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E’ successo. E’ successo un’altra volta: “Abbiamo venduto la barca”. La quinta, quella “Magica”.

Quando Enrico ha lanciato  l‘annuncio su internet, ero convinta che sarebbe passato inosservato, ero convinta che avremmo veleggiato per un mese, ero convinta che un catamarano auto costruito avrebbe dovuto incontrare proprio un amatore. E’ stato così che abbiamo conosciuto Pippo; è arrivato subito per vedere la barca. Il catamarano ancora sporco, ancora a terra e disarmato ma a lui è piaciuto ugualmente, aprendo i gavoni è rimasto meravigliato di sentire il profumo del legno e di vedere ancora residui di segatura.

Ma come, non abbiamo ancora cominciato le ferie e già c’è un compratore: uno che ama il mare e la vela, navigatore oceanico, skipper freelance, e anche istruttore di vela, uno tosto che ha anche capito perfettamente come è stata costruita la barca.

Difficile non volergli subito bene, lui dirà in seguito che lo abbiamo adottato, è vero! Pippo ci è subito piaciuto: la parlantina spedita, ma mai parole a vanvera, ci racconta di lui, delle traversate atlantiche, dei progetti futuri e di quello di cui si occupa adesso. Un giovane quarantenne pieno d’entusiasmo, pensa già di dotare Magica di pannello solare per alimentare un impianto stereo.

E’ a questo punto che ho capito che era giusto che Magica passasse di mano: per rinnovarsi, per rimanere giovane e… Pippo è proprio quello che ci voleva per lei.

Capitolo tratto dal romanzo: LA QUINTA BARCA E’ MAGICA

IL TONNO MASCHIO, in mezzo al mare, luglio 98

Quando Alberto era piccolo, Enrico non resisteva alla tentazione di giocare, la vigilia di Natale, con il regalo che avevamo scelto per lui. Era un classico: Alberto, verso le 21 andava a letto e Enrico verso le 22 scartava il regalo, lo montava o ci metteva le pile, si stupiva per la semplicità con la quale era stato realizzato e si divertiva a controllarne i meccanismi, immancabilmente faceva rumore e io dovevo zittirlo temendo che Alberto si sarebbe svegliato.
Dopo venticinque anni Enrico non è cambiato, ha sempre voglia di giocare con i regali che fa agli altri e, siccome con quelli di Alberto non può più farlo, quest’anno ha giocato con il mio, e devo dire che anch’io ho partecipato e Alberto con la nonna hanno fatto da spettatori.
Era un regalo lungo lungo, stretto stretto, leggero leggero e ad una estremità c’era legato un altro pacchetto.
In previsione delle ferie con Magica, Enrico mi aveva  regalato una canna per pescare alla traina.
In soggiorno, io facevo il pesce che aveva abboccato e Enrico, dall’altra parte, il pescatore che cercava di recuperarmi, io resistevo, la canna fletteva e Alberto e la nonna ridevano, ma Enrico (che non é un pescatore) era in difficoltà perché il mulinello era montato in modo sbagliato.
Che figura! meno male che in ferie con noi verrà Piero che è un pescatore coi fiocchi, se no col cavolo che noi prenderemmo dei pesci.

Nel primo tratto di mare aperto, fra Viareggio e Capraia, Piero, che era l’unico a non essersi dimenticato della canna da pesca, armeggia con una scatola che riconosco: era con il mio regalo di Natale e contiene le esche per pescare.
“Dai…dai… Piero che peschiamo”. Il pesciolino finto che funge da esca è mostruoso: grande, coloratissimo, ha una specie di paletta di metallo in bocca e sui fianchi un numero impressionante di ami decisamente robusti, imparerò più avanti che quelle esche si chiamano minnows e sono molto costose. Piero effettua le varie operazioni con precisione e con cognizione di fatto, è un bravo pescatore lui, ma mi ha pregato di non spiegare nei particolari le sue prodezze.
Certo che se prendessimo un bel pesciotto! Piero trova un posto strategico per piazzare la canna e per un po’ aspettiamo, poi ci stufiamo, e poi proprio ci dimentichiamo. Enrico è ancora preso con la pompa dell’acqua che scatta da sola, presume una perdita, ma non troviamo tracce di acqua da nessuna parte, Graziella si è sdraiata all’ombra sulla cabina, legge un libro che non deve essere molto interessante, perché ogni tanto sonnecchia. Piero invece dopo aver controllato le vele, va proprio a dormire in cabina nel suo letto.
Il pilota automatico è programmato per portarci alla Capraia.
Passo in rassegna i CD che abbiamo portato a bordo, escludo la Traviata perché essendo la nostra preferita è la più gettonata, Midnight Jazz mi piace molto: per questo l’ho portata, ma adesso mi sembra troppo legata ad altri momenti vissuti in altri luoghi. Strano, una musica ti piace, ma ti dà il suo massimo solo quando sei pronta per ascoltarla.
Vediamo cosa c’è di bello qui, ah, sì…La Turandot. Ho visto l’opera, ma le musiche, a parte le più famose, tipo “Nessun dorma” non le ricordo.

Mi trovo un posticino comodo e prima di pigiare il pulsante per ascoltarmele tranquillamente, do un’occhiata in giro, il vento è sostenuto e le vele sono belle gonfie come le ha lasciate Piero; la Capraia è già in vista, alle mie spalle la costa non si vede più. La musica si diffonde intorno a noi e la potenza delle prime note mi riporta alla mente il palcoscenico e la sontuosità dei costumi.
Il rumore del mare e del vento sparisce, la tenerezza struggente della musica di Puccini ti rapisce e ti trovi immersa in un altro mondo fatto di campanelli orientali, indovinelli, schiave, regine e pretendenti re.
Vrrr…Un rumore strano e inaspettato mi fa girare la testa da tutte le parti, vrrr…vrrr…
“Ma cos’è?  dov’è ?”.
“Il pesce Lellaaa, ha abboccato” grida Enrico e corre verso la canna per fermare il mulinello.
“Pieroo , Pierooo, il pesce…”.
Ma lui, al primo momento, non ci crede, poi quando realizza che è vero, esce dalla cabina ancora quasi carponi e prende in mano la situazione oltre alla canna:
“Ammaina, ammaina le vele, dai, questo tira come un matto!”.
Graziella è schizzata anche lei nel pozzetto e Piero ne approfitta per farsi accendere una sigaretta, sa benissimo che in questo momento nessuno glie la negherebbe anche se sta smettendo di fumare. Dopo aver passato la sigaretta, Graziella mi aiuta ad ammainare le vele e Enrico sta già preparando un raffio con un tondino recuperato nella cassetta degli attrezzi. Non vedo l’ora di aver finito con le vele per non perdermi niente, la canna era inclinata tantissimo e Piero dice che sarà un tonno di 10 – 15 kg.
Seduto sulla poltroncina un po’ recupera faticosamente il filo, un po’ lo lascia correre; dice che deve stancare il pesce, lui intanto è sudato. Noi tre lì in piedi, vicino a lui non possiamo fare altro che scrutare il mare nella speranza di vedere saltare fuori il pesciotto, la canna è sempre più incurvata. Altro che quel giorno in soggiorno! Non immaginavo che potesse piegarsi a quel modo; la lotta tra il pesce e Piero continua. Noi immortaliamo il momento con la macchina fotografica,  in realtà, quegli scatti ci servono da prova per un’altra fotografia ben più agognata. Mentre Piero ci spiega perché ogni tanto il pesce prende il sopravvento, noi facciamo congetture sulla futura preda: l’effetto che farà la foto quando gli amici la vedranno, come faremo ad ucciderla quando sarà nel pozzetto, come la cucineremo; inutile dirlo siamo euforici e tifiamo per Piero.
Graziella ed io,  prevedendo l’orrore di tutto il pozzetto insanguinato col tonno che salta da tutte le parti, siamo combattute tra il desiderio di prenderlo e la preoccupazione di quello che succederà se davvero riusciremo a caricarlo a bordo.
Enrico e Piero non hanno dubbi, gli darebbero una legnata.

È passato parecchio tempo e il pesciotto non accenna a darsi per vinto, anzi, ogni tanto dà dei tironi tremendi, tanto da provocare un taglio sul dito di Piero, che per un attimo si è permesso il lusso di distrarsi.
Pensavamo tutti che sarebbe stato molto più facile e invece pare sia una faccenda alquanto lunga.
Piero comunque si difende egregiamente, se pur con notevole fatica, continua a recuperare.
La canna improvvisamente si raddrizza e Piero, senza dire nulla, recupera con  estrema facilità.
“Cosa è successo?”.
“È ANDATO… LO STRONZO!”.
“Ma dai… non lo abbiamo nemmeno visto…”
“Sì… non lo abbiamo nemmeno visto, però sappiamo che è un tonno maschio!”.
“Perché?”.
“… Perché… ce lo ha messo nel c…”.