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Dev’essere un dissalatore quell’insieme di grandi cilindri di acciaio posti alla fine del golfo, un ronzio impercettibile ne indica il loro funzionamento. Con questo sistema sia dal rubinetto della fontana che alle docce in spiaggia, la pressione è abbondante e la qualità dell’acqua è buona, tanto che vediamo persone che ne fanno scorta riempiendo le bottiglie di plastica. Peccato che sul molo dove siamo ora ormeggiati non ci sia un rubinetto. Andando in spiaggia il solito fenicottero staziona alla foce del  canale in secca che però è raggiunto dall’acqua del mare. Pensavamo fosse un airone ma poi abbiamo dovuto ricrederci, è proprio un fenicottero, neanche tanto rosa. L’unico bar che abbiamo visto è decisamente affollato e prima o poi incroceremo  anche una taverna. Diciamo che di quest’isola, per il momento, stiamo sfruttando a pieno la spiaggia, le nuotate sono sempre lunghe, potremmo raggiungere dalla spiaggia Felicità a nuoto, ma non ha senso, ci piace anche camminare. Mercoledì 21 agosto, sei del mattino, alcuni tironi sulle cime di ormeggio ci svegliano, la nave arrivata ieri verso le 18 e che ha dormito qui, se ne sta andando, esco in pozzetto per controllare anche altri rumori e vedo che all’interno del porto, una barca a vela di 12 metri se ne sta andando. Controlliamo che nessuna altra barca in giro sia in movimento e dopo aver messo costume e  maglietta, accendiamo il motore e l’elica di prua, spostiamo qualche parabordo, molliamo gli ormeggi e ci dirigiamo verso il posto libero. Enrico al timone, io a prua  pronta col mezzo marinaio in mano per  agganciarmi all’anello del pontile. Ci accostiamo lentamente all’inglese, se avessi allungato di più il mezzo marinaio avrei fatto meno fatica ma comunque sporgendomi al massimo mi sono  agganciata, nel frattempo Enrico fissa l’ormeggio a poppa sulla bitta, poi viene da me e fa lo stesso a prua. Fatto. Questo è il terzo ormeggio che facciamo, ma qui, all’interno del porto, siamo molto più protetti. Sono le sette, il sole è dietro le nuvole, la luna ancora  alta in cielo sembra la sua sostituta. Qualche piccolo peschereccio sta rientrando, noi ci ritiriamo per fare colazione, il caffè lo beviamo fuori, il sole mancante ce lo permette. Un’occhiata al telefono e leggo da parte di Katia: “Fatevi amici i pescatori per il pesce fresco”. Vorrei mandare Enrico ma lui…nicchia: “È meglio che ci vada tu Lella.” Rientro con un pesce che basta per due e altri 5  piccolini che il pescatore ha voluto per forza infilarmi nella borsa di plastica che avevo portato. Per mangiarli oggi, sono sicura che non ci metteremo più di un quarto d’ora, per pulirli ci siamo messi in due e non finivamo mai. Ma tanto sono solo le nove, abbiamo ancora tutta la mattinata davanti.

Ci abbiamo messo più del previsto per arrivare in porto, la corrente contraria ci ha fatto perdere un’ora su 20 miglia,  dai 5 nodi siamo passati a 4. Le onde sono aumentate forse per effetto delle correnti e il vento è sparito, quando ammainiamo la vela siamo in vista del porto e finalmente alle due siamo ormeggiati all’inglese nella parte esterna del molo dove passano i traghetti che qui non sono frequenti. Si balla già molto senza che ci sia mare. Siamo stanchi ma ci portiamo lo stesso in  spiaggia per un bagno che, lo so, ci  rimetterà in sesto. Enrico nuotando raggiunge un altro molo per capire se c’è abbastanza fondo per un eventuale nuovo ormeggio. “Adesso no! Però! Prima mangiamo”. Rientriamo in barca, già da lontano vediamo l’albero che va da destra a sinistra con una velocità  assurda. Alle 15,30, senza neanche bere un caffè rifacciamo l’ormeggio, va tutto liscio. Dove siamo ora, sull’altro lato del porticciolo dei pescatori si sta bene, non c’è risacca e un venticello fresco entra dal passo d’uomo per uscire dal tambuccio, rinfrescando tutto l’abitacolo, il caffè ce lo gustiamo proprio. Impieghiamo il resto del pomeriggio a riposarci. Le 19 arrivano presto,  preparo un sughetto coi pomodori freschi e basilico, e prima di farlo bruciare, spengo e organizzo il materassino con asciugamano e cuscino per fare un po’ di ginnastica in pozzetto dove c’è già ombra. Non ho messo un piede sul molo (salvo per arrivare alla spiaggia), la visita all’ isola è rimandata a domani. C’è una luna fantastica questa sera, c’è la siamo  vista spuntare all’ improvviso da dietro una collinetta, a poppa di Felicità, dove nel pozzetto  prendevamo un po’ di fresco: grande, luminosa, vicinissima, sembrava avesse gli occhietti, l’ho fotografata ma il lampione acceso sul molo sembrava più luminoso di lei. Alle 22 eravamo già a letto, un sonno profondo ha rapito entrambi. A mezzanotte è arrivato il traghetto con tanto di tromba, catena dell’ancora, e dall’auto parlante la voce del capitano impartiva ordini, quando è ripartita non c’è ne siamo accorti, ci siamo subito riaddormentati. C’è una linea precisa, questa mattina, che fa da confine fra le acque del porto che sono immobili e azzurre e quelle del mare aperto un po’ increspate e di un blù intenso, una linea che racchiude il porto al suo ingresso: dal faro rosso a quello verde, poi, più tardi il vento spingerà via  questa linea  immaginaria scompigliando anche le calme acque del porto, e sulla sua superficie si disegnerà una rete cristallina. Intorno a noi la spiaggia è deserta, dal porticciolo sono usciti dei pescherecci, ma non li abbiamo sentiti, non circolano macchine, c’è ne sono solo tre parcheggiate, il silenzio è palpabile salvo qualche pesce che salta fuori dall’acqua, sembra prestissimo invece sono già le 11, sarà bene pensare al pranzo e poi…  bagno, meglio approfittare perché le nuvole in cielo non promettono niente di buono, del resto era previsto, aspetteremo qui qualche giorno che le nuvole perdano il loro carico.

Lunedì, 19 agosto, alle sette del mattino siamo già svegli, l’aria è freschina, il sole splende e il porto è già in movimento: molti se ne sono già andati e non sono mancati gli incroci di ancore con relative manovre per liberarsi. Sulla banchina vicino al faro è rimasto solo il peschereccio e la motovedetta del guardia coste. Il mega yacht non c’è più, in effetti, molto presto, nel dormiveglia avevamo sentito rombare i motori e avevamo capito che se ne stava andando. In rada ci sono solo poche barche. Dopo i rituali mattutini scendo a terra per comprare il pane fresco, non resisto e di strada mi fermo dalla fruttivendola che è già aperta, prendo altri pomodori, questa volta maturi, pensando a una pastasciutta al sugo da mangiare questa sera in rada se non trovassimo posto in banchina. La saluto, avvisandola che partiamo e la ringrazio per la sua gentilezza, si e sempre rivolta a me in italiano consigliandomi al meglio, anche lei si congeda, sempre in italiano. Per la strada i molti cestini della spazzatura sono ancora stracolmi, la spazzina non è ancora passata. Di persone, macchine o moto non se ne vedono in giro e camminare nelle lunghe ombre delle case e delle piante è un vero piacere. Alle 8,30 salpiamo dopo aver salutato Patrizia e Giovanni che si è affacciato dal tambuccio, l’augurio che ci scambiamo è quello di rivederci per mare, possibilmente entro questa stagione, che vorrebbe dire che stiamo tutti bene, Giovanni compreso. Lasciamo l’isola di Limnos dopo 42 giorni, nessun rimpianto, ci siamo stati molto bene, l’abbiamo girata in lungo e in largo, a piedi e in macchina, abbiamo fatto bagni e goduto della tranquillità dell’ormeggio in porto. Ci abbiamo incontrato vecchi amici e ne abbiamo conosciuti di nuovi. Siamo pronti per riprendere il viaggio di ritorno, la prima tappa sarà breve, come già detto solo venti miglia. Quella che lasciamo alle spalle è un’isola particolarmente rocciosa e brulla, la riguardo e penso che anche quando siamo arrivati avevo avuto la stessa impressione, però proprio in questo ambiente dove crescono solo erbe aromatiche, le api sono molto laboriose e non si fanno scappare nemmeno un fiorellino di timo. In navigazione, dietro di noi a poppa una bava di schiuma bianca lascia per pochi metri la traccia del nostro allontanarci. Sulla sinistra di Felicità a est, sotto i raggi del sole, un fitto scintillio argenteo ci viene incontro dall’ orizzonte, diradandosi e allargandosi verso di noi in   infinite stelle danzanti. Issiamo la vela, l’andatura si stabilizza e la velocità aumenta, dietro di noi prima un delfino, poi altri in gruppo che però si allontanano, non abbiamo avuto il piacere di vederceli saltare in torno, o come fanno di solito che ci precedono con nuotate e salti possenti. La navigazione procede, il rumore del motore purtroppo è dominante, il vento che gonfia la vela è fresco e piacevole, le postazioni in ombra sono le più ambite, mentre il pilota automatico continua a lavorare per noi. Faccio ginnastica, leggo, scrivo e sono arrivate le 11,30, il nostro arrivo è previsto per le 12,30. Solo dopo poche miglia dall’uscita del porto, quando il mare era ancora ondulato e senza increspature, dalla prua di Felicità,  a sud, l’isola di Efstratios era già in vista: sagoma sbiadita all’orizzonte, quasi impercettibile. Ora è qui davanti a noi, con le sue curve nette, il suo colore scuro. Chissà se troveremo posto in porto.

Abbiamo assaggiato qualche sera fa un miele di timo, dal gusto particolare, ma il suo sapore   mi ha riportato immediatamente, come un bumerang che ritorna,  alla  mia infanzia, era quello il sapore che aveva il miele, è stato un tuffo. Pensando di regalarlo al nostro ritorno agli amici, ieri sera ne abbiamo fatta una bella scorta. Il venditore  ci ha fatto assaggiare anche la sua grappa e il suo Uzo, ma non ne abbiamo comprato, troppi gradi, troppo caldo. Abbiamo acquistato invece una formaggella affumicata prodotta con latte di capra. Le scorte in questi giorni sono all’ordine del giorno: i biscotti, che trovo raramente in altri piccoli paesi, le olive Calmata che ho trovato qui particolarmente  buone, un bel pezzettone  di feta di capra che vendono sciolta. Il frigo è zeppo in previsione della partenza di domani. È un po’ che teniamo d’occhio le previsioni, e non siamo i soli, già questa mattina il porto va svuotandosi e in rada sono rimaste poche barche a vela. Partirà anche quel mega yacht a tre piani lungo 40 metri, è stato fermo fino adesso, rosicchiando giorno per giorno sempre più spazio per arretrare, l’armatore  è greco e abbiamo saputo che da bambino veniva qui con la famiglia a passare le vacanze, è affezionato all’isola e con un bestione del genere ha fatto bella  mostra di sé, ormeggiato all’inglese vicino al faro, per quasi un mese, parte domani per la Turchia dove farà il pieno di carburante, lì costa meno. Il vento si è un po’ calmato e anche le temperature si sono attenuate, meglio. Domani non partiremo troppo presto, per lasciare il tempo alle onde di calmarsi, le miglia da percorrere saranno poche, solo una ventina, siamo diretti a sud verso l’isola di Efstratios, è piccola e per molti poco attraente, ma dipende sempre dai punti di vista: cosa cerchi? Cosa ti serve? Quanto tempo hai? Per noi sarà una comoda tappa per raggiungere in seguito le Sporadi, sempre tempo permettendo. Giovanni si è affacciato al tambuccio di Giolea un paio di volte, la seconda, ci sembrava stesse un po’ meglio, Patrizia ci ha confermato che i dolori cominciano a passare e la notte è andata molto meglio. Siamo più sollevati e il senso di colpa che in questi giorni era montato per via della nostra partenza si è lentamente affievolito.

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È stata quella di ferragosto una giornata molto calda e anche molto ventosa. Alle 12 non rinunciamo alla nuotata quotidiana, ma anziché nuotare verso le boe gialle stiamo più vicini a riva, notiamo subito che il forte vento ci spinge velocemente al largo, nuotiamo in orizzontale fino alla fine del golfo e torniamo di fronte al nostro albero. Oggi è difficile trovare un ombrellone vuoto, ma non è un problema, noi: arriviamo, nuotiamo, e torniamo in barca, ci basta un albero con uno spezzone di ramo per agganciarci la borsa, ci riponiamo i cappelli, gli occhiali, l’asciugamano e le due magliette. L’ombra è assicurata per il breve tempo che ci fermiamo in spiaggia. Solitamente Enrico esce prima, io e Patrizia ci attardiamo, ma oggi Patrizia non c’è, è troppo presa con le cose da fare in barca e Giovanni ancora non se la sente di fare il bagno. Solitamente rientrando dopo trovo Enrico già docciato e cambiato e la doccia della barca libera per me. Le solite chiacchiere oggi sono poche. Solo verso sera si affaccia al nostro pozzetto  Patrizia per proporci una passeggiata, la via centrale sembra più fresca, gli uomini nicchiano, ma poi si aggregano. Fra la passeggiata, le fermate all’ombra per le chiacchiere, la fermata al solito Super sempre aperto, si fanno le 21. Finalmente si sta bene, il sole è sparito dietro le mure, il vento continua a rinfrescarci e noi seduti su di una panchina indichiamo agli amici,  sulla cartina dell’isola di Limnos i posti dove con la macchina è bello recarsi, e le strade che abbiamo fatto. Improvvisi, di nuovo  solo i colpi di tamburo: cupi, perentori, questa volta sappiamo di cosa si tratta, i militari in tuta mimetica imbracciano il fucile mitragliatore  altri imbracciano strumenti musicali, gli stessi di questa mattina. Finalmente capiamo perché si siano fermati ancora qui, non c’entra il comune, c’entra la bandiera greca in cima alle mura che viene prima ammainata e poi issata. Nessuno ha fame, nessuno ha voglia di rientrare in barca, Giovanni è stanco. Fino alle 23 c’è stata un po’ di confusione in banchina e quando ci diamo la buona notte, Patrizia ci informa: Giovanni ha la febbre. Il pensiero corre immediatamente al COVID, qualche mascherina gira anche qui in paese, qualche notizia dall’Italia non è delle più rassicuranti. Cerchiamo e ricerchiamo il test che ci siamo portati da casa, ma non lo troviamo. All’una di notte penso di sapere dov’è, mi alzo, lo cerco dove ho messo le mascherine, ma non lo trovo ancora. Alle due di notte mentre noi dormiamo, la situazione peggiora, Patrizia e Giovanni cercano un Taxi per andare in ospedale, non lo trovano, una pattuglia della polizia trova loro e li porta in ospedale. La diagnosi è polmonite. Dice Patrizia che  nell’ospedale greco di Limnos lo  hanno rivoltato come un calzino: visita, esami, tac, controllo dell’ossigeno ecc…ecc… Rientrano alle 4 con le ricette per i vari medicinali. Quando ci informano siamo rimasti basiti e ci viene da dire:  forse era meglio il COVID. È lo stesso che hanno pensato loro. La terapia è già in corso, l’atmosfera è cambiata, c’è silenzio e aspettiamo che gli antibiotici facciano il loro dovere.

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Così forte, era un po’ che non lo sentivamo, forse dall’anno scorso nelle Cicladi, è un meltemi furioso con una voce grossa che si impenna durante le raffiche che fanno fischiare le sartie, fanno sbattere le cime sugli alberi delle barche e i parabordi si strizzano tra una barca e l’altra. Non si sente altro che l’ululare del meltemi che fa volare di tutto.  In baia, davanti a noi ci sono le ochette e la decina di barche che ci sono ormeggiate hanno tutte la prua al vento con la catena dell’ancora bella tesa. La situazione a terra non è migliore, i cassonetti dell’immondizia sono caduti, la dipendente comunale che sostituisce i sacchetti pieni dei vari cestini con quelli vuoti ha il suo da fare per non farli  volare,  le cime delle palme sono in gran movimento e in giro c’è poca gente. È così da ieri, e oggi è anche peggio. In porto non dovremmo avere problemi ma si dorme sempre con un occhio solo. Otto del mattino del quindici di agosto. I militari, a suon di tamburo sfilano davanti al porto, sono in tuta mimetica, in testa, il loro capo li dirige con la bacchetta. Si fermano proprio davanti la nostra barca davanti al Comune. Usciamo in pozzetto di corsa, così come siamo, assonnati e in pigiama. Il tamburo ci ha svegliato ma in realtà è una piccola banda con due trombe, sassofono e pochi altri strumenti a fiato. Il grosso del gruppo ora canta, non sono le solite canzoni greche e non sembrano nemmeno inni religiosi, sono marcette festose ma il forte vento che soffia da nord dai Balcani  la fa sempre da padrone. Ai primi colpi di tamburo ci siamo spaventati ed Enrico nel dormiveglia ha scambiato il rumore del tamburo per una cima che battesse forte sullo scafo, mai tranquilli in barca. Non siamo i soli ad essere schizzati fuori in pozzetto, Patrizia e Giovanni sottolineano che sono le otto del mattino, il nostro vicino greco, sull’altro lato della nostra barca ci informa che è la festa della Madonna. Non vediamo comunque nessun Pope. Quest’isola di Limnos è fortemente militarizzata. Già durante le nostre escursioni a piedi avevamo localizzato una base militare, qui intorno c’è anche un aeroporto militare da cui partono dei jet che sfrecciano nei cieli, sono gli unici a coprire il rumore del meltemi, sono sempre in coppia e quando ti passano sopra la testa, col loro rombare,  fanno paura. Le mura del castello che un tempo erano la difesa dell’isola ora sono solo un’attrazione turistica. La tecnologia le ha sostituite ma il loro fascino resta uguale quando al mattino il sole le illumina per prime. Nonostante il meltemi, nonostante i jet. Con la sveglia dei militari, così presto, per noi dormiglioni,  anche oggi abbiamo potuto ammirarle di nuovo.

Per lunedì mattina abbiamo un appuntamento, Giovanni e Patrizia prenderanno il posto del nostro vicino di barca che oggi se ne va. Loro sono pronti, attendono in rada, noi siamo pronti, attendiamo sul molo, il vicino che pare sia andato a fare colazione e la spesa, non è  ancora pronto. E quando rientrano ci sono ancora molte cose che devono fare: staccare il filo della corrente, togliere e riporre la canna dell’acqua dopo averla svuotata, togliere le cime di poppa, controllare se l’ancora sale, ecc… ecc… Un ecc… lungo ed esasperante. Il vento soffia forte e le raffiche si succedono veloci, non sarà un ormeggio facile, lo spazio fra le due barche è proprio risicato e il loro Solaris è bello largo. Nel frattempo visto che la faccenda si fa lunga Enrico mette mano al caos che regna nella nostra dinette da ieri sera. È un disastro, i pannelli che fungono da pavimento sono sollevati e accantonati, si cammina sui legni portanti, le bottiglie di acqua di scorta,  una cinquantina  che giacevano sdraiate in sentina, sono ora sotto il tavolo. Perché? Perché le sorprese non mancano mai. Ieri sera alle 23 prima di andare a letto ho sollevato un pannello del pavimento perché era finita l’acqua, le bottiglia erano per metà  immerse in quindici cm. di acqua! Sgomento! Acqua? da dove arriva? E soprattutto è salata o dolce? È un tubo che perde o è acqua di mare? Non ci resta che assaggiarla: è dolce, meglio, è solo una perdita. C’è voluta un’ora ieri sera per spostare tutte le bottiglie, asciugarle e togliere l’acqua dalla sentina. Più difficile è stato trovare la causa della perdita, dopo aver asciugato seguivamo il rivolo d’acqua che si riformava, controllavamo i vari tubi , ma solo alla fine è stato chiaro che a perdere fosse l’autoclave. Dopo averla staccata abbiamo riempito un secchio di acqua dalla colonnina sul molo, ci siamo ripulì e  finalmente a mezzanotte e mezza più tranquilli, siamo andati a dormire. Domani è un altro giorno. Ci ha svegliato presto il forte vento, balla tutto, fa rumore tutto, il primo pensiero è andato all’ormeggio del Solaris, il secondo a tutto il nostro casino in dinette. Durante la notte altra acqua ha formato piccole pozze, le abbiamo asciugate e ripristinato il pavimento che così era troppo pericoloso, le bottiglie restano lì a dare fastidio. Un’occhio al Solaris che gira qui davanti in attesa di ormeggiare, un occhio alle pompe dell’acqua di scorta per capire come è meglio procedere, un occhio al vicino che non se ne va e uno alla macchinetta del caffè che sta uscendo. Finalmente sentiamo il motore del vicino accendersi, ci siamo, beviamo il caffè e Enrico è già in banchina per prendere le cime, io sul nostro passo avanti con un grosso parabordo per attutire eventuali collisioni. Nonostante il vento Giovanni entra bene, prendiamo le cime e poi Enrico torna ad armeggiare con l’autoclave. Ora non solo la dinette è incasinata, anche il nostro pozzetto sembra un’ officina. Per mezzogiorno tutto sarà sistemato. La borsa per andare in spiaggia è già pronta, una bella nuotata non c’è la toglie nessuno, Patrizia sarà dei nostri, Giovanni dice che di bagni ne ha già fatti abbastanza.

Sabato 10 agosto, lo stesso giorno che Oliviero e Katy lasciano il porto di Miryna, altri amici italiani sono in arrivo su quest’isola. È un po’ che ci sentiamo: Dove siete? Quando arrivate? E loro: Siete ancora lì? Com’è quest’isola di Limnos, c’è posto in porto? Per il posto in porto sarà difficile, comunque in baia si sta bene. Nel pomeriggio di sabato arriva la prima telefonata: “Arriviamo”. ” Bene, vi aspettiamo”. Poi la seconda, preoccupante,  che ci manda in crisi. Sono in avaria a 12 miglia dal porto, vento non c’è né e l’elica del motore è bloccata da una cima di plastica galleggiante che gli si è impigliata, Giovanni ha cercato di tagliarla ma le onde gli fanno sbattere la testa contro la barca, cerca un rimorchio fino al porto o avvisare il Guardia Coste. La seconda ipotesi viene subito scartata perché il Guardia Coste ti soccorre ma poi pretende tutti i controlli che richiedono una settimana di fermo per fare venire un sub per controllare l’elica e un funzionario RINA (Registro Italiano Navale) che verifichi che la barca sia in regola. Cerchiamo un pescatore che lo traini, lo troviamo ma non può portarlo in porto sempre per via del Guardia Coste che se vede il traino ti ferma, in più per il traino il pescatore chiede € 800. Riferiamo tutto a Giovanni che sapendo di avere l’opzione del traino è più tranquillo ma prima di dare conferma vuol provare di nuovo  a tagliare la cima intorno all’elica, questa volta fermandosi in una baia, dove le acque sono calme. Per parecchio tempo non lo sentiamo, il telefono della moglie, scopriremo più tardi, non funziona, è morto! Verso le 19 finalmente si fa vivo Giovanni: dopo due ore di lavoro sotto la barca finalmente l’elica è libera. Lui è molto stanco e anche Patrizia è molto provata. Arriveranno nel porto di Myrina alle 21. È già bui, noi siamo ad aspettarli sul molo con una pila accesa  per indicargli l’ormeggio che da altri non è stato preso in considerazione , ma che noi abbiamo già sperimentato: è sicuro. Sul molo ci sono i pescatori, li informiamo che sta arrivando una barca ma faticano a spostarsi, fino al momento di prendere le cime ancora ce li avevamo in torno con le loro canne, comunque l’ ormeggio all’inglese è da manuale, dopo aver preso le cime di dritta, a poppa e a prua che ci ha lanciato Patrizia e averle fissate, siamo tutti più rilassati, Giovanni riesce ad abbracciarci ancora prima di scendere dalla barca e Patrizia non finisce più di ringraziarci. Sono visibilmente distrutti, ma hanno ancora la forza di tirare fuori il sacco dove hanno messo tutta la cima recuperata, è  un sacco pieno pieno di spezzoni di  plastica sfilacciata. Dopo aver controllato di nuovo gli ormeggi, loro vanno direttamente a dormire, noi ci dirigiamo verso il centro e mangeremo una di quelle schifezze che non mangiamo mai: panino con hamburger, uovo, salsine varie e patatine fritte. Un massacro per il nostro fegato, ma oggi è  una giornata particolare cominciata alle 5  con la partenza di Lady Blues e conclusasi con una cima di plastica galleggiante finalmente chiusa in un sacco dai nostri amici.

Come ogni mattina, sul presto passa il camion della spazzatura per vuotare i tre contenitori che sono qui nelle vicinanze, più avanti c’è un ampio e coreografico contenitore in legno solo per le bottiglie di plastica, vicino a questo un grande cuore alto circa un metro e mezzo, profondo 30 cm a piccole maglie metalliche che raccoglie solo  tappi di plastica, c’è affianco  una locandina che spiega, anche con la fotografia di una carrozzina per disabili, che il ricavato della vendita di questi tappi andrà in beneficenza. È impressionante la velocità in cui si riempie, l’ho visto svuotare più volte, c’è sempre gente che arriva con sacchetti pieni di tappi da rovesciargli dentro, famiglie con figli, ognuno col loro sacchetto, in punta di piedi alcuni o in braccio ai loro genitori per compiere quel gesto, che racconta molto della volontà  di alcuni genitori di educare al meglio i propri figli. Commovente, una speranza per il loro futuro. In Lemnos ne ho visti altri di questi cuori coloratissimi, tanti sono i colori dei vari tappi. Più defilati, nella zona parcheggi ci sono i contenitori quelli grossi, per carta, bottiglie, e indifferenziata. Ci ho tenuto a specificare questi particolari sulla spazzatura perché in altre occasioni e in altri luoghi ne avevo parlato in modo non  edificante, evidentemente anche la Grecia non è tutta uguale. Nel tardo pomeriggio il camion che raccoglie la spazzatura ripassa. Non male come servizio. La foca in porto non si è più vista, peccato, mi sarebbe piaciuto che diventasse una consuetudine, come veder rientrate verso le 19 il piccolo peschereccio con a bordo marito e moglie, lei al timone, lui che traffica con le reti. I camerieri, prima delle 20 che in piedi intorno ad un loro tavolino chiacchierano. La signora anziana che dopo cena porta il suo barboncino bianco a fare una passeggiata fino al faro. C’è poi un bimbetto di circa tre anni, con tanto di caschetto che tutte le sere sfreccia sul suo monopattino, con dietro il padre che lo rincorre. Consuetudini che dopo un mese fermi qui ci scandiscono anche i tempi. Un signore anziano che è tornato in Grecia dopo aver lavorato una vita in Australia, con il quale abbiamo familiarizzato grazie a Katy che parla benissimo l’inglese, non arriva mai  al bar prima delle 18 e ci resta fino a tardi, sempre al solito posto, come del resto fa anche la zingara che siede sul marciapiede col suo piccolo in braccio solo dopo le 19, orario in cui aprono i negozi di abbigliamento qui a Limnos. E ancora il barcone dei turisti che fa due corse al giorno in orari fissi. La foca no, lei non si è più vista, si è fatta ammirare da tutti  per un po’ una sola volta, con il dorso che usciva dall’acqua inarcandosi  e poi si immergeva, col musetto che spuntava improvviso  per poi scomparire sott’acqua e riapparire un po’ più la. Per il momento è stata una eccezione, speriamo che il rivederla spesso diventi una consuetudine.

Questa mattina molto presto c’era già movimento in rada, alcune barche a vela stavano uscendo a motore dall’avanporto per prendere il largo. Lady Blues e un’altra barca mollavano gli ormeggi. Altre si muovevano nella nostra direzione per accaparrarsi i posti rimasti liberi. Lo specchio d’acqua davanti a noi era in gran fermento, con disappunto di Katy che doveva salpare l’ancora con un Moody che le veniva incontro. Comincia ad albeggiare ma c’è  ancora poca luce per immortalare Lady Blues che si allontana dal molo. Noi, sulla prua di Felicità, spettatori  per un ultimo saluto a Oliviero e Katy. In pochissimo tempo la luce si fa strada nel buio e le mura del castello, davanti a noi sembrano accendersi assumendo un colore dorato, il tempo per scattare una foto e  il  Moody si avvicina dopo aver buttato l’àncora, gli prendiamo le cime ma… dovrà rifare l’ormeggio perché sono troppo pochi 20 metri di catena, lo aspettiamo di nuovo sul  molo, le cime questa volta saranno piene di acqua salata. Alle 6 il porto ritorna silenzioso, niente catene di ancore che salgono o scendono, niente motori accesi, niente imprecazioni per incroci vari, solo qualche piccione sul molo approfitta per bere  un po’ d’acqua dolce vicino alla colonnina dove ci siamo lavati le mani dopo aver preso le cime del Moody. Poche macchine cominciano a passare lungo la strada e il camion  della spazzatura già sta lavorando. Nell’avamporto le altre barche sonnecchiano dondolando un po’ perché è arrivato il vento e  con il vento arriva anche il profumo del pane della panetteria qui vicino. I nostri nuovi vicini di barca greci sono spariti in barca, suppongo siano tornati a dormire. Anche noi  rientriamo e facciamo colazione, il caffè  finisce di  svegliarci definitivamente. La mattina è  ancora lunga, sarà bene approfittarne e andare a comprare  del pesce, meglio non andare al ristorante di sabato e domenica. Una settimana fa’ si è fermato un camion, sulla banchina,  quasi vicino a noi. Ohhh no ho pensato, casino in vista, poi però ho visto scaricare dei tavoli, li ho visti montare, allineare e ricoprire con lenzuola bianche, poi verso sera su quei tavoli un gruppo di persone hanno esposto molti libri, purtroppo tutti in greco, ma è stato interessante scoprire il nome di molti autori classici che conoscevo. È quasi una fermata obbligatoria per tutti quelli che passeggiano qui sul porto la sera per prendere il fresco. In molti si fermano, sfogliano, leggono, comprano. Poi verso mezzanotte tutti i libri vengono riposti in scatoloni e riportati in libreria, qui davanti restano durante il giorno solo una lunga fila di tavoli con lenzuoli svolazzanti ma ben fissati sui lati.