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Martedì, nuovo giorno, nuovo problema. C’è un filo che si è ossidato, ma per capirlo ce n’è voluto di tempo e ci si sono dovuti mettere in due. Non parte il segnale dal salpancore di conseguenza il nuovo conta catena non parte. Andrea arriva in soccorso di Enrico che da poppa, al quadro comandi, andava  a prua per capire cosa non andasse, poi, insieme  scoprono che il sensore non funzionava. Bene, dopo aver trovato su Internet il produttore dello specifico sensore si informano dove poter trovare il pezzo nuovo in Grecia, rispondono che al Pireo c’è un loro rivenditore. È fatta esclama Andrea, andiamo da Spiros e lui ce la ordina(in greco). Spiros è la salvezza di tutti i velisti, gestisce un negozio di nautica sull’isola di Poros e tutti i giorni gli arriva merce via nave da Atene. Si è fatto pomeriggio inoltrato,  Roberta passa davanti alla nostra barca, ha un appuntamento con la massaggiatrice. È dall’anno scorso che me ne decanta le virtù e la piacevolezza del massaggio rilassante. Ok penso,  ho 74 anni,  non ho mai fatto un massaggio, è giunta l’ora. Così mi ritrovo sdraiata a pancia in giù su di un lettino con asciugamano candido, la cabina è piccola e fresca, una lieve musica l’avvolge. Nonostante ci sia un buco all’altezza del viso, non mi va di infilarci il mio. Non so come mettermi, giro il viso a destra e cerco di non muovermi mentre il massaggio comincia dalle dita di un piede, poi però devo proprio girare la testa a sinistra. Iro la massaggiatrice mi viene in soccorso posizionandomi la fronte all’estremità del buco e mi ritrovo il naso contro l’asciugamano e respiro proprio male,  mentre il massaggio è già al polpaccio sposto l’asciugamano e finalmente faccio pace col buco del lettino. Non mi muovo più, Il massaggio è fantastico, me lo godo tutto: dita dei piedi, piedi,caviglia, polpacci, fino a su, sulle ultime vertebre del collo passando per la schiena e le spalle con una specie di ventosa che sembra risucchiarmi la tensione. Iro mi fa cenno di voltarmi ruotando le mani, le lancio un lungo sorriso riconoscente e ricomincia il massaggio, sopra di me mentre la musica continua un soffitto di tessuto morbido fa da prato a delle rose. Dopo un’ora di massaggio Iro è sudata e affaticata io mi sento molle come una gelatina, che esperienza, ma perché non ci sono andata l’anno scorso?

Per Enrico, lunedì, il primo lavoro  è  stato rimettere a nuovo il serbatoi dell’acqua posizionato sotto il letto di prua, era un lavoro da fare, la vecchia vernice cominciava a scrostarsi, il lavoro in se non è difficile: scrostare, carteggiare, pulire, verniciare. La difficoltà è data dall’apertura sul serbatoio, tolto il tappo e la ghiera è un buco di 40 cm. circa, e dalla posizione da assumere per poterci lavorare dentro, mezzo infilato con la testa, il braccio e a volte parte della  spalla per poter raggiungere i punti più lontani. Vi lascio immaginare cosa voglia dire lavorate lì dentro, la capacità del serbatoio è di 500 lt. di acqua. C’è voluta un’intera giornata di lavoro. Quando Enrico, dopo la verniciatura è emerso dal buco col rullino in mano, ha assunto a fatica una posizione eretta, fermandosi e girandosi lentamente di fronte a me che lo aspettavo alle sue spalle, aveva il lobo dell’orecchio destro, il naso, parte del labbro e ampie zone del braccio, verniciati di azzurro, dopo tutta quella fatica avrei voluto abbracciarlo ma non era il caso, mi sono limitata ad esclamare: “Sei il mio principe azzurro”. È  stata  necessaria un’altra  giornata affinché la vernice catalizzasse e io potessi chiudere il serbatoio e rifare i letti. Finalmente mercoledì lasceremo il B&B e potremo dormire in barca.  A Methana ha aperto un nuovo ristorante, gli amici ci assicurano che il pesce è buono e cotto bene, non come in altri posti  dove la pelle è bruciacchiata e parte della carne gli rimane attaccata. Le aspettative non vengono deluse, il nostro baccajaro alla brace “nasello” è cotto a puntino e la scordalia’ “purea di patate molto agliata” è perfetta. La passeggiata serale, col golfino sulle spalle è la giusta conclusione di un lunedì lavorativo molto intenso. Martedì mattina per prima cosa ritiro dai fili del balconcino del B&B gli asciugamani e la poca biancheria che avevo steso la sera prima, facciamo colazione usufruendo della cucina in comune situata in fondo al corridoio e ci accingiamo ad uscire di camera dopo la toilette, improvviso uno scroscio d’acqua precipita sul balcone, due piani sopra, il proprietario del B&B sta lavando il terrazzo con la canna dell’acqua. In Grecia non esistono grondaie, l’acqua precipita da bocchettoni direttamente in strada, in questo caso passando prima dai balconi. Meno male che avevo ritirato il mio bucato.

Per me lunedì è giornata di mercatino, proprio ino ino, su un lato della strada c’è solo un furgoncino e una  bancarella . Mi avvicino sorridendo alla vecchia signora dalla quale mi servo da anni, ci diamo la mano e ci scambiamo i convenevoli di rito in greco che conosco bene anch’io, poi però lei parte per la tangente con un lungo discorso in greco, non capisco niente ma non la interrompo, la mimica è chiara, si tocca la spalla e si lamenta, poi il ginocchio, poi alza le mani al cielo, cerco di consolarla a gesti e non sapendo cosa altro dirle passo alla spesa porgendole 4 cetrioli, lei rientra subito nelle sue funzioni e mi fa girare dietro al furgone, in zona ombreggiata  dove tiene le altre verdure  e la cassetta di arance, mi chiede poi interrogativamente: “co-co?” Mi viene da ridere, avga’ vuol dire uova ma lei pensa che non lo sappia, non mi servono, ma non ho avuto il coraggio di dirle di no “ochi”, le ho invece risposto:”ne, tessera” “si, quattro”. Lei è contenta della spesa che ho fatto, io anche. La signora con la bancarella più avanti ha veramente poche cose: cipolle, qualche testa d’aglio, patate, e dei pomodorini piccoli in una  cassettina di legno, altre poche verdure sparse sul banchetto davanti alla bilancia, poi vedo i meloni sul marciapiede, in una cassa di plastica  e ne acquisto tre, sono proprio piccoli, l’ elenco dei miei acquisti viene riportato meticolosamente sulla calcolatrice, e nonostante sia riuscita ad acquistare anche da lei altra verdura, non riesco a spendere più di 9 euro.

Per Sabato 25 gli amici del porto hanno  già prenotato un tavolo nel ristorante di Vathy, ci hanno aspettato per festeggiare due compleanni: quello di Emilia, di Roberta e ci attacchiamo anche il mio che è stato i primi di maggio. Prima del pranzo, in mattinata scarichiamo dalla macchina… stendiamo un velo pietoso, per farci stare tutto abbiamo abbattuto i sedili posteriori e siamo arrivati quasi al tettuccio dell’auto. Nella stiva della nave Enrico per posteggiare in retromarcia ha dovuto farsi guidare da uno degli uomini della nave, comunque, una mezza mattinata non è stata sufficiente e dopo pranzo non è stato il caso di continuare. Per cena verdura Almira bollita, una specie di nostri Agretti o barba di frate, molto gustosa e leggera. Sabato è volato e domenica continuiamo la processione macchina-barca che non riceve più, bisogna procedere con ordine, stivare bene le scorte di pasta Garofalo, (in Grecia si trova solo la Barilla) il caffè e il thè che qui costano una fortuna, lo scatolame di legumi cotti a vapore che torneranno utili quando ci fermeremo in baia. Poi il vino che qui in Grecia è pessimo, ma non vi dico quanto,  roba da vergognarsi. Insomma ci è voluta tutta una domenica, ma prima, è stato urgente lavare la barca che avevamo lasciata attraccata in porto ma sembrava avesse attraversato il deserto, aveva cambiato colore, da bianca c’è la siamo ritrovata rossa di sabbia, l’interno fortunatamente era a posto. 

La nave Ariadne della compagnia Anek Lines Italia è partita in perfetto orario: 13,30 di giovedì 23-5-2024. Avvenimento per niente scontato, a volte abbiamo atteso, con altre compagnie, sugli ampi piazzali di imbarco anche 5 ore, e ti informano del  preavviso di ritardo  poche ore prima sulla partenza prevista. Per cui un buon libro è sempre a portata di mano. Già mi pregustavo la lettura di: “La portalettere”  di Francesca Giannone, invece… niente ritardo, non immaginavo che mi sarebbe quasi dispiaciuto! Comunque avrò molto tempo durante il viaggio. Negli uffici del porto di Ancona al check-in ci consegnano anche le chiavi della cabina n. 842, bene, penso, andiamo direttamente all’ottavo piano ma… la cabina non si apre. Scopriamo che bisogna comunque passare prima alla reception al settimo piano, Enrico scende, io rimango sola con i bagagli davanti alla porta, in un lunghissimo  e stretto corridoio, come nel film Shining. Finalmente entriamo, la cabina è stranamente ampia e confortevole. La borsa per la notte in  nave (cambio, pigiami, ciabatte, beauty) è ai piedi del letto, quella frigo sotto il tavolino, giacche e golf per uscire la sera in coperta già sistemate nell’ armadio. Usciamo in perlustrazione, da poppa,  al nono piano il panorama è ampio e lo stesso dell’anno scorso! Il monte Conero, l’arco di Traiano, il Duomo di S. Ciriaco ed altro, e giù all’imbarco gli uomini e i mezzi di trasporto sono piccoli piccoli, quasi formichine, il sole è alto ma qualche nuvola insiste. Le stesse nuvole che ci impediranno di vedere più  tardi il tramonto, a 130 miglia dalla costa  italiana navigando in direzione sud est riusciamo comunque a vedere l’isola di Pianosa e subito dietro le luci delle isole Tremiti e sul versate della Croazia l’isola di Vis. Siamo ancora in acque italiana ma in nave già primeggia il greco e una babilonia di lingue straniere ci accompagna ovunque. Alle 9 del mattino del giorno seguente una lunga fermata nel porto greco di Igoumenitsa, di fronte all’isola di Corfù, per sbarco passeggeri e merci, e altro imbarco passeggieri e merci diretti a Patrasso  rallenteranno di due ore il nostro arrivo a destinazione. Monte ore passate in nave 28    “ipomoni”. Alle due ore di ritardo sull’arrivo attacchiamoci altre tre ore di macchina per raggiungere Methana e si fanno le otto di sera. Ma l’accoglienza dell’amica Roberta che ci viene incontro sui gradini del B&B ci fa capire che siamo davvero arrivati.

Abbiamo fatto tutto. Il verbo fare è una panacea che risolve molte fatiche ed evita elenchi inutili: lasciare tutto pulito e in ordine, coprire mobili e divano, staccare corrente e gas, chiudere casa ecc… ecc… per fare tutto ci abbiamo messo molto tempo, ma  già dalla partenza per raggiungere la Grecia ci siamo organizzati in modo da non stressarci. Partenza senza levataccia e senza sveglia. La nave salpa da Ancona giovedì e noi siamo partiti di mercoledì, destinazione “Agriturismo dei Larici”. Durante il percorso in autostrada approfittando del largo anticipo le fermate per il caffè sono state doppie, e non sono state le sole, fra un pieno di gas e qualche pipì ci abbiamo infilato anche camminate in aree di sosta e ginnastica delle braccia, naturalmente sempre approfittando delle tregue tra uno scroscio di pioggia e l’altro. L’agriturismo è in collina, vicinissimo ad Ancona, davanti a noi il mar Adriatico. Codice per aprire il cancello, ricerca della palazzina B,  codice per entrarci, e senza codice entriamo in stanza con una chiave già infilata nella serratura. i gestori dell’agriturismo ai quali avevamo annunciato il nostro arrivo due giorni prima, li abbiamo visti solo il giorno successivo, nella palazzina A adibita a prima colazione, la porta era spalancata, niente codice per entrare, torte preparate da loro, tutto il resto molto buono in un ambiente ben illuminato e pulito.Come un quadro, dietro l’ampia finestra della camera n. 19,  incorniciato da basse colline, sul terreno in declivio,  una distesa di ulivi e vigneti, alla loro base linee continue di lavanda in fiore. Tutto questo verde ondulato e morbido, silenzioso e variegato, ci incanta, approfittiamo di questa pace per cancellare  la stanchezza di sette ore  di viaggio. Più tardi la cena marchigiana metterà  a tacere il brontolio dello stomaco e farà pace con i panini del viaggio. Come antipasto ci portano  delle conchiglie (le stesse che da bambina cercavo sotto la sabbia) ora me le ritrovo nel piatto nascoste dal  sugo di pomodoro, chiedo come mai tutte queste conchiglie e mi spiegano che: nel ristorante, giocano in casa avendo un parente pescatore con tanto di peschereccio. Ci è parso naturale  continuare la cena a base di pesce. Se passate da Ancona approfittatene anche voi, al Ristorante La Botte si magia proprio bene, e se come noi ci dimenticate l’ombrello, niente paura, il proprietario è gentilissimo,  ad ottobre, quando rientreremo in Italia ci ha assicurato che lo ritroveremo nel suo ristorante.

Ancora Grecia perchè è accogliente, bella, economica, con infiniti approdi, con molte isole e relativi porti, nei quali a volte puoi fare il bagno tanto l’acqua è  pulita, limpida, e puoi trovarti affiancata una tartaruga caretta caretta come a Monemvasia nel Peloponneso,  oppure nel porto di Methana dove si vedono i delfini e una foca girovaga tra le barche strusciandosi sulla loro  chiglia. Le acque greche sono azzurre come il cielo e come la sua bandiera. I panorami circostanti sono così vari da isola ad isola che viene da chiedersi se appartengano sempre alla Grecia: a volte colline coperte da pini marittimi, altre  formate da rocce rossastre sempre in procinto di sgretolarsi e franare, oppure formate da enormi roccioni di lava neri. Anche i suoi mari: lo Ionio e l’Egeo hanno caratteri diversi, il primo calmo,  il secondo agitato. Ancora Grecia perché i suoi abitanti sono cordiali in tutto il territorio che abbiamo visitato fino ad ora, sia nello Ionio che nell’Egeo, dove la natura è più selvaggia e violenta, i suoi abitanti mantengono le loro caratteristiche di popolo pacifico. Non è poco, penso io, quando sei lontano da casa tua i greci ti fanno sentire bene a casa loro. Ecco perché ancora Grecia. L’anno scorso dalla penisola di Methana siamo scesi a sud nelle isole Cicladi, quest’anno ci avventureremo nel nord verso Salonicco.

E adesso che ho finito di leggere questo bel libro, mi viene voglia di ricominciarlo, perché l’ho letto troppo in fretta. Più elegantemente si dovrebbe dire che la narrazione scorre e invoglia a proseguire. Quando in libreria mi hanno consegnato il libro scritto da Mauro Ballerini sono rimasta impressionata, 720 pagine, con tutto il suo peso fisico e… storico, visto il titolo: Raramente ho scritto Teatro senza la maiuscola. Uno spaccato di storia italiana attraverso la vita e la carriera di Ernesto Calindri e la plurisecolare tradizione familiare che lo precede. Nelle prime pagine l’autore ci tiene a spigare la fatica immane occorsagli al fine di reperire la documentazione necessaria per arrivare a scrivere la biografia di Ernesto Calindri. Ha fatto bene ad informarci, perché i progetti ben riusciti, lo sappiamo, non sono mai frutto del caso. Leggere questa biografia è stata una scoperta continua. Ripercorre i primi anni del Calindri ragazzino, scopre in che modo, nonostante tutto, anche Lui abbia preso la via del teatro, ne fa capire le motivazioni e spalanca anche una porta sul mondo dei comici, orgogliosi di esserlo anche se poveri, girovaghi istruiti ma senza fissa dimora, perennemente alla ricerca di nuove piazze, nuovi ingaggi e nuovi testi al fine di risolvere l’oneroso problema del mettere assieme il pranzo con la cena. Sono molte le compagnie di giro minori, dimenticate, che hanno affrontano questi problemi. A questo proposito scrive Ballerini: A dispetto di quanto qualvolta si possa credere, questi minori del teatro italiano, questi nessuno, per sempre cancellati dai manuali, che sono stati sconfitti in vita e dopo la morte, non provenivano in alcun modo da una degenerata e insignificante guittalemme germogliata nel dilettantismo sciatto o sconfinante nel nomadismo zingaro, ma possedevano al contrario una loro innegabile grandezza e un’autentica dignità attorica. La vita di Ernesto Calindri, si snoda attraversando l’Italia degli anni trenta, quando i teatri itineranti andavano alla grande, il periodo fascista e il dopo guerra, anni 80, 90, ecc.. ecc… in pratica per tutti i 70 anni della sua lunga, lunghissima carriera. Ballerini è incalzante nel procedere, con rigore professionale e metodo, lo immagino con la mole di documentazioni che si è procurato negli anni di ricerca: recensioni e critiche giornalistiche, fotografie, contratti, locandine. Tutto diviso con elenchi di spettacoli e autori. Ma non pensiate che la cosa possa disturbare il fluire della lettura, anzi, veniamo a conoscenza di nuovi autori stranieri che si avvicendavano ai nostri Pirandello, Nicodemi, Dannunzio. Conosceremo le trame degli spettacoli, gli aneddoti, le atmosfere, gli amici, la famiglia, i ricordi del Calindri. Il tutto si alterna sapientemente, tanto da rendere questa biografia un romanzo avvincente. Non mancano, nella seconda parte della biografia, rivelazioni e sorprese. Compagnie teatrali ottocentesche intrecciate con gli avi del nostro Calindri. Spionaggio politico e delatori. Tutto documentato. Se ai lettori avvezzi a questi fatti, penso agli attuali figli d’ arte, agli addetti ai lavori, gli attori o semplicemente agli amanti del teatro, il libro susciterà emozioni e ricordi. Per tutti gli altri, quelli a cui giunge nuovo: Il Carro di Tespi o non sanno dove collocare Melpomene e Talia, o pensano che i capo comici facciano ridere, soprattutto per loro, questo libro sarà una rivelazione del mondo passato, senza la quale sarà più difficile comprendere quello presente. Insomma, un libro appassionante, scritto con rigore ed eleganza uno di quei libri che ti viene subito voglia di telefonare alla tua amica per dirle: Ti mando la foto della copertina di un libro bellissimo che ho appena finito di leggere, te lo consiglio vivamente, poi ne parliamo, ci sono molti spunti che vorrei condividere con te. Il libro: Raramente ho scritto Teatro senza la maiuscola, pubblicato a gennaio del 2024 dalla Casa Editrice PHOTO TRAVEL di Marino Giovanni, riscatta finalmente Ernesto Calindri dall’oblio della dimenticanza e del disinteresse, grazie al suo autore Mauro Ballerini, appassionato e storico del teatro, nonché figlio d’arte, che nel 2020 crea un sito interamente dedicato agli artisti dimenticati di cui lui, con pazienza e amore, ha ricostruito vita e carriera.

Domani è la Befana, e oggi Paola mi ha inviato una bella foto: un parcheggio per molte scope, tutte in fila nella loro rastrelliera, pronte a prendere il volo con la propria befana. All’invito di Paola di prendere il volo con Lei ho risposto subito con entusiasmo: “Mi copro e arrivo subitooo”. Poi non ho resistito e ho inviato la stessa foto a tutte le altre mie amiche che non fanno parte del gruppo di Paola. Con la foto, anche la scritta era uguale per tutte: “Sto per partire, venite anche voi?”. Cinque invii per volta, ma subito dopo, ad ognuna aggiungevo un messaggio personale. Poi altri cinque invii selezionandoli dai miei contatti. Le più svelte non mi hanno lasciato il tempo di aggiungere nulla, e hanno subito risposto. Altre, hanno risposto mentre inviavo altri cinque messaggi. “Pin pin”, gli avvisi di notifiche arrivavano in continuazione, quasi a raffica. “Pin pin, pin pin”. Selezionavo indirizzi, scrivevo, inviavo e… “Pin pin”. La cosa è andata avanti per parecchio tempo ed è stato molto bello leggere le loro risposte: mai uguali fra loro. Alcune hanno continuato la battuta e risposta, con molto piacere da parte mia che così ho potuto informarmi delle loro novità. Una ha declinato l’invito preferendo la sua moto alla scopa. Un paio avevano già impegni nella loro zona! Ad altre, vista la distanza di cui si lamentavano, proponevo un bel giro di fantasia, e ancora chi pretendeva un itinerario di evasione totale. “Pin pin, pin pin”, è un continuo, leggere le loro risposte mi ha fatto sorridere piacevolmente, le mie amiche sono fantastiche, piene di fantasia e autoironia. Anche propositive, al posto della befana, consigliavano ( con tanto di foto) un bel maschione, nipote della Befana naturalmente. “Pin pin”, mi sono arrivate in risposta un interessante corollario di strane befane, un’ altra amica ha prenotato la prima scopa a destra, e apprezzato il parcheggio “ Fico”. Poi chi mi ha informata di essere prontissima… Sono appena andata dal parrucchiere. “Pin pin”: Ok ok, domani arrivo. “Pin pin”: Ti stavo pensando proprio adesso. “Pin pin”: Vengo volentieri, che simpatico invito. “Pin pin”: Declino l’invito, ma se hai tante streghe attorno sei molto ben accompagnata, sono le migliori. La più prudente si raccomandava la puntualità, non voleva rimanere intrappolata nel gran traffico che ci sarà domani. La più positiva: Certamente, verso l’infinito ed oltre. La più sfortunata: arrivo ma… con le stampelle. “Pin pin, pin pin, pin pin”. Sono andata avanti un bel po’ con gli auguri della Befana quest’anno, a tutte ho risposto che sarò felice di rivederle, appuntamento al parcheggio e le ho rassicurate che saremo in tante. Non avevo altro da fare di più interessante? Forse, però a me è piaciuta molto la vivacità delle mie amiche. Per più di un’ora ho sorriso, riso con loro… ed è stato bello. P.s. “Pin pin”, l’ultimo sul tardi: Non esco più alla sera, sai, la vecchiaia, ma domani mattina presto farò il giro.

Quando vai per mare ed è in arrivo un uragano, lo sai con anticipo: i bollettini del mare, le previsioni del tempo, i siti che anticipano i movimenti dei venti e delle onde sono ormai precisi e monitorano anche in tempo reale la situazione nel suo divenire. Basta non sottovalutare, prestare attenzione e ti puoi preparare, hai il tempo di trovare un ormeggio sicuro, oppure puoi aggiungere un’altra àncora alla catena, puoi rinforzare gli ormeggi, aggiungergli delle molle che attutiscono gli strattoni. Controlli i tuoi parabordi e quelli del tuo vicino, se non sei presuntuoso ti confronti con gli altri per capire se si possa fare di più o meglio. Si controlla che gli oblò siano ben chiusi, che all’interno della barca non ci sia niente in giro che possa cadere, a volte si accende il motore per essere pronti ad aiutare l’ àncora a tenere e a contrastare la violenza degli elementi che possono spingerti rovinosamente contro la banchina o sugli scogli. Se sei in baia indosserai i giubbotti di salvataggio e molte altre precauzioni. Poi si aspetta e solitamente arriva prima un vento forte, poi ancora più forte, monta il mare, il rumore è in crescendo e il cielo è già incupito da un po’. Ti sei preparato a tutto ciò, e anche se avrai paura, anche se dovrai agire e prendere delle decisioni, sai con che cosa avrai a che fare, e prima o poi… anche dopo una tempesta arriva il sereno. Più tranquillo indubbiamente rimanere a casa, io amo dire che le case non arano, come invece fanno le àncore, e decreto anche che casa mia sia il porto che preferisco, il più confortevole, sicuro ed affidabile di tutti. Ho dovuto ricredermi. L’uragano che ha colpito Enrico, e di conseguenza anche me, pochi giorni dopo essere rientrati a casa dalla Grecia, questa volta non ha dato nessun preavviso, un fulmine a ciel sereno, anche se a dire la verità, pioveva di brutto. Enrico è scivolato alle undici del mattino sulla rizzata scivolosa che porta da casa nostra, in discesa e in repentine curve e tornanti al piazzale del borgo, dove si parcheggiano le auto. Una scivolata stupida, ma con conseguenze gravi: Malleolo peroneale fratturato in malo modo. Quel giorno, dal pronto soccorso lo hanno dimesso alle 22, perché hanno detto che quello che potevano fare lo avevano fatto: gamba steccata, lastra, eparina e bontà loro anche della tachipirina dopo che l’ortopedico ha visto le lastre alle 8 di sera e sentenziato: “Brutta frattura, va operata al più presto.” Nonostante abbia implorato che lo tenessero in ospedale fino al mattino seguente, non c’è stato verso e alle undici di sera, quando è arrivata l’ambulanza lo hanno rispedito a casa, per poi richiamarlo alle sette del mattino seguente. Pensavamo lo operassero, ma no, non si poteva, il piede era ormai troppo gonfio. Ritornate giovedì e valuteremo, nel frattempo è stato fatto tutto il necessario per il futuro intervento che hanno programmato per il lunedì successivo. Un day hospital: operato al mattino e dimesso in giornata. Day hospital? Siamo sconcertati ma fiduciosi che sappiano quello che fanno. I primi giorni sono stati veramente duri, scendere da casa nostra fino al piazzale forse è stata la cosa più semplice avvalendoci della disponibilità dell’amico Ilio che caricava Enrico sulla motocariola cingolato e lo portava fino al fianco della macchina, giù al parcheggio, poi io lo portavo in ospedale. Tutto il resto invece è stato allucinante a cominciare dalla burocrazia: medico di famiglia per ricette rosse, CUP per i pagamenti, ore e ore di code. Farmacia dove devi sempre ritornare per avere dei farmaci, ospedale senza parcheggi e con portinai fortunatamente non sempre inflessibili, ricerca spasmodica di ambulanze. Per non parlare delle litigate con infermiere per presunti accaparramenti di sedie a rotelle. Il capitolo della maleducazione e onnipotenza di alcuni medici sarebbe troppo complicato visto che per fortuna alcuni si sono salvati, ma per il resto… pur non essendo di indole violenta ho cominciato a capire le motivazioni per cui alcune persone menano i medici. Io Invece ho gridato: ” Ma quanto deve soffrire ancora mio marito, prima che qualcuno si decida a fare qualcosa” Ho pianto, e ho dovuto insistere perché un medico vedesse Enrico, che dopo l’intervento e due sacche di antidolorifico e 4 ore di sofferenze atroci si aggrappava alla maniglia, non sapendo più a che santo rivolgersi, soffriva come una bestia e nessuno faceva niente. Lo hanno chiamato finalmente, un medico, che dopo averlo visto si è informato telefonando al collega e subito dopo si è scusato con Enrico, perché il dosaggio di antidolorifico che lui ha programmato era per un day hospital, non era stato informato del tipo di intervento che prevedeva placca metallica e viti. Dopo la morfina Enrico è rinato e il day hospital è saltato. Ha passato la notte in ospedale e il giorno dopo veniva dimesso, senza ricette per le medicine e il giorno dopo era festa. Un angelo ha provveduto, e non posso dire altro. L’ambulanza è arrivata con un ora di ritardo per il traffico e con solo due persone anziché 4 che sarebbero servite per trasportare Enrico in casa. Dopo un intervento pensavo che sarebbe stato meno traumatico della motocariola, mi sbagliavo, povero Enrico, tutto traballante veniva issato sulla strada di sassi fino ad arrivare a casa dove sul divano avrebbe passato le prossime tre settimane sempre con il piede per aria. Poi si è avventurato col sedere sui gradini che portano giù in camera e… ha potuto finalmente dormire nel letto. E’ stata una faccenda lunga, dal 23 ottobre in pronto soccorso, all’intervento dopo una settimana, poi medicazioni, controlli, lastre, e quando all’ultimo controllo il 30 novembre hanno tolto la stecca e consigliato un tutore e fisioterapia abbiamo tirato un sospiro di sollievo, ci speravamo ma non ne eravamo sicuri, finalmente ne venivamo a capo. Ma 5 giorni dopo ci telefonano dall’ospedale per sapere da noi se nessuno ci avesse informato che c’era da togliere una vite dal piede di Enrico. NO, nessuno ci ha informato. “Controlliamo e le faremo sapere”, la loro risposta. Due giorni dopo siamo di nuovo in ospedale per il prericovero e cinque giorni dopo per un nuovo intervento vero e proprio: anestesia, taglio, e ricucitura. Enrico è SVITATO, così l’abbiamo raccontata agli amici mentre noi, con Ilio sempre al nostro fianco, andavamo avanti e indietro da casa al piazzale, dal piazzale in ospedale, sempre a caccia di un parcheggio. Avanti e indietro tutto in giornata, anche questo intervento sarà un day hospital, molto meno traumatico ma Enrico ne avrebbe volentieri fatto a meno. Per andare al controllo successivo Enrico prova col tutore e stampella a scendere la rizzata tenendosi anche al corrimano, ce la fa. Per più di due mesi Ilio è stato il nostro angelo custode trasportatore, al mattino presto per gli interventi, al buio e sotto la pioggia; per controlli, lastre e medicazioni sempre in orari pasto, sempre pronto, sempre allegro, con una leggerezza che ci ha fatto bene in momenti veramente difficili. Ma di angeli in questa bufera ne abbiamo incontrati molti a cominciare da Ambra che ha caricato Enrico in macchina e lo ha portato al pronto soccorso, sarei andata anch’io ma lei si preoccupava anche per me: ”E’ meglio di no, piove e si scivola”. Il mio piede già dolorante, in quei giorni stava peggiorando, ma non sapevo ancora  che fosse rotto, l’avrei scoperto dopo 15 giorni facendo una lastra. Poi suo padre Giovanni che da subito ci ha assistito facendoci da tassista i primi giorni fino a che non ho ricominciato a guidare, cosa che non facevo più da tempo. Rita, sua moglie, che non ha esitato ad offrirci un letto da loro la prima notte in cui dal pronto soccorso hanno rispedito a casa Enrico alle 11 di sera. Pinuccio che incrociandomi lungo la rizzata mi prendeva le borse della spesa e me le portava fino in casa. Fabio che vedendo l’ambulanza è venuto ad aiutare. Annamaria, Cristina, Alessandra, Monica, che non mancavano di chiedermi se mi servisse qualcosa. Anna che ci ha fatto recapitare la sua mitica crostata, Francesca che al mattino si presentava con le brioche calde, e… le visite, tante visite, soprattutto il sabato e la domenica in cui il piccolo borgo si rianima ospitando i non indigeni. Sono arrivati con pasticcini, fiori. E ancora: La piccola Iris di 5 anni, su consiglio del padre, mi ha aiutata portando un pacco di carta igienica grande quanto lei, e quando è arrivata in casa ha detto ad Enrico: “ Se l’osso non si aggiusta con le viti puoi provare con lo scotch”, suo padre intanto portava il resto della spesa. Iris l’angelo più piccolo del borgo. Nei primi giorni, i più difficili, un altro giovane angelo è volato dalla Brianza fino a noi, ha fatto la spesa, cucinato, guidato e soprattutto ha riempito di gioia le nostre giornate. Dove abitiamo è bellissimo: vista lago e monti, boschi, ruscelli e sentieri, uccellini, fiori e aria profumata. Certo non mancano le difficoltà ma è il prezzo da pagare. Che abitassimo in un paradiso lo sapevamo, che i nostri vicini di casa fossero delle brave persone anche, ma questa volta ci siamo sentiti circondati da Angeli. Grazie infinite a tutti.