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30° ANNIVERSARIO PER LA SCUOLA MUSICALE DI MACCAGNO


La banda è allegria, festa, commemorazione, aggregazione e musica per tutti. Nelle loro divise impeccabili, con i loro strumenti lucidi e gli spartiti, i musicanti suonano camminando per le città, i cittadini seguono beandosi dei ritmi e di quell’atmosfera gioiosa. I bambini non disturbano se piangono e anche le voci degli adulti che chiacchierano vengono inghiottite dalla forza della musica. E’ stato così anche a Maccagno, sabato 7 giugno alle ore 19,30. Questa volta però la festa era tutta per la Scuola Musicale di Maccagno che celebrava il 30° anniversario di rifondazione. Rifondazione perché la banda in Maccagno esisteva già dal 1824, poi per vari motivi cessò la sua attività che venne ripresa appunto nel 1978. Fautore della rinascita il maestro Torrigiotti che dopo 30 anni è ancora alla direzione della formazione bandistica. Per l’occasione è stato invitato il Corpo Musicale S. Cecilia Germignaga e il Corpo Musicale Rasa di Varese, due bande con ben 200 anni di storia per la prima e 100 per la seconda. Ho avuto l’impressione che la nostra banda di Maccagno con i sui 30 anni di attività fosse una bambina a confronto delle altre due, ma… una bambina prodigio. Dopo la sfilata per le vie del paese, con grande godimento dei maccagnesi, le celebrazioni sono proseguite alle ore 21.00, presso il nuovo Auditorium “Città di Maccagno” dedicato a Bruno Compagnoni.

Dopo il saluto del presidente Antonio Cisterna che per l’occasione era molto emozionato, dopo il discorso appassionato del sindaco Fabio Passera, dopo che altre autorità si sono alternate sul palco La banda S. Cecilia Germignaga aspettava in bell’ordine di cominciare a suonare. I discorsi sono stati brevi ed è stato lasciato quasi subito il posto alla musica. E che musica! Il numeroso pubblico che era presente in sala ha subito capito il livello della serata. Sotto la direzione del maestro Domenico Campagnani la banda ha eseguito una marcia dal titolo: Lago Maggiore, e vi assicuro è stato fantastico. Il pubblico entusiasta ha applaudito lungamente. Dopo il Corpo musicale S. Cecilia Germignaga anche la banda di Varese ha esordito con una vivace marcia e il maestro Mario Splendori ha poi diretto altri brani dove clarinetti, trombe e tromboni hanno rievocato musiche da film come: Giù la testa, di Enio Morricone. La scaletta del programma e le spiegazioni dei vari pezzi, con cenni storici , mano mano che dovevano essere eseguiti sono stati diligentemente letti da Paola Perrone che ci ha parlato anche del vissuto degli autori. Al termine delle sue esecuzioni, quando il Corpo Musicale Rasa Varese ha finito di ricevere le ovazioni del pubblico ha lasciato il palco alla nostra banda di Maccagno.

“Dirige il maestro Torrigiotti” ha annunciato Paola, ma… il maestro non poteva dirigere, il maestro doveva parlare, doveva ricordare e… “forse faccio male” ha detto “ma voglio fare i nomi di tutti coloro che non ci sono più e mi hanno accompagnato ed aiutato in questa impresa, poi, senza enfasi ma con voce ferma ha elencato i suoi amici, le sue amiche e… il pubblico che li conosceva tutti ha applaudito calorosamente. Il maestro ha ringraziato con un profondo inchino e dalla magia del ricordo siamo passati alla magia della musica.

Ancora una marcia: “La luna sul lago” e i nostri musicanti sono stati bravissimi, hanno fatto agitare tutti sulle poltrone e poi ancora musica, musica. Per tutta la serata pochi sono riusciti a non tenere fermi i piedi per battere il tempo, nei momenti clou un forte fremito percorreva il corpo: la cassa toracica vibrava e il formicolio della pelle dalle braccia passava alla punta delle dita, dove non trovando uscita ritornava al corpo elettrizzandolo.

Al termine lunghi applausi e urla. Non è facile raccontare la musica, non è facile descrivere le emozioni che ne scaturiscono.La musica come tutte le altre forme artistiche o opere d’ingegno ha semplicemente bisogno di attenzione, ha semplicemente desiderio di accoglienza, quello che ci succede quando osserviamo un quadro, una scultura, quando ascoltiamo musica o leggiamo una poesia o un romanzo sono sensazioni personali che ci fanno bene, ci arricchiscono, ci portano un passo più in là, dove ci si sente meglio, dove anche l’euforia convive con la pace , dove la semplicità la fa da padrona e non ha bisogno di imbrogli per piacere e farti piacere.

Ma torniamo alla serata che prevede le premiazioni. Di nuovo il sindaco, di nuovo le autorità e fiori e targhe sono stati consegnati a chi di dovere. E per concludere: gran finale con tutte e tre le bande sul palco (non proprio tutti, perché non ci stavano!) che hanno eseguito la marcia dal titolo: Monviso, con grande godimento di tutti noi spettatori.

Sicuramente non previsto dalla scaletta la partenza spontanea delle note: Tanti auguri a te, tanti auguri per te, i musicanti hanno recuperato al volo i loro strumenti e in un disordine che è andato ricomponendosi mano mano, si sono divertiti, e dai loro sorrisi si capiva il piacere della musica insieme, si capiva la giocosità improvvisata. Spontaneità che avevo notato anche quando il direttore Domenico Campagnani della banda di Germignaga si è tolto la giacca ed è entrato nel gruppo della banda di Varese per suonare la tromba. Che bella cosa la spontaneità, che bella cosa l’affiatamento. Ma ha giustamente ricordato il Sindaco Fabio Passera che per raggiungere gli obbiettivi ci vuole anche impegno e sacrificio, e la Scuola Musicale di Maccagno ne è un esempio.

Invece, Alexander McCall Smith, è un maschio nato nello Zimbabwe, è professore di medicina legale all’Università di Edimburgo; scrive opere specialistiche ed è vicepresidente della commissione inglese per la genetica. Queste ed altre informazioni si leggono sulla quarta di copertina dei suoi romanzi, si perché Alexander McCall Smith, non pubblica solo opere impegnative ma anche piacevolissimi romanzi.

Ho letto per primo:”Il tè è sempre una soluzione” poi “Un peana per le zebre“, quando Raffaella me li ha prestati mi ha detto:”Vedrai sono carini”.

In seguito ho acquistato in libreria , sempre dello stesso autore: “Morale e belle ragazze” e “Le lacrime della giraffa” che ho finito di leggere ieri sera. Insomma ne ho fatta una scorpacciata! e non averli letti nella giusta sequenza non ha affatto inciso sul piacere della lettura.

Nei romanzi di Alexander McCall Smith si respira l’Africa, si ascolta l’Africa, si osserva con lui il sorgere del sole, quando scrive:”Il sole, una grande palla rossa, per un attimo restò appesa alla linea dell’orizzonte poi si liberò e si gonfiò veleggiando su tutta l’Africa…Ci parla della politica del Botswana, e chi mai ce ne aveva parlato prima? Racconta della sua capitale: Gaborone, di altri paesi dai nomi per noi sconosciuti: Molepolole, Lobatse, Mochudi con tutti i personaggi che li animano e in più: le loro amiche, sorelle, zii, cugini di primo di secondo e di terzo grado, anche loro con nomi dal suono stranissimo per noi, ma… la loro natura non è differente dalla nostra, lo sa bene Alexander McCall Smith quando fa esprimere questo concetto alla signora Precious Romotswe, fondatrice della Ladies’ DetectivAgency N: 1, protagonista dei romanzi, altri personaggi le girano attorno fedeli: la sua segretaria che diventerà… Il fidanzato o… marito? con i due lavativi apprendisti meccanici, la direttrice dell’orfanotrofio con i suoi bambini e con gli innumerevoli problemi da risolvere che le tempreranno il carattere. Tutti bevono in continuazione il tè rosso in grandi quantità, è servito e sorseggiato nelle circostanze più disparate: per rilassarsi, chiacchierare e pensare, con grande sollievo di tutti. Non sono da meno gli altri personaggi che nei vari romanzi si affacciano sulla porta dell’agenzia investigativa per chiedere aiuto, a loro il tè viene offerto per metterli a loro agio, come richiede la buona educazione del Botswana. Educazione, morale, tradizioni e consuetudini sono sempre presenti, come il tè!

Le indagini richiedono spostamenti che la rispettabilissima signora Ramotswe effettua col mitico furgoncino bianco tenuto in ordine dal suo compagno meccanico che è una persona speciale, come speciali sono gli animali e la vegetazione che la circondano, anche in città. Si legge: “Sola nella sua casa di Zebra Drive, la signora Ramotswe si svegliò, come spesso le capitava, nel cuore della notte, quando la città tace, perfettamente silenziosa; il momento di massimo rischio per i topi e altre minuscole creature, quello in cui i cobra e i mamba vanno a caccia senza far rumore.” Oppure “C’erano aiuole rigogliose di gigli tropicali, grovigli di bouganville e, folti praticelli di erba kikuyu…” L’ombra è garantita da grandi baobab o macchie di acacie spinose. Ci sono formicai che… e cani cacciatori di serpenti. E in tutte le pagine… l’aria africana è penetrata con la sua finissima sabbia proveniente dal deserto del kalahari.

Lo scorrere delle indagini è parallelo allo scorrere della frescura del mattino, all’incombere della tremenda calura. E tremende sono anche le realtà della povertà, delle malattie e delle sofferenze che in queste pagine ci arrivano intrecciate a personaggi che noi stiamo immaginando grazie alla scrittura e paradossalmente ci sembrano più vere di quelle riportate delle cronache, con statistiche e numeri concreti.

Per abitudine, per quanto riguarda i libri che non conosco, non leggo mai prima del romanzo chi è l’autore e tanto meno le recensioni o critiche per non esserne influenzata.
Per risolvere i casi che le si presentano la signora Precious Ramotswe è stata dotata dal suo autore di : sensibilità, attenzione, capacità di deduzione e un pizzico di ingenuità. E’ conoscitrice del mondo femminile e maschile, tanto da farmi credere che l’autore del romanzo che stavo leggendo fosse femmina. Naturalmente ci sono molte altre raffinatezze in questi romanzi di Alexander McCall Smith, che si direbbero all’acqua di rosa, invece secondo me… Ma lascio a voi il piacere di scoprirlo.

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Scrivendo il racconto: “La voce nel tempo”, mi è venuto naturale far vestire i panni della maestra alla Signora Majellaro Pia. Donna dolcissima che negli anni cinquanta, fino al termine delle elementari ha insegnato, seguito e amato le bambine della 2° A. Pensando a lei, avevo scritto pagine su pagine, e quando le ho rilette ho pensato a quello che ci spiegava: “Mentre scrivete non dilungatevi troppo, ma non scrivetemi nemmeno l’elenco della spesa, rileggete spesso il titolo del tema e… per piacere sforzatevi di trovare dei verbi che non siano solo: dire e fare. A cinquant’anni di distanza, evidentemente suggestionata da quello che stavo rileggendo, i suoi suggerimenti mi hanno costretta a ridimensionare quello che avevo già scritto su di lei. Il soggetto del tema era: “la bambina che sentiva una voce” e la sua maestra non poteva occupare così tante pagine. Presentando il mio primo libro: “La quinta barca è Magica” Una signora del pubblico mi ha chiesto quale fosse stata la cosa più difficile nello scrivere il libro. Il silenzio che è seguito credo abbia imbarazzato un po’ tutti. La mia risposta sarebbe sembrava strana? ma era proprio così: la cosa più difficile nello scrivere il libro era stata cancellare, cancellare frasi, periodi e pagine intere. Per il libro “Strettamente personale” non è stato diverso, così delle diverse pagine che parlavano della maestra, dopo un lungo lavoro ne è rimasto un cammeo che spero le renda giustizia. E se così non fosse vorrei aggiungere qui di seguito un breve ricordo. La 2° A , da quando è arrivata lei non è più stata la stessa. Non so se allora, noi bambine ne fossimo consapevoli, quello di cui eravamo certe era che la nostra nuova maestra fosse speciale.Ventotto bambine che per lo più abitavano in cascine e parlavano il dialetto milanese oppure erano immigrate del veneto o del meridione ma tutte in chiesa rispondevano in latino al sacerdote che celebrava la S. Messa. Non sapevano far di conto ma già recitavano le tabelline a memoria. Negli anni cinquanta una scolaresca di bambine era a digiuno di quasi tutti i saperi e lei, la nostra maestra ha cominciato dalla pulizia delle nostre mani, unghie comprese: tutte le mattine controllava che fossero ben pulite. Questa era stata la prima lezione e come tutte le altre che seguirono furono di una leggerezza incredibile. Mai che avesse alzato il tono della voce e tanto meno le mani su di noi (come usava allora). Mai che ci castigasse. Mai che ci facesse vivere i nostri errori con angoscia, anzi, formava dei gruppi di lavoro (diceva lei), così c’era il gruppo di chi sbagliava le doppie, di chi ancora non aveva capito come funzionasse la gn di gnomo e la ghi e la ghe. Il gruppo che si esercitava con le maiuscole e quello molto numeroso che aveva grosse difficoltà a capire quando la a fosse o non fosse voce del verbo avere. L’ h era un rebus per molte di noi e lei… è genialmente partita da quello che sapevamo: il dialetto, trasformando il: “Ta ghè fam?” in “Tu hai fame? Tutte le volte che in dialetto incontravamo una ” ghè” corrispondeva alla voce del verbo avere. Partendo dal nostro dialetto ci ha portate all’italiano. E’ stato lo stesso per la matematica, non so se allora esistessero gli insiemi ma lei… con giochi, e disegni ha trasformato l’astrazione della matematica in un fatto concreto e palpabile. Aveva lottato per noi, con la direzione, per permetterci di scrivere con la penna a sfera nera anziché usare quel pennino che macchiava tutti i quaderni e ci era riuscita. Aveva lottato contro i pidocchi tenendoci costantemente sotto controllo. Aveva voluto andare a casa di tutte noi per conoscere personalmente i nostri genitori e l’ambiente dove vivevamo. Ha fatto di tutto, persino cambiato disposizione dei banchi che anziché presentarsi a file di due occupavano tutta l’aula con dei semicerchi. Sulla cattedra una panciuta caraffa di peltro sfoggiava giornalmente fiori di campo che noi bambine raccoglievamo per lei. In quell’aula così accogliente, così a misura di bambine le sue lezioni erano una continua scoperta, tutto appariva fantastico, persino quegli schifosi bruchi che sistemati su di un banco tenuto isolato mangiavano le foglie di gelso diventavano interessanti perché poi avrebbero prodotti il filo di seta! Ci ha insegnato a ripiegare la carta in modo da ottenere un bicchiere perfettamente a tenuta perché spiegava: “Ognuna di voi deve bere dal proprio bicchiere. L’igiene, lo avevamo capito subito era un suo punto fermo e forse ne avevamo bisogno! Nei successivi anni passati con lei abbiamo festeggiato nel 1961 i cento anni dell’unità d’Italia, esplorato il cinquecento, piantato alberi nel cortile della scuola, marciato in palestra per sopperire al riscaldamento che non funzionava. Ricordi, tanti ricordi che ancora oggi mi sorprendono magari in bagno, quando il tappo del dentifricio mi sfugge di mano e… risento il suo consiglio: ” Non correte dietro al tappo cercando di prenderlo prima che finisca nel buco del lavandino, ma piuttosto tappate subito il buco con la mano. Oppure prendendo in mano un libro, quella frase:”Leggete bambine, leggete, sarà la vostra salvezza”. Come aveva ragione. Con i libri ho viaggiato, ho sognato, ho pianto, gioito… una fonte inesauribile! La nostra maestra… penso che un po’ tutte noi ne fossimo innamorate era: bella, brava, e ci voleva bene. Tutte noi bambine la vedevamo così. Oggi ho cinquantotto anni e lei per me non è mai cambiata. Grazie Signora Majellaro Pia, le voglio bene.

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Per quelli che: “Un altro libro?”.

Per quelli che: “Che brava!”.

Per quelli che: “Ma tu scrivi così come ti viene?”.

Per quelli che: “Finalmente qualcosa di bello da leggere”.

Per quelli che: ” Ma dovevi scrivere di più sul lago Maggiore!”.

Per quelli che: ” Ma ti ha aiutata tuo marito?”.

Per quelli che: “Strettamente personale? Ma… sono favole per bambini?“.

Per quelli che: “Lo compro subito”.

Per quelli che: ” Non hanno il computer”.

Per quelli che: ” Ci han provato ma… non ci son riusciti”.

Per quelli che: ” Non hanno la carta di credito”.

Per quelli che: ” Hanno paura di usare la carta di credito”.

Per quelli che: ” Si sono iscritti e poi… faranno l’ordine”.

Per quelli che: ” Ne voglio comperare otto”.

Per quelli che: “Aspettano una presentazione”.

Per quelli che: “Aspettano e basta”.

Per quelli che: “Dicono di non saperlo”

Per quelli che: “Lo sanno e mi parlano d’altro”.

Per quelli che: “Silenzio e basta”.

Per quelli che: “Stanno già leggiucchiando!”. (Cosa?)

Per quelli che: “Complimenti lo leggeremo”.

Per quelli che: “Poi ti commento il libro”.

Per quelli che: “Vorrei… ma non posso”.

Per tutti costoro, il libro “Strettamente personale” e “La quinta barca è Magica” , saranno disponibili nel sistema bibliotecario del nord-ovest e nella Biblioteca Sormani di Milano.

Buona lettura a tutti.

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E’ una lunga lettera che mi ha spedito mio cugino.

Cara Lella,

ho letto il tuo libro.

Delle persone abitualmente si dice talora (a torto o a ragione, poco importa) “poche, ma buone!”. La stessa cosa devo dire, ma solo a ragione, delle tue pagine:poche, ma buone!”, anzi, ottime.

Salve le debite eccezioni, guardo sempre con qualche prevenzione i libri molto voluminosi. Talvolta accade che gli autori dedichino eccessivo spazio a situazioni descrittive di stati d’animo e finiscono con il creare spesso una gabbia intorno al lettore, il quale viene così preso per mano e non può che prendere atto di ciò che vuole dire lo scrittore, lasciando scarsi margini all’attività introspettiva di chi legge. Tale tecnica va assolutamente bene per la descrizione di paesaggi e oggetti o per definire ad es. l’espressività del viso dei personaggi, ma, secondo il mio modo di veder le cose, diventa una fastidiosa pastoia quando la prolissità investe il pensiero e le sensazioni.

Questa premessa mi è parsa doverosa perché un libro che ha per titolo “Strettamente Personale” non può che trattare argomenti….. strettamente personali. E’ un argomento non solo delicato, ma anche alquanto complicato, perché se le tematiche dell’autore fossero eccessivamente definite e circoscritte finirebbero con l’assolvere ad una funzione pressoché notarile della sua volontà, con il risultato che il lettore potrebbe rimanere imprigionato in uno schema interpretativo non suo, giacché lo scritto risulterebbe privato della irrinunciabile qualità di suscitare o trasmettere le particolari emozioni che l’autore aveva prima provato e poi trascritto. L’opera, come tu stessa hai ottimamente intuito, deve invece avere anche la capacità di coinvolgere ed investire la sensibilità creativa del lettore; accompagnare il lettore in un viaggio parallelo fatto di emozioni; gettare un ponte di comunicabilità. E qui casca l’asino, amava dire un mio omonimo (nel senso di Mascìa, con l’accento sulla “i”) amico sardo. Qui viene fuori la qualità dello scrittore: gli bastano a volte poche e semplici frasi per accendere o quanto meno stimolare la presenza partecipativa del lettore, ma per giungere a questo risultato occorre una grande capacità di cercare, selezionare e calibrare quelle parole “chiavi”, proprio quelle parole magiche (e non altre) che sono necessarie per stabilire una sorta di simbiosi con la sensibilità del lettore. Questi deve essere munito di idonea chiave di lettura che gli consenta non solo di accedere al pensiero dell’autore, ma anche di scrutare in un altro intimo orizzonte di emozioni.

Sei stata brava nella ricerca dell’indispensabile equilibrio narrativo necessario, facendo leva su quelle frasi chiave sapientemente distribuite qua e là.

Ha ragione il prefatore Filippi: il preambolo (complimenti per la magnifica idea!) è una preziosa cornice e proprio in essi ho trovato spesso il guizzo, il bandolo di una nuova matassa da dipanare nei misteri di segreti e spesso inesplorati pensieri.

Non mi pare il caso di dilungarmi troppo, ma tengo a svelarti che sono stato vivamente colpito da alcuni tuoi pensieri.

Ad es. a pag. 17 scrivi: “Il peggio è stato voler credere che così non fosse. Comincia tutto come una molla………….pensiero dopo pensiero”. Credo che già questo breve paragrafo racchiuda il tema non di una passeggiata letteraria, ma una faticosa ed impegnativa scalata dell’inconscio.

Vivere al rallentatore” dici a pag. 37. Lo trovo un perentorio invito all’intera umanità a vivere al rallentatore, un invito a guardare le cose rivolto a chi invece si limita solo a vederle. Peccato che sia, come anche tu scrivi, un’utopia.

Pag. 58. “La sfortuna di una sofferenza può risultare vincente per chi sa cogliere una scintilla nel buio”. Penso alla grandiosa e vincente fragilità di uomini (Gesù con la Sua cosciente immolazione, Gandhi con la sua non violenza e con la marcia del sale) che con la loro sofferenza e il loro esempio hanno cambiato il corso della vita di miliardi di persone.

Pag. 102. “Quando si prega è bene sapere quello che si dice.” Pare un’affermazione lapalissiana, ma è una domanda tragicamente sempre attuale in tutti i campi: quanti sono capaci di farlo? Se effettivamente sapessimo con esattezza cosa facciamo, prevedendone le conseguenze, forse vivremmo in un mondo migliore. E, perbacco, sei riuscita anche a mettere il dito nella piaga, condannando l’inadeguatezza della scuola, che oggi ci consegna giovani ignoranti, vittime del pregiudizio di insegnanti e genitori.

Io mi fermo qui, ma tu non ti fermare, vai avanti perché sono sicuro che se scavi bene in te stessa certamente troverai cose importanti da scrivere.

Un abbraccio Mario e Enza.


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Domenica 3 febbraio ho sfogliato con foga le pagine del IL GIORNO, cercavo un articolo che avrebbe parlato di me, l’ho trovato nella pagina Metropoli: Trovalavoro, curata dalla giornalista Monica Guerci. Avevo risposto alle sue domande ed ora leggevo sul giornale le mie risposte. Un articolo preciso e ben scritto, che ho riletto due volte di seguito, come se non conoscessi già quella storia!!

SI dice nel film: L’avvocato del diavolo “La vanità è il peccato preferito dal diavolo”.

Infatti, scherzando con gli amici ho fatto notare che la mia foto fosse più grande di quella di Sarkòzy in prima pagina! poi, passata l’euforia, mi sono detta che un bell’articolo così oltre ad ingrossare la mia vanità sarebbe servito a far conoscere i miei libri: “Strettamente personale” e “La quinta barca è Magica”. Questo sì, è il massimo del piacere!

Perciò grazie infinite alla giornalista Monica Guerci e a tutti coloro che incuriositi avranno voglia di navigare sul sito www.lulu.com

Articolo su Il Giorno

Verrebbe da dire, meno male che ci sono le scadenze: l’inizio della settimana, il primo del mese, la fine delle ferie, il primo dell’anno. C’è sempre qualcosa che vorremmo cominciare, e le scadenze, a quanto pare, ci sono alleate nel rimandare i nostri propositi!

Vorremmo riuscire ad andare in piscina, ci piacerebbe partecipare a quei corsi in biblioteca, vorremmo anche dimagrire o ingrassare. Eppure non ci riusciamo.
C’è un trucco che ci ha insegnato la psicologa del centro dove sono stata volontaria per qualche anno (non è un trucco per riuscirci!) ma per lo meno ci mette di fronte a quanto veramente vogliamo. Si prende carta e penna e si scrive cosa facciamo per riuscirci, ripeto: cosa facciamo, azione dopo azione, una riga sotto l’altra. Se le azioni sono pochine vuol dire che non facciamo molto per riuscirci. Per me, all’epoca è stata una rivelazione. Sono stata costretta a pensare a queste azioni mancanti e anche a quelle congestionate. In seguito leggendo Osho Rajneesh ancora: azioni e attività. Secondo lui: l’azione è fare quello che la situazione richiede, è una risposta. L’attività invece è frutto dell’irrequietezza interna e la situazione è solo un pretesto. Sempre Osho (se non ho capito male) parla della difficoltà di vivere, ma nel contempo ci spiega che questo è il succo del vivere. Insomma fare è difficile! cominciare, per me, ancora di più.

La tentazione di rifugiarsi in quello che già sappiamo è forte, la sicurezza che ci da muoverci in un territorio che conosciamo è assoluta. Il frequentare le solite persone ci mette al sicuro da critiche. La tentazione di infilare la mano nella borsetta ed avere la certezza che lì dentro troverai tutto quello che ti serve perché è già ben organizzato, è rassicurante. Per assurdo anche mangiare sempre le stesse cose ci preserva da cattive sorprese, però… però rinunci al succo della vita.
Peccato averci messo tanto a capirlo!

Un giorno, leggendo le ultime tre parole del libro: Il bambino di Noè di Eric-Emmanuel Schmitt, mi trovo lì spiattellati quei concetti che io avevo impiegato una vita per capire, ma… erano così chiari perché li avevo già elaborati oppure chiunque leggendo quel libro sarebbe arrivato alle mie stesse conclusioni?

La tentazione è stata forte, ho regalato il libro a mia nipote, nella speranza che lei, giovane e forte! possa arrivare prima di me ad un traguardo che la metterà in condizione di cominciare, cominciare… sempre.

 

 

 

 

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Il Natale è passato e per casa girano ancora gli avanzi. I contenitori sono ormai ridotti e ricoperti di pellicola trasparente, le decorazioni di gamberetti sono impiastricciati di maionese, i ravioli che già erano buoni, oggi sembrano ancora meglio e scaldandoli il profumo della noce moscata aleggia in cucina, l’arrosto lo immagino un po’ secco, invece il microonde fa miracoli. Apparecchiando aggiungo in tavola un vassoietto con torroncini e due fette di panettone, non vorremmo farci mancare nulla! Tutte le leccornie del Natale sono presenti in tavola in una versione ridotta e dimessa. Sulla qualità invece niente da dire, ognuno di noi ha dato il massimo.

E mangiando gli avanzi di Natale ripenso a cosa hanno portato le giovani coppie per tutti noi, il meglio della loro produzione: i bambini, buoni che ti veniva voglia di mangiarli, anche quando strillavano, anche quando erano seduti nel loro tavolino basso e mangiavano di gusto i ravioli, anche quando si portavano via di mano i nuovi giocattoli. Una vera gioia le loro vocine, una vera gioia la loro spontaneità il loro ridere e piangere, il loro lanciarsi o saltare dal divano al tappeto, la loro energia, la vita, la speranza.

Mangiando gli avanzi di Natale il ricordo dei bambini è stato come una magia che ancora ti rallegrava.

Sono golosa, lo so, e quando davanti a me si presenta un nuovo autore mi piace assaggiarlo subito e se mi piace… non mollo l’osso fino a che non l’ho spolpato tutto, cercando di leggere tutti i suoi libri: é stato così per Pennac, per Ignazio Silone, per Piero Chiara, Paola Mastrocola, Maria Bellonci e molti altri.
Non è stato così per Yosè Saramago. Il romanzo L’uomo duplicato è stato la mia prima volta. Storia intrigante, dall’apparenza assurda che indaga su due persone perfettamente identiche.

Ho dovuto leggere Cecità, sempre di Saramago per sentire la necessità di rileggere L’uomo duplicato, e la seconda volta che leggi un libro non ti sembra più nemmeno lo stesso perché nel frattempo hai vissuto, hai preso atto di nuove situazioni.

E quei due uomini ti fanno pensare a quante volte ci capita di voler essere un’altra persona, a quante volte sentiamo il desiderio di comportarci diversamente, a quanti siamo e chi siamo veramente?

Cecità è un romanzo dalla scrittura discorsiva e libera, con un ritmo incalzante che ti fa venir voglia di vedere dove andrà a parare. E’ una storia assurda e terribilmente angosciante. La cecità collettiva è una metafora del non volere vedere, è l’assenza della ragione. Quelle atrocità raccontate che sono un’invenzione ma…purtroppo accadono davvero, per cui sei costretta a prenderne coscienza per confrontarti con la falsità e il degrado degli esseri umani.

Adesso ho capito perché non mi sono buttata a pesce sui libri di Saramago, loro ti impegnano anche dopo che li hai letti, ti inseguono nel quotidiano. Ma se un Nobel portoghese ti insegue, forse vale la pena di farsi acchiappare.

Guardare e non vedere, ascoltare e non sentire è una tematica della quale anch’io ho sentito la necessità di parlarne nel racconto: Le due lettere, inserito nel libro Strettamente personale.

Sono certa che non sono stata la prima e non sarò nemmeno l’ultima!

Veramente inaspettate: due recensioni in due giorni.

Elena, sul suo blog mi ha stupito oltre che per la sua velocità di lettura anche per la precisione con cui ha centrato il succo dei due libri, parlando di sogno per La quinta barca è Magica e di racconti che fanno pensare per Srettamente personale.

Brava e grazie