Vai al contenuto

4

Passeggiando per Vigevano in questi giorni è impossibile non accorgersi dell’offerta culturale allestita nelle Scuderie Ducali del suo famoso Castello Sforzesco. La mostra dedicata al capolavoro di Leonardo: DENTRO L’ULTIMA CENA: il tredicesimo testimone. E’ un’esperienza artistica decisamente nuova ed allettante. Il pieghevole che ti consegnano in biglietteria, ben congegnato ed illustrato, recita tra le altre informazioni:L’allestimento privilegia il canale emozionale rispetto a quello informativo, senza dimenticare gli aspetti di approfondimento e quelli storici filologici: è un percorso multimediale e interattivo, nel quale la tecnologia oltre ad essere un valido strumento divulgativo, permette di trasformare la mostra in un luogo dove conoscenza scientifica ed emozioni personali si fondono così da generare e diffondere cultura, grazie al sapere degli esperti e alla partecipazione attiva del pubblico. Questo è il nocciolo della novità: l’interazione attiva del visitatore che per antonomasia è sempre stato considerato solo spettatore. In biglietteria non ti consegnano solo il pieghevole e il biglietto che ti accompagna nel seguire la mostra tradizionalmente, ma anche una card che ti permette di interagire nelle ampie offerte di approfondimento. Se per caso non capisci come utilizzarla, niente paura, non fai in tempo ad accorgertene che il personale, gentilissimo e competente ti viene incontro: spiegandoti e seguendoti, in questa nuova esperienza che ti permetterà veramente di diventare il tredicesimo testimone sulla scena del capolavoro vinciano conservato nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Il percorso espositivo di sei sale è abbastanza buio per permettere alla tecnologia di emergere con immagini evocative di quei tempi e di quei personaggi che ne animavano la storia. Avrei voglia di raccontarvi sala per sala, postazione per postazione cosa succede e cosa potreste far succedere, ma… vi assicuro è meglio scoprirlo da soli. Ah…nell’ultima sala, mi raccomando, prima di uscire, aprite gli armadi!! Cigolano un po’ ma forse l’hanno fatto apposta!! Per me: emozione è l’aggettivo più consono da abbinare a questa mostra. Il Cenacolo Vinciano l’ho visto dal vero quando avevo sei anni e non era ancora stato restaurato. Ne ho un ricordo di refettorio immenso e freddo con un dipinto grandioso. Da adulta ne ho seguite le vicende e viste le varie immagini dei restauri. In seguito avrei voluto rivederlo ma la difficoltà della prenotazione mi ha bloccata. Ritrovarla ora a Vigevano è stata per me una gioia immensa. Ho scoperto particolari di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza: quella brocca di vetro per metà piena d’acqua, il bicchiere che fa vedere in trasparenza il piatto dietro di lui. Approfondire:la luce, la prospettiva, la tecnica dei colori, rileggere la storia degli evangelisti e… quella tavola imbandita con il vino che si muove nel bicchiere…..Non dico altro. Vigevano:con la sua bellissima Piazza Ducale ideata dal Bramante, il Castello, la Torre, il Duomo e le altre innumerevoli chiese, merita di sicuro di essere visitata. Ora poi, potreste decidere anche di essere il tredicesimo testimone alla mostra in allestimento fino al 1 maggio 2011 dedicata all’ultima cena di Leonardo da vinci.

2

Il rispetto che ho per i libri mi ha sempre indotta a parlarne bene se mi piacevano e a… tacerne se proprio non mi convincevano. Perché parlarne male? magari ad altri possono interessare. Questa volta però, gli aggettivi che sono scaturiti dalla lettura del libro: VELA BIANCA di Sergio Bambarén sono talmente negativi che non posso fare a meno di commentarlo negativamente. La cosa peggiore che può capitare ad un lettore è quella di sapere già, prima di girare la pagina successiva del suo libro, cosa succederà. La lettura diventa in questo modo noiosa. La trama punta alla felicità per cui il romanzo è infarcito di citazioni pontificanti. I luoghi sono splendidi, le persone impareggiabili, gli incontri fantastici. Solo alla fine del libro i protagonisti affrontano un vero problema, e manco a dirlo, con l’aiuto di un fantasma riusciranno a superarlo. Naturalmente! Non si chiede certo ad un romanzo di essere veritiero ma tutto questo miele alla fine mi ha nauseata.

2

A proposito dell’articolo: Amore a prima vista.

E’ molto più facile criticare che accorgersi che tutto proceda per il meglio.

Quando tutto funziona lo diamo per scontato e normale.  Ancora più difficile sembra essere ringraziare.

Questa volta però gli abitanti di Orascio  hanno riconosciuto e ringraziato  subito lo sforzo, la fatica, e  il risultato di un lavoro ben fatto che ha riportato al valor del mondo il nostro torrentello “Valec”.

Tutti noi supponiamo che i lavori siano opera del Comune e se così fosse mi  piacerebbe averne conferma, così da poter ringraziare, sempre pubblicamente il Sindaco di Maccagno.

Intravedo in questi ultimi e nuovi  interventi, a partire dalle pattumiere a continuare con la pulizia dei corsi d’acqua, una nuova  attenzione nei confronti di Orascio, piccola frazione di Maccagno che sta molto a cuore dei suoi  residenti e villeggianti occasionali e non, che la scelgono per la sua bellezza, pace e tranquillità.

Ciao a tutti!

2

Io non sapevo, e con me penso molti altri, perché la camorra non ha mai amato la pubblicità sul suo conto. Così gli arresti, i morti, i sequestri, finivano nel calderone delle brutte notizie che tutti i giorni imperversavano e imperversano nelle nostre orecchie e si accaniscono sui nostri occhi. Anche volendo non si capisce mai quale famiglia abbia prevaricato su di un’altra, visto la velocità con cui si sostituiscono. Si perde il conto dei morti come se si trattasse di birilli caduti: birilli camorristi, birilli imprenditori, birilli politici, birilli rosa sciolti nell’acido, birilli bambini, caduti in un gioco crudele a cui non avrebbero mai dovuto giocare. E ancora: soldi, droga, appalti forzati, lavoro nero, smaltimenti illeciti. Un mondo che sembrerebbe a parte, lontano, un mondo che pensiamo non ci riguardi, che non conosciamo e che crediamo sia gestito da pecorai ignoranti. Quando in televisione sentiamo parlare i pentiti, noi comuni mortali, ci chiediamo come gente del genere tenga in scacco la polizia, faccia affari con il mondo intero, semini terrore e morte. In GOMORRA , Roberto Saviano ci spiga tutto in undici capitoli . Viaggio nell’impero economico e nel sogno di domini della camorra, è il sottotitolo di questo libro. Leggendolo si capisce quanto sia stato difficile e penoso per Saviano percorrere tutte le vie possibili in questo viaggio nella sua terra. Vivendo personalmente fra lavoratori in nero, scaricando merce di contrabbando, assistendo a processi, funerali e raccogliendo confidenze. Comincia con un punto chiave: Il porto, da dove arriva di tutto e riparte di tutto. La scrittura sembra incredula ma quello che vede Saviano è di sicuro impatto: un container si apre per sbaglio e a terra finiscono cadaveri umani congelati. Di cinesi che non muoiono mai, se ne sente parlare ma… le realtà che ci racconta Saviano fanno ricongiungere i vari tasselli. Prosegue con l’alta moda, e qui i tasselli a me mancavano tutti! un capitolo che a differenza degli altri potrebbe sembrare più innocente ma… innocente non è: aste camorristiche, morti, minacce, sparatorie, sfruttamento, lavoro nero. E Angelina Jolie, ignara di tutto, indossa la notte degli Oscar un abito confezionato ad Arzano da Pasquale che guadagna seicento euro al mese. A seguire: come funziona il sistema, la guerra di Secondigliano, e le donne dei camorristi, ma anche le donne camorriste con le loro guardie del corpo in abiti che scimmiottano la camorra raccontata nei film. Non tralascia niente Saviano, si è informato, ha sentito, ha letto, ha studiato, riordinato luoghi, date, incontri, nomi, ha visto, ha vissuto e partecipato. Il suo libro trasuda di tutto questo. E’ con umanità toccante che parla di Don Peppino Diana, è con una tristezza infinita che nell’ultimo capitolo cammina nella terra dei fuochi: Avevo i piedi immersi nel pantano. L’acqua era salita fino alle cosce. Sentivo i talloni sprofondare. Davanti ai miei occhi galleggiava un enorme frigo. Mi ci lanciai sopra, lo avvinghiai stringendolo forte con le braccia . Seguono i suoi pensieri che con rabbia e speranza concludono il libro. Io so. Nel capitolo: Cemento armato, Saviano ripete con insistenza: Io so, come se fosse un mantra che lo aiuta a denunciare, a spiegare, a far capire. La forza delle sue parole non fanno sconti a nessuno e per essere chiaro termina così questo capitolo: Io so in che misura ogni pilastro è il sangue degli altri. Io so e ho le prove. Non faccio prigionieri. Lui sa e adesso anche noi sappiamo. Grazie Roberto Saviano, per il coraggio e la forza , grazie per averci portato con te a vedere e sentire. Il contenuto di questo libro è talmente alto che il fatto che sia scritto benissimo sembrerebbe passare in secondo piano invece la sua capacità di scrittore porta il lettore passo passo con chiarezza nelle terribili vicende del sud e non solo.

Il libro di Maria Fedele e Mary Nicole si presenta egregiamente: prima e quarta di copertina riportano graziosi e variopinti disegni eseguiti da Claudia Mesa e Michele Finelli , per rappresentare le fiabe descritte al suo interno. I fogli sono di carta patinata in una rilegatura impeccabile. La grandezza del carattere usato è particolarmente grande e…. per una nonna che debba leggere queste storie ai nipotini è piacevole. Penso anche che sarà perfetta per quei bambini che già leggono da soli. Ma si farebbe un torto alle due autrici se si riducesse questo libro ad un’utenza così limitata. E’ infatti chiaro fin dal titolo del libro: “Piccole fiabe crescono ” che i racconti hanno diverse chiavi di lettura, per cui il libro di Maria Fedele e Mary Nicole è destinato a tutto quel pubblico che pensa ci possa essere sempre un’occasione per Crescere. Per la presentazione di questo libro le due autrici si sono affidate alle parole di un autore di eccezione e… non vi dirò nulla, a voi il piacere di scoprirle.

Si dividono il libro le due autrici: sei racconti per Mary Nicole e cinque per Maria Fedele.

La prima le intitola: Fiabe dal recinto, e già questo recinto io l’ho interpretato come un abbraccio, un abbraccio amorevole che protegge, consola ma insegna anche ad affrontare le diversità, come in: “Un gradevole intruso” e “La vita scorre”. Dove la mamma scrofa salva ed accudisce un piccolo riccio. Dove allontanarsi dal recinto vuol dire anche crescere ed allargare la famiglia. Mary Nicole affronta con garbo anche il tema dell’emigrazione dal punto di vista dei bambini, descrive la nostalgia di Al per la sua terra d’Africa e il suo integrarsi in: “Si parte” e in: “100”. Altre storie, come quella della gattina Minù che dovrà vedersela con un cagnolino, mettono in evidenza problematiche come l’egoismo e l’incapacità di capire gli altri. La scrittura di Mary Nicole è scorrevole, chiara, piacevole, i suoi racconti sono come la sua biografia: pieni di persone care, amici e amore. Ha cominciato a scrivere poesie a 6 anni e a 15 vinceva concorsi letterari, ha pubblicato diversi libri tra cui: “Padparadshah. Rosa D’asfalto” edito da Arcipelago Edizioni nel novembre 2004. Membro dell’Antologia “IncastRIMEtrici vol.1edito nel 2006 e autrice del libro “Ultima cena di Mary Nicol, in download gratuito su www.lulu.com/content/2282314.

Per Maria Fedele  è:”La prima volta che pubblica dei racconti” e se non ci avessero informati nella biografia non ce ne saremmo accorti perché la sua scrittura è diretta, espressiva e priva di fronzoli. Anche i sui racconti parlano di animali e danno il titolo a questo libro “Piccole fiabe crescono”. L’ippopotamo Gelsomino, la cui mole gli procurerà non pochi problemi, si troverà alla fine della fiaba ad essere leggero come una farfalla e…solo leggendo il racconto si capirà come sia potuto succedere. L’autrice descrive puntigliosamente la caparbietà della tartaruga Eloisa che vuole assolutamente raggiungere la cima della montagna. Sembra solo una fatica, affrontata in solitudine, gli amici vorrebbero aiutarla ma lei vuole la sua libertà. E’ una dura Eloisa, come il suo carapace. L’autrice ad un certo punto la descrive così: “Ma Eloisa era la testuggine più testarda del pianeta, quindi impettita non tornò indietro, avrebbe perso del tempo prezioso e poi oramai la meta era lì a portata di mano. Non fece però i conti con il freddo glaciale che la costrinse sempre più spesso a rifugiarsi in se stessa, nella sua armatura, così consueta, conosciuta, così solita e familiare, da cui poteva ricevere protezione, sicurezza e sopravvivenza”. Riuscirà Eloisa a raggiungere la vetta? e poi? I finali delle fiabe di Maria Fedele sono sempre ben studiati. Altri animali popolano le sue fantasiose fiabe: La lucciola Caterina che scopre di essere una veggente e il topo Ernesto che dopo aver raggiunto la luna, tornerà coi piedi per terra. Pagine piene di dolcezza sono quelle dedicate alla favola “Brava Giulia”. La protagonista interpreta il desiderio di volare, comune a molti bambini e l’autrice risolve il problema con maestria. Anche qui il finale è pirotecnico! Fra le righe, anche nei racconti di Maria Fedele, troviamo ineguatezza e accettazione, incapacità di ascolto ed egoismo, paure e felicità.

“Piccole fiabe crescono” Maria Fedele & Mary Nicole

Ma siamo sicuri che siano solo fiabe?

Ammetto di essere  un’ammiratrice di  Mirandolina: non solo donna affascinante e piena di femminilità ma anche capace locandiera e pratica calcolatrice. Goldoni la circonda di uomini che la desiderano  e lei li sfugge ma… accetta di buon grado i loro regali. E per quell’uomo  che dice di ignorarla  tesserà una sottile ragnatela nella quale resterà invischiato. Donna libera e scaltra, anche in amore dimostrerà  coerenza, scegliendo come sposo il fedele servitore.

La Locandiera è una brillante  commedia comica in cui gli attori parlano sinceramente  rivolti  al pubblico ma sulla scena, fra di loro, fingono, fanno la commedia! Come accade nella vita vera! Ed è per questo che i personaggi di Goldoni appaiono così umanamente genuini.

Una commedia così la si risente sempre volentieri.

Il 12 gennaio, a Magenta presso il Teatro Lirico, la produzione Teatripossibili ne ha offerta una versione moderna. Un tripudio di plastica e colori: Mirandolina portava i pantaloni rossi molto attillati, il conte squattrinato sfoggiava una giacca verde pisello e… il macio che odiava le donne indossava un giubbotto nero. Moderno anche l’arredamento della locanda e le musiche. La regia di Corrado D’Elia mi ha subito conquistata. Ed anche la bravura di Mirandolina interpretata da Monica Faggiani e di tutti gli altri attori: Edoardo Ribatto, Alessandro Castellucci, Gustavo la Volpe, Bruno Viola, Andrea Ribaldi, Andrea Coppone.

La commedia è veloce, incalzante, a tratti, e improvvisamente, un vuoto in palcoscenico, riempito dal buio e dalla musica in crescendo. Una mancanza per avere del tempo, il tempo in cui il pubblico è attivo nell’immaginare, proprio come nella lettura, quando una pagina  con delle lettere nere riesce a trasportarti nel mondo dell’immaginazione.

E’ stata una Locandiera moderna e brillante in tutti i sensi. Da sentire, vedere, immaginare.


4

Fino a che non c’è nell’aria la frenesia del Natale, ad alcuni torna difficile pensare ai regali, così si riducono agli acquisti negli ultimi giorni intasando vie e negozi. I più previdenti invece, da un mese hanno i loro pacchetti già incartati e muniti di biglietto di auguri con tanto di destinatario.  Altri risolvono il problema riciclando quelli ricevuti gli anni precedenti ed altri ancora decidono che loro, di regali di Natale non ne faranno più …  salvo per i bambini e… per i nonni altrimenti ci restano male. C’è chi sceglie i regali con cura destinando ad ognuno un regalo consono e chi invece li compra in batteria: uno regalo  uguale per tutti quanti. C’è chi a casa ne ha alcuni di scorta dall’anno precedente e chi invece si ritrova spiazzato senza poter contraccambiare.

Un capitolo separato andrebbe dedicato all’involucro del regalo Natalizio. Il  modo di incartare un regalo  rivela moltissimo. I più ligi alla natura hanno preso l’abitudine di incartarli con una carta da salumeria dei vecchi tempi color cartone e legarli con lo spago, il loro motto è: non sprechiamo. I tradizionalisti affogano i loro pacchetti in carte dorate con nuvole di ricciolini rossi. Poi ci sono i ricicloni e i loro regali sono avvolti da carte già stropicciate e coccarde mosce, i biglietti che li accompagnano presentano tagli di forbice e paesaggi mozzati. Ci sono quelli che aborriscono il rosso e dal profumiere scelgono per i loro regali sobrie  carte color beige con nastro di stoffa in tinta. Per quelli che hanno scelto il regalo in batteria il pacchetto sarà rigorosamente uguale per tutti. In fine c’è il ritardatario,  il suo pacchetto è sempre un po’ sghimbescio con abbondanza di scotch.

Quello dei  regali di Natale, chi li dona, chi li riceve, è  un affascinante sguardo sulla natura umana. Un Natale di molti anni fa, ricordo di essermi soffermata sul pianerottolo di casa ad origliare i gridolini di gioia e di sorpresa di una bimba intenta a scartare i suoi regali. Ma anche i grandi cedono volentieri alla magia della sorpresa. Tolgono con  foga i nastri e strappano la carta. Alcuni mentre aprono il loro pacchetto restano sospesi guardando quello che sta uscendo dal pacchetto dei vicini, altri cercano di aiutare gli altri a togliere lo scotch . Chi non ha ancora in mano il suo pacchetto volge lo sguardo lontano come se dicesse: “Guardate, non dico niente sto aspettando buona buona”. Altri si affannano a cercare nel loro sacchetto il bigliettino che si è sganciato dal regalo che vogliono consegnare.

L’eccitazione è generale, la confusione regna sovrana,  e le carte variopinte, i nastri e i fiocchi si disseminano ovunque. Quando sembra che la calma sia tornata arriva una nuova ondata di regali per tutti da parte di chi, fino ad allora non ne aveva ancora consegnato nessuno. E… poi c’è sempre un pacchetto che non si sa a chi sia destinato  e un altro che viene perso.

Quando il regalo  è spontaneo, rappresenta chi li dona: il suo modo di essere, di presentarsi, di accontentare o essere sbrigativo. Quando è forzato non è detto che sia brutto, anzi, può anche essere bello ma… suona… inaspettato e un poco stonato. Comunque siano i doni  e lo spirito con cui vengono regalati, le  reazioni di chi li riceve sono molteplici; e se un extra terrestre dovesse assistere di nascosto all’apertura dei regali di Natale si farebbe un’opinione molto variegata degli esseri umani.

4

E mi è piaciuto moltissimo! Il film di animazione di Hayao Miyazaki inizia lentamente e dolcemente per proseguire poi con un ritmo incalzante. I protagonisti della favola sono: Ponyo, una pesciolina rossa un po’ magica che rimane incastrata in un vasetto di vetro. Sosuke il bimbo che la libera e le promette di proteggerla. Altro protagonista di questo splendido cartone animato è l’ambiente: quello marino e quello terrestre. Il mondo marino è in continuo movimento: le alghe fluttuano, i pesci ondeggiano, le meduse danzano, le onde si accavallano; le tinte pastello sembrano stemperarsi in acqua fondendosi con l’ambiente. Ma non sono sempre rose e fiori! Quando nella nostra favola Ponyo si ribella al padre Fujimoto “stregone del mare” allora si che il mare si arrabbia: le onde si ingrossano, si uniscono, diventano enormi, scure ed hanno occhi spaventosi. Il furore del mare segue gli umori di Fujimoto che è determinato a riportare Ponyo in fondo al mare; ma lei vuole diventare una bambina e tornare sulla terra da Sosuke. Una terra che Hayao disegna con maestria: le coste, i boschi i prati sono lussureggianti ma anche pieni di immondizia. In questa favola i bambini sono: responsabili, determinati e generosi. La presenza femminile è preponderante: c’ è la mamma di Sosuke, che è un bel peperino. La mamma di Ponyo creatura marina particolarmente affascinante, le donne anziane, ospiti dell’istituto Girasole e le dipendenti, e naturalmente le maestre di scuola. I maschi sono più defilati se non quasi assenti, come il padre di Sosuke. Oppure sono cattivi come lo stregone Fjimoto. Siamo in Giappone e le mamme sono uguali alle nostre: Capaci di arrabbiarsi di brutto. Siamo in Giappone e i papi vanno per mare. I nostri sono intrappolati dal lavoro e dal traffico Siamo in Giappone e le anziane sono uguali alle nostre. Alcune dolcissime, altre insopportabili. Siamo in Giappone e il mare e la terra sono inquinati come i nostri. Siamo in Giappone, Susuke chiude il rubinetto dell’acqua. Anche i nostri bambini stanno imparando. Ponyo sulla scogliera: Una favola per bambini, un incitamento per i grandi.

2


Ci sperava poco: Assistere alla Turandot presentandosi alla cassa del Teatro Coccia poco prima dell’inizio dell’opera senza nemmeno una prenotazione, e invece…” E’ fortunata Signora, c’è stata una rinuncia ed è disponibile un biglietto in un palco centrale  con un notevole sconto”.

La trama dell’opera la Signora Narrini la ricordava così: Una giovane badante di nome Liù accompagna un anziano signore (per altro cieco) a vedere la decapitazione del principe di Persia. La confusione quel giorno a Pechino è molta e quando la strana coppia viene travolta dalla folla il Principe Calaf (che dovrebbe essere in esilio e forse anche morto) aiuta l’anziano a rialzarsi e… guardandolo si accorge trattarsi di Timur, suo padre. La badante gli spiega che si era subito presa cura dell’anziano signore da quando era diventato cieco semplicemente perchè lui Calaf una volta le aveva sorriso.

Calaf invece si innamora a prima vista di Turandot, la cattivissima regina che condanna a morte tutti i principi che la vorrebbero sposare ma  non sono in grado di svelare gli indovinelli che lei propone. Non che  Turandot odiasse gli uomini o fosse lesbica, quella sua crudeltà era un modo per vendicare una sua antenata che era stata violentata ed ammazzata da un re barbaro.

Tutti mettono in guardia Calaf: Liù che lo ama perdutamente, il padre che lo ha appena ritrovato e teme di perderlo di nuovo e poi ci sono anche i tre ministri dell’imperatore: Ping, Pong, Pang.

Ma lui niente, non da retta a nessuno, nemmeno al papi di Turandot che lo scongiura di rinunciare alla figlia. Calaf non molla, accetta la sfida e per tranquillizzare tutti dice: VINCERÒ, VINCERÒ, VIINCEEROOÒ. E vince davvero, risolvendo i tre  indovinelli. Turandot è spiazzata non vuole assolutamente sposare il principe ma e obbligata dal parde a mantenere il giuramento.

A questo punto il futuro sposo (che è un signore) propone a sua volta un indovinello a Turandot: Se riuscirà a scoprire il suo nome prima dell’alba, lui morirà; altrimenti dovrà accettarlo come sposo.

Turandot farà di tutto per estorcere il nome di quel principe e Liù sotto tortura pur  di non tradire colui che ama si ucciderà! Questo fatto sconvolgerà Turandot che già attratta dal principe si farà baciare da lui che le sussurrerà il proprio nome. Lei annuncia di conoscere il nome dello straniero:” Amore”. E vissero felici e contenti.

La Signora Narrini si sta godendo l’opera, e il momento più commovente: Liù si è pugnalata e adesso sta morendo, la melodia pucciniana l’avvolge teneramente.

Cala il sipario e partono gli applausi.

No, no, l’opera non è finita, non finisce così, la Signora Narrini si agita sulla sua poltroncina, cerca disperatamente una conferma nel suo libretto e la trova: Nell’edizione proposta dal Teatro Coccia l’opera viene eseguita fino alla morte di Liù, ossia fino al punto in cui Puccini lasciò la stessa incompiuta, così come avvenne alla prima esecuzione presso il Teatro alla Scala con la direzione del Maestro Toscanini.”

A… ecco il motivo, adesso era tutto chiaro e Il biglietto scontato che si ritrovò nelle mani infilandole nel soprabito  era in perfetta  sincronia con l’opera incompiuta.

PS. I ricordi della Signora Narrini a proposito della trama del dramma sono incompleti e…Liù non è una  badante ma… una schiava.

Sarà un lapsus?


4

L’ e-mail che aveva preceduto la telefonata era molto precisa e professionale. Ma sul pc, la signora Narrini leggeva solo il testo, non capiva  di che umore fosse la sua amica  Lorella, in quella sequenza di parole mancava il tono della voce, non si capiva se le avesse scritte battendo energicamente sulla tastiera oppure fosse  rilassata,  non percepiva l’affanno del respiro o il suo lento procedere, ma soprattutto trovava insopportabile che le e-mail nascondessero lo sguardo di chi le inviava. Del resto anche la successiva  telefonata  non  l’aveva soddisfatta, era stata troppo veloce, e più che altro  le era sembrata una semplice  telefonata di servizio per informarla che i suoi occhiali nuovi erano pronti e sarebbe venuta lei personalmente a consegnarglieli.

Erano quattro mesi che non vedeva Lorella, che non l’ abbracciava, la baciava e stava a sentire le sue ultime novità. Si ricordava che l’ avesse informata su quel volo  a cui  teneva molto, delle passeggiate in montagna e di quella coppa vinta in una gara di corsa. Ora finalmente si sarebbero riviste e… fu una sorpresa per la Signora Narrini. Lorella era  veramente in forma, anzi smagliante, come fosse un’altra persona. La vitalità che traspariva dalla pelle e il suo entusiasmo nel raccontare cosa le fosse successo emozionò la Signora Narrini.

La sua amica aveva volato. l’aria sottostante l’aveva avvolta facendole sentire per la prima volta quanto fosse consistente. Aveva ammirato il mondo sottostante come se dovesse rimanere sempre a quell’altezza ma poi lo stesso mondo si avvicinava a lei velocissimamente. A quel punto un colpo tremendo e  il paracadute aprendosi sembrava volesse riportarla in alto, fino  all’aereo dal quale si era lanciata! Lorella continuava a raccontare e la Signora Narrini leggeva  nei  suoi occhi: emozioni, adrenalina, sorpresa e felicità. Ma la cosa non finiva lì!

Ora Lorella, con i piedi per terra, si rendeva conto di quanto quell’esperienza l’avesse cambiata: come affrontava diversamente i vari problemi, come prendeva decisioni e iniziative senza tanti ripensamenti, come  organizzava la giornata o semplicemente come guardava con occhi diversi un albero o un gruppo di persone.

Lei e il suo punto di vista erano cambiati.

La Signora Narrini  già vedeva chiaramente questa sua nuova amica e si domandava: ” Sarà stato merito degli occhiali nuovi?”