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Per quelli che: “Un altro libro?”.

Per quelli che: “Che brava!”.

Per quelli che: “Ma tu scrivi così come ti viene?”.

Per quelli che: “Finalmente qualcosa di bello da leggere”.

Per quelli che: ” Ma dovevi scrivere di più sul lago Maggiore!”.

Per quelli che: ” Ma ti ha aiutata tuo marito?”.

Per quelli che: “Strettamente personale? Ma… sono favole per bambini?“.

Per quelli che: “Lo compro subito”.

Per quelli che: ” Non hanno il computer”.

Per quelli che: ” Ci han provato ma… non ci son riusciti”.

Per quelli che: ” Non hanno la carta di credito”.

Per quelli che: ” Hanno paura di usare la carta di credito”.

Per quelli che: ” Si sono iscritti e poi… faranno l’ordine”.

Per quelli che: ” Ne voglio comperare otto”.

Per quelli che: “Aspettano una presentazione”.

Per quelli che: “Aspettano e basta”.

Per quelli che: “Dicono di non saperlo”

Per quelli che: “Lo sanno e mi parlano d’altro”.

Per quelli che: “Silenzio e basta”.

Per quelli che: “Stanno già leggiucchiando!”. (Cosa?)

Per quelli che: “Complimenti lo leggeremo”.

Per quelli che: “Poi ti commento il libro”.

Per quelli che: “Vorrei… ma non posso”.

Per tutti costoro, il libro “Strettamente personale” e “La quinta barca è Magica” , saranno disponibili nel sistema bibliotecario del nord-ovest e nella Biblioteca Sormani di Milano.

Buona lettura a tutti.

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E’ una lunga lettera che mi ha spedito mio cugino.

Cara Lella,

ho letto il tuo libro.

Delle persone abitualmente si dice talora (a torto o a ragione, poco importa) “poche, ma buone!”. La stessa cosa devo dire, ma solo a ragione, delle tue pagine:poche, ma buone!”, anzi, ottime.

Salve le debite eccezioni, guardo sempre con qualche prevenzione i libri molto voluminosi. Talvolta accade che gli autori dedichino eccessivo spazio a situazioni descrittive di stati d’animo e finiscono con il creare spesso una gabbia intorno al lettore, il quale viene così preso per mano e non può che prendere atto di ciò che vuole dire lo scrittore, lasciando scarsi margini all’attività introspettiva di chi legge. Tale tecnica va assolutamente bene per la descrizione di paesaggi e oggetti o per definire ad es. l’espressività del viso dei personaggi, ma, secondo il mio modo di veder le cose, diventa una fastidiosa pastoia quando la prolissità investe il pensiero e le sensazioni.

Questa premessa mi è parsa doverosa perché un libro che ha per titolo “Strettamente Personale” non può che trattare argomenti….. strettamente personali. E’ un argomento non solo delicato, ma anche alquanto complicato, perché se le tematiche dell’autore fossero eccessivamente definite e circoscritte finirebbero con l’assolvere ad una funzione pressoché notarile della sua volontà, con il risultato che il lettore potrebbe rimanere imprigionato in uno schema interpretativo non suo, giacché lo scritto risulterebbe privato della irrinunciabile qualità di suscitare o trasmettere le particolari emozioni che l’autore aveva prima provato e poi trascritto. L’opera, come tu stessa hai ottimamente intuito, deve invece avere anche la capacità di coinvolgere ed investire la sensibilità creativa del lettore; accompagnare il lettore in un viaggio parallelo fatto di emozioni; gettare un ponte di comunicabilità. E qui casca l’asino, amava dire un mio omonimo (nel senso di Mascìa, con l’accento sulla “i”) amico sardo. Qui viene fuori la qualità dello scrittore: gli bastano a volte poche e semplici frasi per accendere o quanto meno stimolare la presenza partecipativa del lettore, ma per giungere a questo risultato occorre una grande capacità di cercare, selezionare e calibrare quelle parole “chiavi”, proprio quelle parole magiche (e non altre) che sono necessarie per stabilire una sorta di simbiosi con la sensibilità del lettore. Questi deve essere munito di idonea chiave di lettura che gli consenta non solo di accedere al pensiero dell’autore, ma anche di scrutare in un altro intimo orizzonte di emozioni.

Sei stata brava nella ricerca dell’indispensabile equilibrio narrativo necessario, facendo leva su quelle frasi chiave sapientemente distribuite qua e là.

Ha ragione il prefatore Filippi: il preambolo (complimenti per la magnifica idea!) è una preziosa cornice e proprio in essi ho trovato spesso il guizzo, il bandolo di una nuova matassa da dipanare nei misteri di segreti e spesso inesplorati pensieri.

Non mi pare il caso di dilungarmi troppo, ma tengo a svelarti che sono stato vivamente colpito da alcuni tuoi pensieri.

Ad es. a pag. 17 scrivi: “Il peggio è stato voler credere che così non fosse. Comincia tutto come una molla………….pensiero dopo pensiero”. Credo che già questo breve paragrafo racchiuda il tema non di una passeggiata letteraria, ma una faticosa ed impegnativa scalata dell’inconscio.

Vivere al rallentatore” dici a pag. 37. Lo trovo un perentorio invito all’intera umanità a vivere al rallentatore, un invito a guardare le cose rivolto a chi invece si limita solo a vederle. Peccato che sia, come anche tu scrivi, un’utopia.

Pag. 58. “La sfortuna di una sofferenza può risultare vincente per chi sa cogliere una scintilla nel buio”. Penso alla grandiosa e vincente fragilità di uomini (Gesù con la Sua cosciente immolazione, Gandhi con la sua non violenza e con la marcia del sale) che con la loro sofferenza e il loro esempio hanno cambiato il corso della vita di miliardi di persone.

Pag. 102. “Quando si prega è bene sapere quello che si dice.” Pare un’affermazione lapalissiana, ma è una domanda tragicamente sempre attuale in tutti i campi: quanti sono capaci di farlo? Se effettivamente sapessimo con esattezza cosa facciamo, prevedendone le conseguenze, forse vivremmo in un mondo migliore. E, perbacco, sei riuscita anche a mettere il dito nella piaga, condannando l’inadeguatezza della scuola, che oggi ci consegna giovani ignoranti, vittime del pregiudizio di insegnanti e genitori.

Io mi fermo qui, ma tu non ti fermare, vai avanti perché sono sicuro che se scavi bene in te stessa certamente troverai cose importanti da scrivere.

Un abbraccio Mario e Enza.


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Domenica 3 febbraio ho sfogliato con foga le pagine del IL GIORNO, cercavo un articolo che avrebbe parlato di me, l’ho trovato nella pagina Metropoli: Trovalavoro, curata dalla giornalista Monica Guerci. Avevo risposto alle sue domande ed ora leggevo sul giornale le mie risposte. Un articolo preciso e ben scritto, che ho riletto due volte di seguito, come se non conoscessi già quella storia!!

SI dice nel film: L’avvocato del diavolo “La vanità è il peccato preferito dal diavolo”.

Infatti, scherzando con gli amici ho fatto notare che la mia foto fosse più grande di quella di Sarkòzy in prima pagina! poi, passata l’euforia, mi sono detta che un bell’articolo così oltre ad ingrossare la mia vanità sarebbe servito a far conoscere i miei libri: “Strettamente personale” e “La quinta barca è Magica”. Questo sì, è il massimo del piacere!

Perciò grazie infinite alla giornalista Monica Guerci e a tutti coloro che incuriositi avranno voglia di navigare sul sito www.lulu.com

Articolo su Il Giorno

Verrebbe da dire, meno male che ci sono le scadenze: l’inizio della settimana, il primo del mese, la fine delle ferie, il primo dell’anno. C’è sempre qualcosa che vorremmo cominciare, e le scadenze, a quanto pare, ci sono alleate nel rimandare i nostri propositi!

Vorremmo riuscire ad andare in piscina, ci piacerebbe partecipare a quei corsi in biblioteca, vorremmo anche dimagrire o ingrassare. Eppure non ci riusciamo.
C’è un trucco che ci ha insegnato la psicologa del centro dove sono stata volontaria per qualche anno (non è un trucco per riuscirci!) ma per lo meno ci mette di fronte a quanto veramente vogliamo. Si prende carta e penna e si scrive cosa facciamo per riuscirci, ripeto: cosa facciamo, azione dopo azione, una riga sotto l’altra. Se le azioni sono pochine vuol dire che non facciamo molto per riuscirci. Per me, all’epoca è stata una rivelazione. Sono stata costretta a pensare a queste azioni mancanti e anche a quelle congestionate. In seguito leggendo Osho Rajneesh ancora: azioni e attività. Secondo lui: l’azione è fare quello che la situazione richiede, è una risposta. L’attività invece è frutto dell’irrequietezza interna e la situazione è solo un pretesto. Sempre Osho (se non ho capito male) parla della difficoltà di vivere, ma nel contempo ci spiega che questo è il succo del vivere. Insomma fare è difficile! cominciare, per me, ancora di più.

La tentazione di rifugiarsi in quello che già sappiamo è forte, la sicurezza che ci da muoverci in un territorio che conosciamo è assoluta. Il frequentare le solite persone ci mette al sicuro da critiche. La tentazione di infilare la mano nella borsetta ed avere la certezza che lì dentro troverai tutto quello che ti serve perché è già ben organizzato, è rassicurante. Per assurdo anche mangiare sempre le stesse cose ci preserva da cattive sorprese, però… però rinunci al succo della vita.
Peccato averci messo tanto a capirlo!

Un giorno, leggendo le ultime tre parole del libro: Il bambino di Noè di Eric-Emmanuel Schmitt, mi trovo lì spiattellati quei concetti che io avevo impiegato una vita per capire, ma… erano così chiari perché li avevo già elaborati oppure chiunque leggendo quel libro sarebbe arrivato alle mie stesse conclusioni?

La tentazione è stata forte, ho regalato il libro a mia nipote, nella speranza che lei, giovane e forte! possa arrivare prima di me ad un traguardo che la metterà in condizione di cominciare, cominciare… sempre.

 

 

 

 

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Il Natale è passato e per casa girano ancora gli avanzi. I contenitori sono ormai ridotti e ricoperti di pellicola trasparente, le decorazioni di gamberetti sono impiastricciati di maionese, i ravioli che già erano buoni, oggi sembrano ancora meglio e scaldandoli il profumo della noce moscata aleggia in cucina, l’arrosto lo immagino un po’ secco, invece il microonde fa miracoli. Apparecchiando aggiungo in tavola un vassoietto con torroncini e due fette di panettone, non vorremmo farci mancare nulla! Tutte le leccornie del Natale sono presenti in tavola in una versione ridotta e dimessa. Sulla qualità invece niente da dire, ognuno di noi ha dato il massimo.

E mangiando gli avanzi di Natale ripenso a cosa hanno portato le giovani coppie per tutti noi, il meglio della loro produzione: i bambini, buoni che ti veniva voglia di mangiarli, anche quando strillavano, anche quando erano seduti nel loro tavolino basso e mangiavano di gusto i ravioli, anche quando si portavano via di mano i nuovi giocattoli. Una vera gioia le loro vocine, una vera gioia la loro spontaneità il loro ridere e piangere, il loro lanciarsi o saltare dal divano al tappeto, la loro energia, la vita, la speranza.

Mangiando gli avanzi di Natale il ricordo dei bambini è stato come una magia che ancora ti rallegrava.

Sono golosa, lo so, e quando davanti a me si presenta un nuovo autore mi piace assaggiarlo subito e se mi piace… non mollo l’osso fino a che non l’ho spolpato tutto, cercando di leggere tutti i suoi libri: é stato così per Pennac, per Ignazio Silone, per Piero Chiara, Paola Mastrocola, Maria Bellonci e molti altri.
Non è stato così per Yosè Saramago. Il romanzo L’uomo duplicato è stato la mia prima volta. Storia intrigante, dall’apparenza assurda che indaga su due persone perfettamente identiche.

Ho dovuto leggere Cecità, sempre di Saramago per sentire la necessità di rileggere L’uomo duplicato, e la seconda volta che leggi un libro non ti sembra più nemmeno lo stesso perché nel frattempo hai vissuto, hai preso atto di nuove situazioni.

E quei due uomini ti fanno pensare a quante volte ci capita di voler essere un’altra persona, a quante volte sentiamo il desiderio di comportarci diversamente, a quanti siamo e chi siamo veramente?

Cecità è un romanzo dalla scrittura discorsiva e libera, con un ritmo incalzante che ti fa venir voglia di vedere dove andrà a parare. E’ una storia assurda e terribilmente angosciante. La cecità collettiva è una metafora del non volere vedere, è l’assenza della ragione. Quelle atrocità raccontate che sono un’invenzione ma…purtroppo accadono davvero, per cui sei costretta a prenderne coscienza per confrontarti con la falsità e il degrado degli esseri umani.

Adesso ho capito perché non mi sono buttata a pesce sui libri di Saramago, loro ti impegnano anche dopo che li hai letti, ti inseguono nel quotidiano. Ma se un Nobel portoghese ti insegue, forse vale la pena di farsi acchiappare.

Guardare e non vedere, ascoltare e non sentire è una tematica della quale anch’io ho sentito la necessità di parlarne nel racconto: Le due lettere, inserito nel libro Strettamente personale.

Sono certa che non sono stata la prima e non sarò nemmeno l’ultima!

Veramente inaspettate: due recensioni in due giorni.

Elena, sul suo blog mi ha stupito oltre che per la sua velocità di lettura anche per la precisione con cui ha centrato il succo dei due libri, parlando di sogno per La quinta barca è Magica e di racconti che fanno pensare per Srettamente personale.

Brava e grazie


Il dubbio ti viene sempre. Sarà il caso di parlarne?

Così quelle confidenze verbali, le impressioni scaturite e tutti quei pensieri che nella tua mente si trasformano in immagini si addossano gli uni agli altri, in una stanza privata del cervello, dove sulla porta c’è scritto: materiale interessante ma… non utilizzabile.

Poi un giorno ti parlano di sfuiass: sfogliatura della pannocchia di granoturco che veniva eseguita a mano. E…dove finivano questi sfuiass? Ufficialmente servivano per le lettiere degli animali nelle stalle e per imbottire i materassi, ma gli sfuiass che interessavano me erano arrivati, dritti dritti, davanti alla stanza privata e come un detonatore hanno fatto saltare la porta, facendo uscire di tutto: la mucca Gigia che a momenti te la faceva addosso, e qualcun altro col cagotto che si era piazzato nella stalla per un pomeriggio intero, il vaso da notte della Ricard-Ginori e la mia amica che mi racconta dell’angoscia di quando era rimasta chiusa a chiave in un bagno lussuoso.

In tutto questo brulichio di immagini gli sfuiass pulivano il sedere! In altri tempi, naturalmente.

Perciò, se volevo scrivere di gabinetti e stalle dovevo parlare di tempi passati.

Nel racconto: Liberi tutti, inserito in Strettamente personale, i gabinetti, le turche, i vasi da notte e naturalmente anche gli sfuiass, escono allo scoperto e vi assicuro che non puzzano assolutamente!

Era successo così anche per “La quinta barca è Magica“, lo avevo scritto per me, perché volevo fissare nel tempo quell’esperienza, che nonostante la fatica, era risultata entusiasmante e ricca di nuovi incontri e situazioni che hanno contribuito a cementare il rapporto della nostra famiglia.

Solo dopo, (quando ho fatto correggere il testo al Prof. Filippi), mi è stato suggerito di cercare un editore. Ma questa è stata veramente un’altra avventura: dalla presentazione alla Fiera del libro di Torino, alla vendita del libro alla Biblioteche Sormani di Milano ecc…ecc… fino ad esaurimento della prima edizione.

Per “Strettamente personale” è stato lo stesso, alcuni racconti li avevo già scritti: una specie di sfida personale per tradurre in parole alcune emozioni forti scaturite da notizie di cronache o confidenze e osservazioni. Poi la richiesta esplicita di Lidiana: “Lella, mi scrivi un racconto che parli del compleanno di Aldo?”. “Ci provo”, le ho risposto. E dopo il compleanno di Aldo c’è stato quello di Alessandra. C’era il racconto sul Natale che avevo scritto per un concorso, poi quello della bimba che sentiva una voce….
Ogni racconto con il suo carattere ben definito: “Aldo’s day” in una cornice da scenografia teatrale. Quello della bimba “La voce nel tempo” caratterizzata dai sogni. E via di seguito…
Insomma alla fine, ho riunito questi racconti e su suggerimento di mio figlio Alberto, dopo un lungo lavoro di alchimia, (come spiegato nell’introduzione del libro), ho inserito in internet, questo secondo libro, perché credo che sarà bello anche per voi leggerlo come è stato bello per me scriverlo.