Un filo di panni stesi ci ha accolto al termine dei gradini che ci portavano sull’ampio spazio del teatro di Epidauro, proprio all’altezza del viso; liberata la visuale spostando un asciugamano, sono rimasta allibita: un accampamento di poche roulotte, tendina canadese e camioncino occupava lo spazio retrostante il palcoscenico e… c’era anche un carro funebre un po’ vecchiotto e mal messo, come tutto il resto. Dopo un attimo di sbigottimento nel quale ho pensato: gli attori forse dormono qui, ma… il carro funebre? Poi all’improvviso ho capito: Alcesti muore all’inizio della tragedia greca di Euripide, e noi eravamo nel pieno dell’arco scenico, spostando l’asciugamano che inizialmente ci copriva la visuale, era come se avessimo aperto il sipario di velluto del teatro, eravamo entrati direttamente nella tragedia.
Con il nostro cuscino sotto braccio, ci siamo inerpicati nella cavea dell’anfiteatro cercando i numeri 10 e 11 relativi ai nostri biglietti, l’impresa sarebbe stata impossibile senza l’aiuto delle numerosissime maschere, fra l’altro gentilissime. Con notevole anticipo sull’inizio dello spettacolo, l’anfiteatro si presentava vuoto, imponente, e di un’eleganza essenziale. Le gradinate ricavate scavando sul lato ovest del monte Kynortio erano ancora illuminate e rimandavano un immagine di grandiosità. Poi, piano piano ( siga’ siga’) come si dice qui in Grecia, una miriade di spettatori hanno oscurato le gradinate coprendole di colori, di movimenti di voci e di zainetti. Vecchi, giovani, uomini, donne, bambini e bambine, coppie, singoli e gruppi di diverse nazionalità hanno occupato quasi totalmente i 15.000 posti di questo gioiello, dichiarato patrimonio dell’umanità.
Ridotta ai minimi termini, la tragedia “Alcesti” potrebbe suonare così: il dio Apollo è condannato da Zeus a servire come schiavo Admeto, re di Fere. Quando Apollo scoprirà che il suo re dovrà morire farà di tutto per evitarlo, e ottiene dalle Moire la sua vita a patto che qualcun altro muoia al posto suo. Non trovandosi volontari, la moglie Alcesti si sacrifica per lui. Poi Eracle, che passa di li durante le sue famose dodici fatiche, non capisce subito la portata della tragedia e quando in fine viene messo al corrente che il funerale appena svolto era quello della regina Alcesti, si pente della sua ilarità e delle sue bevute di vino, così cerca di rimediare e sempre tramite le Moire fa rivivere Alcesti.
Si è fatto buio, i tabelloni laterali illuminandosi indicano il titolo della tragedia e per tutta la durata dello spettacolo si susseguirà la traduzione simultanea in greco e in inglese, mentre gli attori reciteranno in tedesco! Panico, non lo sapevamo e noi conosciamo solo l’italiano e il francese, meno male che ci siamo letti prima la storia, ripetutamente, per capirla e gustarla meglio. Sul palcoscenico, da solo, il re di Fere recita, non ci sono scene, il costume è minimalista, non c’è musica e una sola luce lo illumina, ma… sono attentissima, pur non capendo nemmeno una parola mi rendo conto della disperazione di Admeto che perderà la sua sposa, è accasciato e piagnucola, poi si rialza e impreca camminando convulsamente, i toni, il volume cambiano in continuazione, si capisce che è un uomo distrutto. Intanto Thanos, la morte, attende nel carro funebre con la bara che sporge e i fari accesi. Prima di andarsene Alcesti saluta affettuosamente i figli che le sono corsi incontro sul palcoscenico uscendo di corsa dalla roulotte illuminata, sono vestiti di bianco e frenandosi ai piedi della madre sollevano un grosso polverone che illuminato dai proiettori sarà parte integrante per molte scene. Sulla stessa polvere Alceste ed Almeno, dopo che la domestica ha riaccompagnato i bimbi in roulotte si rotolano amandosi per l’ultima volta, poi lei balla accompagnata dalla musica e si dirige al carro funebre entrando nella bara. Un coro in sottofondo, e delle enormi lettere proiettate fino agli alberi dietro le roulotte immagino traducano una frase che avevo letto precedentemente: “il morto giace il vivo si dà pace”. A questo punto arriva il padre di Admeto con la valigia che porta il vestito per la morta, viene aggredito a male parole dal figlio che non gli perdona di non essersi sacrificato per lui e di conseguenza lo accusa della morte di Alcesti. Volano le uniche due sedie di plastica in scena a interpretare la rabbia e la violenza. Il padre non si scompone e gli risponde per le rime (non so cosa, ma cercherò di documentarmi) lo scontro generazionale è sempre interessante.
Irruento e chiassoso irrompe provvidenziale nella scena vuota l’ospite Eracle, reduce dalle sue famose 12 fatiche, equipaggiato di enorme zaino con attaccato di tutto, di cappellaccio da esploratore e scarponi da alpinista; ha un vocione tuonante e quello che dice fa ridere il pubblico. È accolto festosamente dalla famiglia ma notando comunque la tristezza del padrone di casa, gli viene detto, per non turbarlo che si è appena seppellita una persona di famiglia non consanguinea . Eracle continua così la sua allegria e le sue bevute, finché non viene messo al corrente dalla cameriera che è la moglie del re che è morta. Silenzio, Eracle si muove circospetto, sembra pentito e vuol rimediare, si libera dello zaino cammina piano, pensoso, poi bofonchia qualche frase fra sé e sé, ma se pure l’acustica è perfetta e si capisce chiaramente il suo discorso non è necessaria la traduzione: la mimica del volto e del corpo, il tono e il volume della voce, le pause interrogative e la gestualità, fanno di Eracle un attore perfetto, come del resto tutto il resto della compagnia. Di nuovo il coro e sul palcoscenico Admeto, con l’aiuto dei figli cerca maldestramente di distribuire su di uno stendino la biancheria bagnata, le roulotte sul fondo sono illuminate e Thanos cerca con una pila puntata nel motore, di trovare il motivo per cui non riesce a partire, è stato con la testa nel motore a trafficare, da quando Alcesti è entrata nella bara. E mentre il pubblico è concentrato sul bucato che viene steso, una grossa nuvola rossa avvolge il carro funebre, che solo inizialmente copre Eracle che sposta verso il palcoscenico una impalcatura coperta da un pesante drappo. Eracle aveva contattato le Moire ed era riuscito a riavere viva Alcesti che però non avrebbe parlato per altri tre giorni e ora era lì, al centro del palcoscenico davanti ad Admeto e gli offriva questa donna, che diceva di aver vinto al gioco delle carte. “ non se ne parla nemmeno” dice Admeto, “ho promesso ad Alcesti che non avrei avuto mai altra donna all’infuori di Lei”. Ma dai… non fare così… dalle solo un’occhiatina. E sotto il drappo Admeto scopre Alcesti.
Le chiamate del pubblico per applaudire gli attori sono state molte, intense e meritate anche da parte nostra che non abbiamo capito una sola parola. Merito senz’altro della magia del teatro.
Imbocchiamo a ritroso la strada per lasciare il teatro, mi giro e con noi una marea di gente ondeggia in discesa e penso agli antichi Greci che per così tanti anni hanno calpestato gli stessi gradini e forse come me hanno pensato alle inevitabili considerazioni e dubbi di questa tragedia: Thanos, la morte,che è accomodante ma implacabile nell’esigere una vita, una qualsiasi, tanto lì lo sa che prima o poi toccherà a tutti. Molti di noi però si comportano come se dovessero vivere in eterno. Il granitico amore materno, che in questo caso fa difetto: Alcesti abbandona i figli, ma alle madri, da sempre si è chiesto troppo. Avere le conoscenze giuste: un ospite amico come Eracle che ti risolve i problemi non è da tutti averlo. Un padre solo, incapace di gestire i figli… e anche il bucato. E in fine sulla trama penso che molte donne oggi avrebbero da ridire: sacrificarsi e morire per amore, vincere una donna al gioco delle carte… più che ad una tragedia penserebbero ad una farsa, e poi spero che vorranno tenere presente che la tragedia in questione è stata scritta da Euripide nel 438 a.C. Che però, sommati ai nostri 2022 d.C. fanno 2460, ebbene dopo tutto questo tempo per alcuni uomini non è cambiato molto visto che considerano ancora le donne oggetti di loro proprietà.
Adesso però devo stare attenta a dove appoggio i piedi, questi gradini sono alti, alcuni sconnessi ed altri sbeccati. Ci avviamo all’immenso parcheggio, saliamo in macchia per rientrare, ci perdiamo e ci mettiamo due ore anziché una, una vera tragedia greca. Due al prezzo di una.
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La scomparsa delle donne
Marina Terragni è stata brava, nel suo libro: La scomparsa delle donne, c’ è tutta la sua professionalità e competenza, tutta l’esperienza di una vita vissuta intensamente. Si sente, leggendo il suo libro che ci ha ragionato sopra, facendo partecipe il lettore e le lettrici dei suoi pensieri, delle intuizioni, delle realtà e delle possibilità. E’ una lettura accorata e sincera nella quale mi sono rivista diciottenne, travolta dal 68, ventitreenne, mamma e terribilmente sola. Ho letto pensieri che credevo fossero solo miei e trovarli stampati a distanza di tanti anni mi ha fatto bene. Ho ritrovato i libri della filosofa Luisa Muraro e… mi sono ricordata quanto fosse stato difficile per me leggere : Il Dio delle donne, avevo dovuto leggerlo due volte e sentivo rileggendolo che era giuso che mi sforzassi per capire, era giusto seguire quei pensieri. Si legge di Virginia Woolf che in: Una stanza tutta per se, parla dell’emancipazione femminile.
E’ come se per tutta la sua vita la Terragni avesse pensato a questo libro, come se avesse osservato passo passo il cambiamento della donna: in casa, sul lavoro, nella società, e in particolare nei rapporti con l’uomo. Ne ha preso nota, discusso al Circolo della Rosa, si è confrontata con altre donne, ha ascoltato, ragionato, ha vissuto esperienze personali che le hanno fatto toccare con mano i possibili cambiamenti. Perché si può cambiare, bisogna cambiare altrimenti la vede brutta la Terragni, magari solo provocatoriamente ma la scomparsa della donna, della sua differenza femminile è al capolinea.
Scrive molto anche degli uomini: delle violenze perpetrate sulle donne, delle sue nuove paure, della voglia di cambiamento che sentono anche loro.
Non vi parlerò di tutti gli argomenti che sono trattati e approfonditi in questo libro, perché è meglio che lo scopriate da sole, o da soli. Il risultato è un’ analisi imparziale, e soprattutto Marina Terragni ha lasciata aperta la via alla speranza di una proficua collaborazione fra uomo e donna. Per un mondo migliore.