Andrea e Roberta hanno un appuntamento con dei loro amici, davanti a questa piccola isola di Diaporos, con loro hanno concordato una cena tutti insieme per questa sera in taverna, così, scendendo a terra faremo anche la spesa e riempiremo una tanica d’acqua. Dove siamo ormeggiati all’ancora è particolarmente lontano dalla zona abitata, per cui, verso sera, salpiamo l’ancora e con Felicità ci avviciniamo di più a terra per raggiungerla poi più facilmente col canotto, i Benini arriveranno con il canotto dei loro amici. Anche in questa taverna non servono il pane ma le pite, e le posate, avvolte nei 6 tovaglioli sono infilate in una lattina vuota di pomodoro, che una volta distribuito il contenuto, abbiamo deciso di far sparire perché era sporca. Al termine della cena seguo Mauro con la mia tanica da 15 lt. fino ad una fontanella e lì, mentre le stavamo riempendo comincia a diluviare per bene: prima grossi goccioloni, poi una forte pioggia battente, tanto che rifugiarci al supermercato, li vicino, non è servito a molto. Appena possiamo torniamo alla taverna, cedo la tanica piena ad Enrico e prendo io il motore elettrico (più leggero, solo 6,5 kg) che ci siamo portati alla taverna( per non lasciarlo incustodito in spiaggia). Niente spesa, sono tutta grondante e il tragitto in canotto di sera anche se breve mi preoccupa un po’. Prima di scendere avevamo chiuso il passo d’uomo sopra la camera da letto, ma alcuni oblò in dinette erano rimasti aperti per cui, al rientro, il resto della serata lo abbiamo passato ad asciugare in giro un po’ di tutto. Quando finalmente anche i miei capelli sono stati asciutti, (niente phon in baia) siamo andati a letto. Mercoledì 3 luglio. Ci sono delle giornate in cui parti, arrivi, fai, vedi e senti un mucchio di cose, te ne succedono altre e quando è sera ti domandi: ma…oggi è lo stesso giorno di questa mattina? E dire che oggi era cominciato tutto nella tranquillità più assoluta a partire dalla sveglia alle 9 del mattino, poi alle 10 Andrea telefona per informarci che potremo fare carburante a un miglio di distanza dalla baia in cui ci troviamo ” andiamo e torniamo dice, devo solo telefonare quando arriviamo in porto, non prima delle 11 però, perché il molo è occupato dai kayik( barche turche)”. “Ok” rispondiamo, “veniamo anche noi”. Navigare verso il porto di Panagia è tutto un susseguirsi di isolette, rientranze, fiordi, insenature e piccole baie, a volte tanto piccole da poter ospitare una sola barca. Le rocce sono a volte levigate dal mare e dal vento che le hanno rese tondeggianti, quasi morbide, colore sabbia, si ha l’impressione che soffiando si possano sgretolare, altre sono di tonalità diverse di grigio, dove, non si sa come spuntano pino marittimi. L’acqua che circonda queste rocce o che lambisce le rive che incontriamo nel nostro navigare verso nord sono macchie intense di colore ben distinte fra di loro. In porto il pontile è vuoto, i kayik sono partiti, c’è solo un grosso peschereccio ormeggiato all’inglese.