Vai al contenuto

Martedi 13 Giugno 2023 Foinikas
Ieri Enrico ha comprato una “sipura” un’orata, in italiano, l’ha comprata dal pescatore, sul molo dei pescherecci, qui nel porto di Foinikas. La cittadina offre anche un supermercato e una lunga passeggiata panoramica affacciata sul golfo, più che una passeggiata è una strada asfaltata che seguendo la collina, sale e svolta a sinistra su di un altro golfo. Dall’alto vediamo rocce a strapiombo e scogli semi sommersi da un mare cristallino. Riscendiamo e una super panetteria – pasticceria ci ipnotizza, resistiamo e proseguiamo verso il noleggio moto dove prenotiamo un 125 c.c. Domani andremo nella capitale delle Cicladi e vedremo cosa offre di bello quest’isola di Siros. La barca non la muoviamo, domani faremo i turisti di terra. E la sipura? La sipura era buonissima, il pozzetto di Felicità è sempre il miglior ristorante.

Mercoledi 14 Giugno 2023
Cambio di programma, non andiamo da nessuna parte, abbiamo disdetto il 125 c.c. e dopo aver fatto la spesa e un giro sul pontile dei pescatori, senza trovare nemmeno un pesce, torniamo in porto, sulla barca. La pompa di sentina fa i capricci ed Enrico passerà il resto della mattinata immerso nel vano motore per sistemarla, io invece più comodamente dalla cabina resterò a sua disposizione davanti al quadro comandi per accendere o spegnere la pompa di sentina. Non proprio un lavoro di concetto, ma sono stata utile. La pompa funziona, alle 13,30 finalmente mangiamo.

Kali òrexi.

 

Lunedì 12 Giugno 2023 verso l’isola di Siros
É solo allontanandosi dall’isola di Kea che si coglie a pieno la sua morfologia, confermandone la sua natura tondeggiante, così diversa dalle altre isole. Ed è sempre prendendo il largo che la prospettiva cambia facendoci scoprire la Cora, che dal porto non si vedeva. Il punto di vista cambia e vediamo ora quello che prima non c’era: lassù, incastonato fra le colline, un piccolo intarsio di casette bianche che si allargano morbide nel verde.

La navigazione è accompagnata oggi da un meltemi lieve che riusciamo a sfruttare con randa e fiocco, il mare invece è a tratti irrequieto e a noi sfavorevole, frangendo le sue onde sulla murata di sinistra. Il pranzo a bordo è frugale: una “spanacopita” focaccia con spinaci e feta e un ricco caffè immancabile. Quando, dopo 8 ore di navigazione siamo a poche miglia dall’isola di Siros le barche a vela che vedevamo prima in lontananza, dietro di noi, ora si avvicinano sfruttando le vele “Johnson”, in pratica vanno a motore per accaparrarsi per primi i posti liberi in porto. Il nostro ormeggio sarà vicino alle rocce ma sicuro, e dopo aver teso la catena per controllare che l’ancora abbia tenuto, dopo aver sistemato le cime di ormeggio, dopo aver spento finalmente il motore e coperto gli strumenti, pulito la barca, fatto la doccia e mangiato una mela, l’ormeggiatore fa spostare alcune barche affianco a noi e… di conseguenza dobbiamo rifare l’ormeggio. Evito la descrizione del nuovo ormeggio. La passeggiata a terra ci svela un porto ampio e variegato, con anche un pontile riservato ai pescatori, il golfo offre ormeggio all’ancora a molte barche e anche spiagge attrezzate ma non affollate, e soprattutto acqua limpida e cristallina. Ci sembra un buon posto per fermarci qualche giorno.

Kalispera.

 

Sabato 10 Giugno 2023
La meteo quest’anno è decisamente imprevedibile, persino il sito, il meteo.it ha difficoltà a stargli dietro, forse ci vorrebbe di nuovo il Colonnello Bernacca. Dal sole splendido di questa mattina siamo passati ad un cielo biancastro sporcato di nubi a pecorelle, il meltemi resta piacevolmente leggero e fresco. Lo stesso fresco che abbiamo trovato ieri sera, su alla Cora. Siamo arrivati verso le 19 e prima di addentrarci nella città vecchia, siamo rimasti stupiti dal panorama: un numero infinito di colline e collinette tondeggianti che si accavallano o lasciano tra di loro spazi per piccole vallette in parte coltivate ad ulivo. La pioggia, scesa abbondante anche qui ha lasciato una gamma infinita di verdi lussureggianti. All’orizzonte una striscia di mare azzurro e dietro di lui l’isola Eubea e la costa greca. Quando il sole calerà, strisce di rosso strieranno il cielo e sull’isola Eubea le lucine rosse delle pale eoliche la punteggeranno completamente. Un rosso naturale e un altro artificiale, emozionante il primo, inquietante il secondo.
La Cora è un gioiellino, tutto dipinto di fresco, tutto colorato da cuscini e mercanzie, tutto invitante e vacanziero, nelle strettissime vie le voci dei turisti si sovrappongono, si inseguono, si bloccano per osservare dai vari scorci un panorama sempre diverso a seconda da dove lo osservi. Sono voci francesi, italiane, tedesche, svedesi, spagnole, greche, sono voci stupite, rapite da questa piccola Cora traboccante di fascino e Storia. Seguendo le indicazioni, e uscendo dalla Cora camminiamo per un chilometro e mezzo su di una strada lastricata di grosse pietre, e l’ ultimo tratto per raggiungere il Leone è sterrato, dal cancelletto in poi si comincia a scendere a zig zag su dei grossi gradini, e se non ci sono gradini ci si deve arrangiare, insomma un vero attentato per i turisti. Finalmente lo vediamo il Leone e… ne valeva la pena: un pezzo unico di granito, scolpito nel 600 a.C. Il sorriso è enigmatico e lo definiscono La Gioconda della scultura greca antica. Mentre tutti lo fotografano, Lui rimane lì adagiato, immobile, come un vero attore, attorniato dai suoi fan.

Kalispera.

 

Venerdì 9 Giugno 2023 Isola di Kea
Korrisia è il nome della piccola località dove ieri abbiamo trovato un ormeggio sicuro nel porto comunale. Entrando nella baia, subito a destra dopo il molo per l’ormeggio dei traghetti, ci sono già ormeggiati prevalentemente dei catamarani enormi a due piani con equipaggi di varie nazionalità, dai cinque ai sei omaccioni per barca, il nostro motor sailer di 9 metri e 70 sembra un nanerottolo al loro confronto, insomma non c’ è pericolo di non riconoscerlo. Camminando nel paese, parallela alla via principale che fiancheggia il porto c’è una viuzza lastricata di pietre contornate di calce bianca con gradoni a salire, le case che si fronteggiano non sono particolarmente curate, ma c’è senza dubbio, sul fondo della via qualcuno o qualcuna con il pollice verde, i vasi stracolmi di fiori variopinti sono ovunque: sui gradini, all’ingresso di casa, inchiodati sui muri, affacciati sul balcone e ultimo, ma certamente il primo per grandezza, una enorme bouganville nella parte alta della viuzza, color violetto che si estende e si rimpicciolisce a grappoli con armonica eleganza, quasi una quinta di scena a racchiudere uno spettacolo naturale. Ci ritornerò per fotografarla con la luce giusta, ma è una di quelle immagini che non hanno bisogno di foto per essere ricordate. Continuiamo la salita verso la chiesa ortodossa, da lì il panorama è più ampio, abbraccia il porto, poi la spiaggia e sulla destra la collina con piccole casette, per concludere la panoramica tornando al mare aperto. C’è ancora una scaletta che sale e non si capisce dove debba finire. Lì in cima scopriamo un cimitero, non piccolo e quadrato, ma tre terrazzamenti lungo il costone della collinetta, proprio di fronte al mare per tutta la lunghezza. Può essere bello un cimitero? Si! A noi è parso bellissimo, di ampio respiro, un respiro eterno affacciato sul mare.
Più tardi, con una macchina a noleggio e con amici romani, ritrovati qui in porto, andremo a visitare la vecchia Cora ed altre curiosità di Korrisia.

Kalispera.

 

Giovedì 8 Giugno 2023 Isola di Kea
Ieri sera siamo andati a letto presto, stanchi e po’ indolenziti dagli “sbattoni” della navigazione poco agevole. L’acqua che sballonzola o sbatte proprio nei due serbatoi di acqua che sono sotto i letti ci hanno fatto da ninna nanna per un po’, e poi da sveglia notturna con accompagnamento di ticchettio di pioggia che quest’anno pare non abbandonarci mai. Sveglia naturale alle 7. Il sole splende, il vento è sempre presente ma salpiamo l’ancora senza problemi. La ventina di barche ormeggiate in baia sonnecchiano ancora quando prendiamo il largo seguendo sempre la rotta verso Est. Fuori c’è più mare che vento e oltre al motore, issiamo anche il fiocco. Poi… preferirei stendere un velo pietoso su queste 5 ore di navigazione con vento di prua e mare super agitato. Il porto dell’isola di Kea ci ha accolti che eravamo sfiniti. Più tardi scenderemo a terra per vedere l’isola, per il momento ci riposiamo.

Kalispera.

 

Mercoledì 7 Giugno 2023 Methana.
Dopo un mese di permanenza nel porto di Methana, a causa del mal tempo, freddo, vento e anche grandine, questa mattina finalmente abbiamo mollato gli ormeggi. Nel pomeriggio precedente avevamo organizzato tutto l’organizzabile e la sera, dopo cena, abbiamo salutato gli amici. Oggi alle 8 del mattino il porto è silenzioso ma appena la prua di Felicità si dirige verso l’uscita sentiamo suonare la tromba di una barca, e poi ancora una e un’altra, non c’è lo aspettavamo un ulteriore saluto da parte degli amici, siamo rimasti favorevolmente sorpresi e anche noi abbiamo risposto strombazzando allegramente. Poi un po’ di avanti e in dietro da poppa a prua per recuperare i parabordi, per raccogliere e fissare le cime di ormeggio, issare e cazzare il fiocco. Il sole splende, il vento non manca ma fa freddo, così comincio a mettermi i pantaloni lunghi, il foulard, il pile ecc…ecc… Enrico invece, solo il gilet, dice: “Per prudenza”, ma poi quando il sole sparirà indosserà anche lui i pantaloni lunghi. Il cielo è grigio, striature di nuvole bianche lo opacizzano, il mare che oramai è pieno di ochette è di un blu cupo quasi metallico. Le onde le abbiamo al traverso e si infrangono sullo scafo, balliamo un po’ ma la vela è piena e ci porta dritti a Est. Il mare che prima era mosso ora è oleoso, con onde lunghe che salgono e scendono. Continua a fare freschino e ci rivolgiamo alla cambusa per scaldarci anche con un ricco caffè che ci attende bollente nel thermos. Il vento aumenta, la sua direzione cambia, le raffiche arrivano a 25 nodi, non molto ma decisamente fastidiose. Basta vela. Anche il mare è tornato agitato, poco dopo ridossiamo in vista della baia di Capo Sugno, come previsto tutto cambia di nuovo: mare piatto e il vento, una volta buttatal’ ancora sotto il tempio di Poseidone, con 40 metri di catena, non è più un problema. Questa sera in barca spaghetti al pomodoro.

“Kali òrexi” buon appetito.

 

AIORA, casa editrice di nicchia greca, con sede ad Atene, ha oltre al pregio di selezionare nuovi scrittori, quello di tradurre i suoi autori anche in lingua italiana. È così che ho scoperto un libro interessante di Gheorghios Viziinos , uno degli autori più amati della narrativa greca moderna, intitolato: L’unico viaggio della sua vita e altre storie. In quarta di copertina si legge: Le sue storie sono notevoli per l’approfondimento psicologico dei personaggi, il fascino orientale, la grazia dell’eloquio. Io aggiungerei anche la tenerezza, ben miscelata nei tre racconti di questo libro. Scrive di se Viziinos, dell’umile vita nel piccolo centro della Tracia orientale e anche se è trascorso molto tempo da allora, la sua opera è sempre attuale, come può esserlo una poesia. Nel primo racconto: Il peccato di mia madre, si parla di colpa, di peccati e di morte, ma l’autore fa emergere la mancanza di tenerezza da parte della madre nei suoi confronti e molto altro. Nel secondo: Chi è stato l’assassino di mio fratello, ancora un morto, ancora due madri, sullo sfondo la guerra Russo Turca 1887-78, una storia intricata con molte problematiche e Viziinos si destreggia con la realtà del racconto ponendola però in dubbio , dando così a noi lettori l’opportunità di vederla sotto un’altra luce. Nel terzo racconto: L’unico viaggio della sua vita, un rapporto tenerissimo al limite del fiabesco fra il nonno e il nipote. Passato e presente, fantasie e realtà, desideri lontani e vicini si scontrano di continuo con il quotidiano della vita che comprende anche una nonna con un pessimo carattere. Un racconto quest’ultimo tenerissimo in cui il nipote beve letteralmente tutto quello che racconta il nonno, il quale, solo alla fine gli si svelerà completamente, lasciando anche il lettore incredulo e commosso.
Sono tutti e tre racconti autobiografici ma vanno oltre il personale, indagano nella psicologia dei personaggi, nelle dinamiche familiari, nei limiti dell’uomo e nella su capacità di andare incontro anche al diverso. Un buon libro, con un’introduzione dettaglia e precisa di Anna Zingone che lo ha anche tradotto. Buona lettura


Fra i libri che mi hanno regalato le amiche per il mio compleanno, mi fa piacere segnalarvi: Ines dell’anima mia di Isabella Allende, una storia vera che l’autrice ha ricostruito in 4 anni di ricerche storiche. La protagonista Ines parteciperà alla conquista del Cile con altri condottieri nel 1580, partendo dalla Spagna per fondare in seguito la prima città cilena Santiago del Cile. È una donna capace di tutto e gli uomini impareranno a rispettarla. Una pagina di storia raccontata al femminile, non per questo priva di atrocità terribili, ma nel contempo con un taglio umano e molto sottile. Una donna protagonista nella Storia. Una donna innamorata, capace di affrontare un mondo decisamente maschilista.

Altro libro che vorrei segnalarvi è: La cuntintizza scritto a due mani da Simonetta Agnello Hornby e sua nipote Costanza Gravina. Un libro leggerissimo, pieno di aneddoti, storie e ricordi di giardini, di terrazzi di cucine e cibi profumatissimi. Durante tutta la lettura, anche se chi legge viene da realtà diverse dalle loro, è tutto un susseguirsi di ricordi, un piacere nel rituffarsi nei profumi della propria infanzia, un gioco alla scoperta di situazioni particolari che ognuno di noi ha vissuto. E sé non fosse stato per le rane che saltano non avrei ricordato Simonetta Agnello e Costanza Gravina con il loro libro: La cuntintizza.

Sono le 11 del mattino e nel porto di Menthana il sole splende e il meltemi si è finalmente affievolito dopo 7 giorni che soffia prepotente. Ora alcune imbarcazioni salpano, altri personaggi si avviano a piedi alle varie spiagge con borse e cappellini. Davanti alla barca Felicità due ragazzine: Eva e Cristina , un maschietto Aris e la nonna (in greco iaia’) Filomena si apprestano a salire a bordo, hanno con loro dei fogli di carta bianchi che una volta piegati e ripiegati a dovere, diventeranno delle rane che saltano. Inizialmente c’è un po’ di confusione: trovare il posto giusto attorno al tavolo nel pozzetto, togliere i fogli di carta dalla cartellina, e poi è stato tutto uno spiegare, fare vedere, provare con loro e poi controllare quando piegavano da soli, ripassare ben le piegature con l’unghia. Le loro voci si accavallano le loro richieste sono pressanti, Filomena chiede la calma ma le sue mani vanno frenetiche ad aiutare Cristina, Eva ed Aris, e ci si mette anche il meltemi che fa volare alcuni fogli. “Adesso pieghiamo per ottenere le zampette, così, bravi, ma il corpo non va ancora bene, lo assottigliamo così”, “così? Va bene?” “ Si, si,” e “la mia rana va bene?” “Si! Si! Siete bravissimi.” Il piano del tavolo brulica confusamente, sembra in movimento, in più il vento fa volare la carta, le mani si destreggiano, piegano, si allungano, schiacciano, i ragazzini sono contenti, la rana prende forma, ma… ancora non salta. Poi, dopo l’ultima piegatura faccio saltare la mia rana e immediatamente anche loro provano, e… assieme gridano per la felicità, loro si agitano, si alzano, le rane saltano da tutte le parti, si incrociano, si scontrano, fanno capriole, cadono dal tavolo, volano per il meltemi, Cristina, Eva ed Aris sono eccitatissimi, non smettono di provare e riprovare, ridono contenti, è un momento di gioia e felicità. Il loro lavoro li ha stupiti e soddisfatti. A questo punto spuntano i pastelli e la fantasia dei ragazzi è impagabile, io mi ero sempre limitata a punteggiare il dorso della rana, loro invece nel colorarle esprimono tutta la loro fantasia.

Insomma tutta questa “ cuntintizza” per me è stata veramente un momento di puro piace, e anche Filomena, la iaia’, se pur sudata, ha un’ espressione contenta. E pensare che abbiamo solo piegato dei fogli di carta.

Un filo di panni stesi ci ha accolto al termine dei gradini che ci portavano sull’ampio spazio del teatro di Epidauro, proprio all’altezza del viso; liberata la visuale spostando un asciugamano, sono rimasta allibita: un accampamento di poche roulotte, tendina canadese e camioncino occupava lo spazio retrostante il palcoscenico e… c’era anche un carro funebre un po’ vecchiotto e mal messo, come tutto il resto. Dopo un attimo di sbigottimento nel quale ho pensato: gli attori forse dormono qui, ma… il carro funebre? Poi all’improvviso ho capito: Alcesti muore all’inizio della tragedia greca di Euripide, e noi eravamo nel pieno dell’arco scenico, spostando l’asciugamano che inizialmente ci copriva la visuale, era come se avessimo aperto il sipario di velluto del teatro, eravamo entrati direttamente nella tragedia.

Con il nostro cuscino sotto braccio, ci siamo inerpicati nella cavea dell’anfiteatro cercando i numeri 10 e 11 relativi ai nostri biglietti, l’impresa sarebbe stata impossibile senza l’aiuto delle numerosissime maschere, fra l’altro gentilissime. Con notevole anticipo sull’inizio dello spettacolo, l’anfiteatro si presentava vuoto, imponente, e di un’eleganza essenziale. Le gradinate ricavate scavando sul lato ovest del monte Kynortio erano ancora illuminate e rimandavano un immagine di grandiosità. Poi, piano piano ( siga’ siga’) come si dice qui in Grecia, una miriade di spettatori hanno oscurato le gradinate coprendole di colori, di movimenti di voci e di zainetti. Vecchi, giovani, uomini, donne, bambini e bambine, coppie, singoli e gruppi di diverse nazionalità hanno occupato quasi totalmente i 15.000 posti di questo gioiello, dichiarato patrimonio dell’umanità.

Ridotta ai minimi termini, la tragedia “Alcesti” potrebbe suonare così: il dio Apollo è condannato da Zeus a servire come schiavo Admeto, re di Fere. Quando Apollo scoprirà che il suo re dovrà morire farà di tutto per evitarlo, e ottiene dalle Moire la sua vita a patto che qualcun altro muoia al posto suo. Non trovandosi volontari, la moglie Alcesti si sacrifica per lui. Poi Eracle, che passa di li durante le sue famose dodici fatiche, non capisce subito la portata della tragedia e quando in fine viene messo al corrente che il funerale appena svolto era quello della regina Alcesti, si pente della sua ilarità e delle sue bevute di vino, così cerca di rimediare e sempre tramite le Moire fa rivivere Alcesti.

Si è fatto buio, i tabelloni laterali illuminandosi indicano il titolo della tragedia e per tutta la durata dello spettacolo si susseguirà la traduzione simultanea in greco e in inglese, mentre gli attori reciteranno in tedesco! Panico, non lo sapevamo e noi conosciamo solo l’italiano e il francese, meno male che ci siamo letti prima la storia, ripetutamente, per capirla e gustarla meglio. Sul palcoscenico, da solo, il re di Fere recita, non ci sono scene, il costume è minimalista, non c’è musica e una sola luce lo illumina, ma… sono attentissima, pur non capendo nemmeno una parola mi rendo conto della disperazione di Admeto che perderà la sua sposa, è accasciato e piagnucola, poi si rialza e impreca camminando convulsamente, i toni, il volume cambiano in continuazione, si capisce che è un uomo distrutto. Intanto Thanos, la morte, attende nel carro funebre con la bara che sporge e i fari accesi. Prima di andarsene Alcesti saluta affettuosamente i figli che le sono corsi incontro sul palcoscenico uscendo di corsa dalla roulotte illuminata, sono vestiti di bianco e frenandosi ai piedi della madre sollevano un grosso polverone che illuminato dai proiettori sarà parte integrante per molte scene. Sulla stessa polvere Alceste ed Almeno, dopo che la domestica ha riaccompagnato i bimbi in roulotte si rotolano amandosi per l’ultima volta, poi lei balla accompagnata dalla musica e si dirige al carro funebre entrando nella bara. Un coro in sottofondo, e delle enormi lettere proiettate fino agli alberi dietro le roulotte immagino traducano una frase che avevo letto precedentemente: “il morto giace il vivo si dà pace”. A questo punto arriva il padre di Admeto con la valigia che porta il vestito per la morta, viene aggredito a male parole dal figlio che non gli perdona di non essersi sacrificato per lui e di conseguenza lo accusa della morte di Alcesti. Volano le uniche due sedie di plastica in scena a interpretare la rabbia e la violenza. Il padre non si scompone e gli risponde per le rime (non so cosa, ma cercherò di documentarmi) lo scontro generazionale è sempre interessante.

Irruento e chiassoso irrompe provvidenziale nella scena vuota l’ospite Eracle, reduce dalle sue famose 12 fatiche, equipaggiato di enorme zaino con attaccato di tutto, di cappellaccio da esploratore e scarponi da alpinista; ha un vocione tuonante e quello che dice fa ridere il pubblico. È accolto festosamente dalla famiglia ma notando comunque la tristezza del padrone di casa, gli viene detto, per non turbarlo che si è appena seppellita una persona di famiglia non consanguinea . Eracle continua così la sua allegria e le sue bevute, finché non viene messo al corrente dalla cameriera che è la moglie del re che è morta. Silenzio, Eracle si muove circospetto, sembra pentito e vuol rimediare, si libera dello zaino cammina piano, pensoso, poi bofonchia qualche frase fra sé e sé, ma se pure l’acustica è perfetta e si capisce chiaramente il suo discorso non è necessaria la traduzione: la mimica del volto e del corpo, il tono e il volume della voce, le pause interrogative e la gestualità, fanno di Eracle un attore perfetto, come del resto tutto il resto della compagnia. Di nuovo il coro e sul palcoscenico Admeto, con l’aiuto dei figli cerca maldestramente di distribuire su di uno stendino la biancheria bagnata, le roulotte sul fondo sono illuminate e Thanos cerca con una pila puntata nel motore, di trovare il motivo per cui non riesce a partire, è stato con la testa nel motore a trafficare, da quando Alcesti è entrata nella bara. E mentre il pubblico è concentrato sul bucato che viene steso, una grossa nuvola rossa avvolge il carro funebre, che solo inizialmente copre Eracle che sposta verso il palcoscenico una impalcatura coperta da un pesante drappo. Eracle aveva contattato le Moire ed era riuscito a riavere viva Alcesti che però non avrebbe parlato per altri tre giorni e ora era lì, al centro del palcoscenico davanti ad Admeto e gli offriva questa donna, che diceva di aver vinto al gioco delle carte. “ non se ne parla nemmeno” dice Admeto, “ho promesso ad Alcesti che non avrei avuto mai altra donna all’infuori di Lei”. Ma dai… non fare così… dalle solo un’occhiatina. E sotto il drappo Admeto scopre Alcesti.

Le chiamate del pubblico per applaudire gli attori sono state molte, intense e meritate anche da parte nostra che non abbiamo capito una sola parola. Merito senz’altro della magia del teatro.

Imbocchiamo a ritroso la strada per lasciare il teatro, mi giro e con noi una marea di gente ondeggia in discesa e penso agli antichi Greci che per così tanti anni hanno calpestato gli stessi gradini e forse come me hanno pensato alle inevitabili considerazioni e dubbi di questa tragedia: Thanos, la morte,che è accomodante ma implacabile nell’esigere una vita, una qualsiasi, tanto lì lo sa che prima o poi toccherà a tutti. Molti di noi però si comportano come se dovessero vivere in eterno. Il granitico amore materno, che in questo caso fa difetto: Alcesti abbandona i figli, ma alle madri, da sempre si è chiesto troppo. Avere le conoscenze giuste: un ospite amico come Eracle che ti risolve i problemi non è da tutti averlo. Un padre solo, incapace di gestire i figli… e anche il bucato. E in fine sulla trama penso che molte donne oggi avrebbero da ridire: sacrificarsi e morire per amore, vincere una donna al gioco delle carte… più che ad una tragedia penserebbero ad una farsa, e poi spero che vorranno tenere presente che la tragedia in questione è stata scritta da Euripide nel 438 a.C. Che però, sommati ai nostri 2022 d.C. fanno 2460, ebbene dopo tutto questo tempo per alcuni uomini non è cambiato molto visto che considerano ancora le donne oggetti di loro proprietà.

Adesso però devo stare attenta a dove appoggio i piedi, questi gradini sono alti, alcuni sconnessi ed altri sbeccati. Ci avviamo all’immenso parcheggio, saliamo in macchia per rientrare, ci perdiamo e ci mettiamo due ore anziché una, una vera tragedia greca. Due al prezzo di una.