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Ci sperava poco: Assistere alla Turandot presentandosi alla cassa del Teatro Coccia poco prima dell’inizio dell’opera senza nemmeno una prenotazione, e invece…” E’ fortunata Signora, c’è stata una rinuncia ed è disponibile un biglietto in un palco centrale  con un notevole sconto”.

La trama dell’opera la Signora Narrini la ricordava così: Una giovane badante di nome Liù accompagna un anziano signore (per altro cieco) a vedere la decapitazione del principe di Persia. La confusione quel giorno a Pechino è molta e quando la strana coppia viene travolta dalla folla il Principe Calaf (che dovrebbe essere in esilio e forse anche morto) aiuta l’anziano a rialzarsi e… guardandolo si accorge trattarsi di Timur, suo padre. La badante gli spiega che si era subito presa cura dell’anziano signore da quando era diventato cieco semplicemente perchè lui Calaf una volta le aveva sorriso.

Calaf invece si innamora a prima vista di Turandot, la cattivissima regina che condanna a morte tutti i principi che la vorrebbero sposare ma  non sono in grado di svelare gli indovinelli che lei propone. Non che  Turandot odiasse gli uomini o fosse lesbica, quella sua crudeltà era un modo per vendicare una sua antenata che era stata violentata ed ammazzata da un re barbaro.

Tutti mettono in guardia Calaf: Liù che lo ama perdutamente, il padre che lo ha appena ritrovato e teme di perderlo di nuovo e poi ci sono anche i tre ministri dell’imperatore: Ping, Pong, Pang.

Ma lui niente, non da retta a nessuno, nemmeno al papi di Turandot che lo scongiura di rinunciare alla figlia. Calaf non molla, accetta la sfida e per tranquillizzare tutti dice: VINCERÒ, VINCERÒ, VIINCEEROOÒ. E vince davvero, risolvendo i tre  indovinelli. Turandot è spiazzata non vuole assolutamente sposare il principe ma e obbligata dal parde a mantenere il giuramento.

A questo punto il futuro sposo (che è un signore) propone a sua volta un indovinello a Turandot: Se riuscirà a scoprire il suo nome prima dell’alba, lui morirà; altrimenti dovrà accettarlo come sposo.

Turandot farà di tutto per estorcere il nome di quel principe e Liù sotto tortura pur  di non tradire colui che ama si ucciderà! Questo fatto sconvolgerà Turandot che già attratta dal principe si farà baciare da lui che le sussurrerà il proprio nome. Lei annuncia di conoscere il nome dello straniero:” Amore”. E vissero felici e contenti.

La Signora Narrini si sta godendo l’opera, e il momento più commovente: Liù si è pugnalata e adesso sta morendo, la melodia pucciniana l’avvolge teneramente.

Cala il sipario e partono gli applausi.

No, no, l’opera non è finita, non finisce così, la Signora Narrini si agita sulla sua poltroncina, cerca disperatamente una conferma nel suo libretto e la trova: Nell’edizione proposta dal Teatro Coccia l’opera viene eseguita fino alla morte di Liù, ossia fino al punto in cui Puccini lasciò la stessa incompiuta, così come avvenne alla prima esecuzione presso il Teatro alla Scala con la direzione del Maestro Toscanini.”

A… ecco il motivo, adesso era tutto chiaro e Il biglietto scontato che si ritrovò nelle mani infilandole nel soprabito  era in perfetta  sincronia con l’opera incompiuta.

PS. I ricordi della Signora Narrini a proposito della trama del dramma sono incompleti e…Liù non è una  badante ma… una schiava.

Sarà un lapsus?


Capitolo tratto dal romanzo: LA QUINTA BARCA E’ MAGICA

IL TONNO MASCHIO, in mezzo al mare, luglio 98

Quando Alberto era piccolo, Enrico non resisteva alla tentazione di giocare, la vigilia di Natale, con il regalo che avevamo scelto per lui. Era un classico: Alberto, verso le 21 andava a letto e Enrico verso le 22 scartava il regalo, lo montava o ci metteva le pile, si stupiva per la semplicità con la quale era stato realizzato e si divertiva a controllarne i meccanismi, immancabilmente faceva rumore e io dovevo zittirlo temendo che Alberto si sarebbe svegliato.
Dopo venticinque anni Enrico non è cambiato, ha sempre voglia di giocare con i regali che fa agli altri e, siccome con quelli di Alberto non può più farlo, quest’anno ha giocato con il mio, e devo dire che anch’io ho partecipato e Alberto con la nonna hanno fatto da spettatori.
Era un regalo lungo lungo, stretto stretto, leggero leggero e ad una estremità c’era legato un altro pacchetto.
In previsione delle ferie con Magica, Enrico mi aveva  regalato una canna per pescare alla traina.
In soggiorno, io facevo il pesce che aveva abboccato e Enrico, dall’altra parte, il pescatore che cercava di recuperarmi, io resistevo, la canna fletteva e Alberto e la nonna ridevano, ma Enrico (che non é un pescatore) era in difficoltà perché il mulinello era montato in modo sbagliato.
Che figura! meno male che in ferie con noi verrà Piero che è un pescatore coi fiocchi, se no col cavolo che noi prenderemmo dei pesci.

Nel primo tratto di mare aperto, fra Viareggio e Capraia, Piero, che era l’unico a non essersi dimenticato della canna da pesca, armeggia con una scatola che riconosco: era con il mio regalo di Natale e contiene le esche per pescare.
“Dai…dai… Piero che peschiamo”. Il pesciolino finto che funge da esca è mostruoso: grande, coloratissimo, ha una specie di paletta di metallo in bocca e sui fianchi un numero impressionante di ami decisamente robusti, imparerò più avanti che quelle esche si chiamano minnows e sono molto costose. Piero effettua le varie operazioni con precisione e con cognizione di fatto, è un bravo pescatore lui, ma mi ha pregato di non spiegare nei particolari le sue prodezze.
Certo che se prendessimo un bel pesciotto! Piero trova un posto strategico per piazzare la canna e per un po’ aspettiamo, poi ci stufiamo, e poi proprio ci dimentichiamo. Enrico è ancora preso con la pompa dell’acqua che scatta da sola, presume una perdita, ma non troviamo tracce di acqua da nessuna parte, Graziella si è sdraiata all’ombra sulla cabina, legge un libro che non deve essere molto interessante, perché ogni tanto sonnecchia. Piero invece dopo aver controllato le vele, va proprio a dormire in cabina nel suo letto.
Il pilota automatico è programmato per portarci alla Capraia.
Passo in rassegna i CD che abbiamo portato a bordo, escludo la Traviata perché essendo la nostra preferita è la più gettonata, Midnight Jazz mi piace molto: per questo l’ho portata, ma adesso mi sembra troppo legata ad altri momenti vissuti in altri luoghi. Strano, una musica ti piace, ma ti dà il suo massimo solo quando sei pronta per ascoltarla.
Vediamo cosa c’è di bello qui, ah, sì…La Turandot. Ho visto l’opera, ma le musiche, a parte le più famose, tipo “Nessun dorma” non le ricordo.

Mi trovo un posticino comodo e prima di pigiare il pulsante per ascoltarmele tranquillamente, do un’occhiata in giro, il vento è sostenuto e le vele sono belle gonfie come le ha lasciate Piero; la Capraia è già in vista, alle mie spalle la costa non si vede più. La musica si diffonde intorno a noi e la potenza delle prime note mi riporta alla mente il palcoscenico e la sontuosità dei costumi.
Il rumore del mare e del vento sparisce, la tenerezza struggente della musica di Puccini ti rapisce e ti trovi immersa in un altro mondo fatto di campanelli orientali, indovinelli, schiave, regine e pretendenti re.
Vrrr…Un rumore strano e inaspettato mi fa girare la testa da tutte le parti, vrrr…vrrr…
“Ma cos’è?  dov’è ?”.
“Il pesce Lellaaa, ha abboccato” grida Enrico e corre verso la canna per fermare il mulinello.
“Pieroo , Pierooo, il pesce…”.
Ma lui, al primo momento, non ci crede, poi quando realizza che è vero, esce dalla cabina ancora quasi carponi e prende in mano la situazione oltre alla canna:
“Ammaina, ammaina le vele, dai, questo tira come un matto!”.
Graziella è schizzata anche lei nel pozzetto e Piero ne approfitta per farsi accendere una sigaretta, sa benissimo che in questo momento nessuno glie la negherebbe anche se sta smettendo di fumare. Dopo aver passato la sigaretta, Graziella mi aiuta ad ammainare le vele e Enrico sta già preparando un raffio con un tondino recuperato nella cassetta degli attrezzi. Non vedo l’ora di aver finito con le vele per non perdermi niente, la canna era inclinata tantissimo e Piero dice che sarà un tonno di 10 – 15 kg.
Seduto sulla poltroncina un po’ recupera faticosamente il filo, un po’ lo lascia correre; dice che deve stancare il pesce, lui intanto è sudato. Noi tre lì in piedi, vicino a lui non possiamo fare altro che scrutare il mare nella speranza di vedere saltare fuori il pesciotto, la canna è sempre più incurvata. Altro che quel giorno in soggiorno! Non immaginavo che potesse piegarsi a quel modo; la lotta tra il pesce e Piero continua. Noi immortaliamo il momento con la macchina fotografica,  in realtà, quegli scatti ci servono da prova per un’altra fotografia ben più agognata. Mentre Piero ci spiega perché ogni tanto il pesce prende il sopravvento, noi facciamo congetture sulla futura preda: l’effetto che farà la foto quando gli amici la vedranno, come faremo ad ucciderla quando sarà nel pozzetto, come la cucineremo; inutile dirlo siamo euforici e tifiamo per Piero.
Graziella ed io,  prevedendo l’orrore di tutto il pozzetto insanguinato col tonno che salta da tutte le parti, siamo combattute tra il desiderio di prenderlo e la preoccupazione di quello che succederà se davvero riusciremo a caricarlo a bordo.
Enrico e Piero non hanno dubbi, gli darebbero una legnata.

È passato parecchio tempo e il pesciotto non accenna a darsi per vinto, anzi, ogni tanto dà dei tironi tremendi, tanto da provocare un taglio sul dito di Piero, che per un attimo si è permesso il lusso di distrarsi.
Pensavamo tutti che sarebbe stato molto più facile e invece pare sia una faccenda alquanto lunga.
Piero comunque si difende egregiamente, se pur con notevole fatica, continua a recuperare.
La canna improvvisamente si raddrizza e Piero, senza dire nulla, recupera con  estrema facilità.
“Cosa è successo?”.
“È ANDATO… LO STRONZO!”.
“Ma dai… non lo abbiamo nemmeno visto…”
“Sì… non lo abbiamo nemmeno visto, però sappiamo che è un tonno maschio!”.
“Perché?”.
“… Perché… ce lo ha messo nel c…”.