in essi ho trovato spesso il guizzo, il bandolo di una nuova matassa da dipanare nei misteri di segreti e spesso inesplorati pensieri.

Non mi pare il caso di dilungarmi troppo, ma tengo a svelarti che sono stato vivamente colpito da alcuni tuoi pensieri.

Ad es. a pag. 17 scrivi: “Il peggio è stato voler credere che così non fosse. Comincia tutto come una molla………….pensiero dopo pensiero”. Credo che già questo breve paragrafo racchiuda il tema non di una passeggiata letteraria, ma una faticosa ed impegnativa scalata dell’inconscio.

Vivere al rallentatore” dici a pag. 37. Lo trovo un perentorio invito all’intera umanità a vivere al rallentatore, un invito a guardare le cose rivolto a chi invece si limita solo a vederle. Peccato che sia, come anche tu scrivi, un’utopia.

Pag. 58. “La sfortuna di una sofferenza può risultare vincente per chi sa cogliere una scintilla nel buio”. Penso alla grandiosa e vincente fragilità di uomini (Gesù con la Sua cosciente immolazione, Gandhi con la sua non violenza e con la marcia del sale) che con la loro sofferenza e il loro esempio hanno cambiato il corso della vita di miliardi di persone.

Pag. 102. “Quando si prega è bene sapere quello che si dice.” Pare un’affermazione lapalissiana, ma è una domanda tragicamente sempre attuale in tutti i campi: quanti sono capaci di farlo? Se effettivamente sapessimo con esattezza cosa facciamo, prevedendone le conseguenze, forse vivremmo in un mondo migliore. E, perbacco, sei riuscita anche a mettere il dito nella piaga, condannando l’inadeguatezza della scuola, che oggi ci consegna giovani ignoranti, vittime del pregiudizio di insegnanti e genitori.

Io mi fermo qui, ma tu non ti fermare, vai avanti perché sono sicuro che se scavi bene in te stessa certamente troverai cose importanti da scrivere.

Un abbraccio Mario e Enza.