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Vista dal mare è verdissima l’isola di Skopelos, interamente coperta da alberi,  ci siamo già fermati qui in andata, e rivederla ora, di un verde così  uniforme e compatto,  dopo le aride Limnos e Efstratios, fa un certo effetto. Il panorama che si osserva  dal porto di Neo klima ne da una visuale più dettagliata con numerose varietà di piante: cipressi raggruppati sul fondo della baia a nascondere delle ville, dietro la strada pini marittimi sulla collinetta e davanti a loro, sul fondo della spiaggia, tamerici sempre allineati come ombrelloni naturali, a concludere, vicino al porto, ci sono 6 vecchi  platani, sempre  in linea uno con  altro, intrecciando le loro chiome compongono un’ampia zona ombreggiata e fresca sotto la quale sono posizionate 5 comode panchine. Ma la Chicca del posto, è sempre il grande Ligustrum di cui ho già parlato, quello in paese, sul sagrato della chiesa ortodossa, un albero molto vecchio e molto profumato. Arriviamo in porto verso mezzogiorno,  ormeggiamo e cinque minuti dopo siamo già in mare a nuotare, in spiaggia ci sono nuovi ombrelloni e in fondo al golfo, in acqua, scorgiamo una specie di parco giochi di quelli gonfiabili e coloratissimi che prima non c’era. Molti più turisti, in prevalenza greci, sia in mare che in spiaggia, è sabato 24 agosto, ma  l’acqua è sempre cristallina. Uscendo dalla baia, questa mattina  incontriamo poco vento ma sufficiente ad issare il genoa, lo stesso vento lo ritroviamo anche qui in porto, ma comunque fa molto caldo, per la prima volta ci sono 33 gradi in cabina, sul letto, dove sono sdraiata entra dal passo d’uomo un po’ d’aria, vedo il cielo azzurro e addensarsi le prime nuvole. La sera siamo già piazzati al ristorante con la terrazza affacciata sul mare. Forse la cena è un po’ pesante perché la notte… Non mi risponde, forse il numero è sbagliato, forse non può rispondere, sono preoccupata,  chiedo aiuto ad Enrico ma le sue dita grosse non riescono a digitare i numeri  sulla tastiera.  Vado da Lei a piedi, di corsa salgo i tre piani di scale delle case popolari delle di via Diaz, le case Fanfani. Lei mi apre distratta, e pulendosi le mani nel grembiule mi dice di accomodarmi, un bambino piccolo è seduto sul seggiolone e una signora anziana è davanti alla porta finestra, sul fuoco un pentolone di acqua e sul tavolo sono distesi in bell’ordine dei pomodori secchi. Ma come, io sono preoccupata, tu non rispondi e sei qui a conservare le verdure, dobbiamo andare se no ti prendono, è tardi, possibile che tu non capisca. Enrico mi raggiunge e di fronte all’evidenza commenta ” È la solita storia, tu ti preoccupi, ti angoscia e gli altri se ne fregano e continuano a fare il cavolo che vogliono”. Lolita è una casalinga con un figlio e un’anziana donna in casa. Lolita non è consapevole del pericolo in cui si è  cacciata e io non so come aiutarla. Mi sveglio sudata, Lolita è entrata nei miei incubi, non quella di Nabokov, che ho  letto molti anni fa, di cui non ricordo nemmeno bene la trama, solo il disgusto per il fatto che un adulto si approfittasse di una ragazzina, solo questo ricordavo. Poi però in questi giorni sto leggendo un libro di Azar Nafisi: “Leggere Lolita a Teheran”. Molto interessante, scritto bene, pieno di spunti di letture e  riflessioni, di storia del suo paese e della politica e rivoluzioni che in Iran li ha coinvolti tutti, in particolare l’accanimento sulla libertà delle donne da parte del regime di Khomeyni. Sono solo arrivata nel punto in cui gli studenti universitari, su suggerimento della loro docente, processano il libro dal titolo:  “Il grande Gatsby”, non il suo autore Fitzgerald, solo il romanzo. Questo libro mi sta’ prendendo molto, spero di ritrovarlo ancora nei mie sogni, ma non sottoforma di incubo.

Niente sveglia questa mattina, nessunissimo rumore, il mare è una lastra di vetro trasparente, non un alito di vento, solo il belare di due capre che arrivano quasi a riva. La luce è ancora tenue, sono le sette e noi abbiamo dormito 9 ore filate. Siamo pronti per ripartire, qui però è talmente bello: siamo in una piccolissima baia, davanti a noi Alonisos, la vista spazia fra terre, mare e cielo, se il cielo e il mare sembrano parenti  per similitudini le terre assumono sembianze sempre diverse: terre rossicce o rocce grige, sulle coste spaccature a formare grotte e strapiombi a picco sul mare, il loro colore può assumere toni diversi a seconda delle ombre che le colgono solo per metà, lo strapiombo è inerte davanti a noi come una ferita, ha fermarne l’ulteriore caduta in mare sulla sua estremità,  una compatta macchia di verde la trattiene con le sue radici. C’è  molto verde su  queste isole. Mano a mano che ci allontaniamo, dietro di noi le colline perdono i loro colori brillanti. Lasciano il  posto a quella a cui stiamo andando incontro: Skopelos. Ci vorranno 25 miglia per raggiungerla, nel frattempo, vista la giornata di ieri ho un sacco di cose da sistemare in barca, in più  anche l’esterno ha i suoi problemi che ieri abbiamo tralasciato, Felicità è punteggiata da granulini neri e grassi, sono dapertutto, anche sui cuscini che alla fine andranno buttati perché nel tentativo di pulirli abbiamo peggiorato la situazione, meno male che erano già conciati ed era in programma di cambiarli. Sulla coperta è stato più facile eliminarli con acqua e poco sgrassatore, anche noi muovendoci e sedendoci ci siamo conciati. Alla fine è stata necessaria una doccia seria con acqua calda e sapone. La causa? Di sicuro il piccolo traghetto giornaliero che sostava vicino a noi al di là del molo, quando arrivava e quando ripartiva i suoi gas di scarico erano famelici e ci siamo accorti tardi di quanto inquinamento producesse anche con il generatore acceso tutto il giorno. Il giorno prima di partire, quando è arrivato, alle 5 del pomeriggio Enrico lo aspetta sul pontile, se non possiamo fare niente per l’inquinamento (se non andarcene)  possiamo evitare che il marinaio, durante le manovre di attacco ci   tiri di nuovo addosso (come successo il giorno prima), il pugno di scimmia, dopo il lancio dal traghetto aveva  preso in pieno il nostro boma, l’impatto  ha  prodotto come una fucilata, io ero lì sotto che leggevo, mi sono presa uno spavento e se il lancio fosse stato più basso mi avrebbe colpita. Il pugno di scimmia è una palla di corda pesante situata all’estremità di una cima leggera che a sua volta è legata alla vera e propria cima di ormeggio, che in questi traghetti sono decisamente grosse e pesanti, per questo viene lanciata la cima leggera che però  alla sua estremità deve avere  appunto qualcosa di pesante (pugno di scimmia) per essere ben indirizzata. Enrico è lì che aspetta di vedere il marinaio che  lancia  il pugno di scimmia, lo inquadra, si fa sentire e capire, le poche parole che sappiamo in greco sono eloquenti: “Sigà Sigà” il marinaio capisce e si giustifica dicendo che il giorno prima c’era vento forte, “Ok” risponde Enrico ma ribadisce: ” Sigà Sigà” .  Pulendo la barca questa mattina penso come al solito che c’è sempre il rovescio della medaglia, l’isola di Efstratios è stata una bellissima esperienza , ma come sempre non può essere un paradiso, anche lì magari ci saremo fermati di più restando per  la finestra del brutto tempo. E anche qui in baia oramai siamo a ridosso del temporale e non possiamo cincischiare, ci  sarebbe piaciuto rimanere in baia all’ancora, soli soletti, per almeno un paio di giorni, ma purtroppo il meteo comanda e noi vorremmo essere  già ormeggiati sicuri in porto. Magari ci torneremo, come dico sempre: “Queste isole sono qui da un po’ di tempo, micha se ne vanno l’anno prossimo!”

Oggi il sole è sorto alle nostre spalle, è spuntato con comodo verso le 7 da dietro le colline dell’isola di Efstratios. Ora che è poco più alto, la sua scia di luce allungata si riflette in mare e sembra inseguirci fino a scontrarsi  con la nostra poppa per poi perdersi. Più tardi la ritroverò alla sinistra di Felicità più ambia e scintillante. La luna invece,  è molto pallida,  ancora  alta davanti a noi. Siamo in navigazione solo da mezz’ora e tutta l’isola si presenta all’orizzonte per intera, lunga e ondulata. Dirigiamo a sud ovest con vento al traverso, alle 7,30 issiamo la randa  e poco dopo anche il fiocco. La data della partenza è stata decisa l’altro ieri, quando dalle previsioni del vento e del mare era abbastanza chiaro che avremmo raggiunto le Sporadi in favore di vento. Per cui ieri abbiamo avuto una giornata intensa cominciata con la visita al Museo della Democrazia, una spesa di frutta, verdura e pane, un piccolo bucato visto l’abbondanza di acqua e per lo stesso motivo rabbocco del serbatoi di Felicità, ho cucinato, e non volendo rinunciare alla nuotata ci siamo messi a tavola molto tardi e di conseguenza il pomeriggio è stato brevissimo avendo ancora da ritirare, piegate, e mettere via  il bucato che non era poi tanto piccolo. Questa mattina un attimo dopo essere partita la nostra sveglia alle 5,30,  il suono lungo e possente del grande traghetto ci ha fatto saltare giù dal letto. Mentre  noi ci preparavamo son partiti in sequenza: il peschereccio ormeggiato alla nostra poppa, la solita motonave che dorme nel bacino riservato e il grande traghetto. Quando alle 6,30 molliamo gli ormeggi in porto non c’è nessun altra barca a parte i piccoli pescherecci dei locali.  La baia di Peristera è la nostra destinazione per oggi, una piccola isola disabitata di fronte a all’isola di Alonisos dove una baia protetta ci permetterà di ormeggiarci all’ancora per questa notte. Davanti a noi per il momento si staglia l’isola di Piteri un’unica e lunga parete bianca a picco sul mare, solo sulle sommità, una spolverata di verde. Dopo di lei incontreremo Panagia, entrambe parchi marini nei quali puoi fermarti solo pagando anticipatamente con prenotazione via internet. Si è fatta l’una, mangiamo nelle tazze: pomodori, feta, olive, olio e pane. Da un po’ abbiamo tolto la randa e il vento è girato al giardinetto. Felicità va alla grande, con vela e motore arriviamo a punte di 7,5 nodi. Enrico è gasato, io meno, sono addormentata, ho dormito solo dalle tre e mezza fino alle 5,30. Dopo che Enrico ha dissipato i miei dubbi sulla partenza. Non dormendo ho consultato il bollettino del mare e mi sembrava cambiato da come lo avevamo controllato insieme 5 ore prima. Non sono pimpante come lui, ma i panorami nei quali ci infiliamo, fra un’ isola e l’altra, gli anfratti, le baie, le insenature che ci circondano è proprio un bel vedere. Alle 16 buttiamo l’àncora, e fissiamo Felicità anche con una cima a terra. Bagno assicurato per raggiungere a nuoto una grossa roccia che è già circondata da un robusto anello di cima.  L’acqua è calda e trasparente, in questa piccola ansa ci siamo solo noi. La cena è pronta. Dobbiamo solo goderci la serata e dormire un po’, domani mi sa che ripartiamo, per non perdere le buone condizioni metereologiche.

Efstratios, Museo della Democrazia.

In un’isola così piccola, una grande storia raccontata da  piccoli oggetti e fotografie, dove l’operosità e la coralità degli abitanti ha fatto la differenza. Uomini e donne, nel dopo guerra, dopo il  terremoto del 1968, nei momenti del riscatto con l’anniversario dell’ indipendenza, negli anni 50, fino alla recente costruzione del porto. Negli espositori: testate di giornali e vecchie cartoline di privati cittadini. La vita scorre in queste stanze: vediamo donne che confezionano scarpe, e le stesse scarpe le vediamo sia dal vero che fotografate in modo grottesco durante una sfilata di un carnevale. C’è la banda del paese, il teatro comico e l’opera. I cittadini sempre coinvolti, sempre partecipi, una collettività che mi ha fatto tenerezza. Uomini duri col piccone in mano a spostare sassi,  donne sempre in nero  che la fatica  fa sembrare sempre  più vecchie. Non mancano oggetti di artigianato molto ricercato come una radio con la parte in legno intarsiata, o semplici rasoi a mano. C’è un baule di vecchia foggia ben protetto dal plexiglass e una vecchia  valigia in terra, sembra casualmente appoggiata lì, pronta per partire. Quanta energia  abbiamo trovato in questo museo, quanta voglia di vivere e condividere, in armonia e in  democrazia. Un piccolo museo una grande testimonianza. Domani lasceremo questa piccolissima isola di Efstratios, un punto in mezzo al mare Egeo che ricorderemo con affetto, come se fosse la sorella più piccola di Limnos.

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Dev’essere un dissalatore quell’insieme di grandi cilindri di acciaio posti alla fine del golfo, un ronzio impercettibile ne indica il loro funzionamento. Con questo sistema sia dal rubinetto della fontana che alle docce in spiaggia, la pressione è abbondante e la qualità dell’acqua è buona, tanto che vediamo persone che ne fanno scorta riempiendo le bottiglie di plastica. Peccato che sul molo dove siamo ora ormeggiati non ci sia un rubinetto. Andando in spiaggia il solito fenicottero staziona alla foce del  canale in secca che però è raggiunto dall’acqua del mare. Pensavamo fosse un airone ma poi abbiamo dovuto ricrederci, è proprio un fenicottero, neanche tanto rosa. L’unico bar che abbiamo visto è decisamente affollato e prima o poi incroceremo  anche una taverna. Diciamo che di quest’isola, per il momento, stiamo sfruttando a pieno la spiaggia, le nuotate sono sempre lunghe, potremmo raggiungere dalla spiaggia Felicità a nuoto, ma non ha senso, ci piace anche camminare. Mercoledì 21 agosto, sei del mattino, alcuni tironi sulle cime di ormeggio ci svegliano, la nave arrivata ieri verso le 18 e che ha dormito qui, se ne sta andando, esco in pozzetto per controllare anche altri rumori e vedo che all’interno del porto, una barca a vela di 12 metri se ne sta andando. Controlliamo che nessuna altra barca in giro sia in movimento e dopo aver messo costume e  maglietta, accendiamo il motore e l’elica di prua, spostiamo qualche parabordo, molliamo gli ormeggi e ci dirigiamo verso il posto libero. Enrico al timone, io a prua  pronta col mezzo marinaio in mano per  agganciarmi all’anello del pontile. Ci accostiamo lentamente all’inglese, se avessi allungato di più il mezzo marinaio avrei fatto mena fatica ma comunque sporgendomi al massimo mi sono  agganciata  nel frattempo Enrico fissa l’ormeggio a poppa sulla bitta, poi viene da me e fa lo stesso a prua. Fatto. Questo è il terzo ormeggio che facciamo, ma qui, all’interno del porto, siamo molto più protetti. Sono le sette, il sole è dietro le nuvole, la luna ancora  alta in cielo sembra la sua sostituta. Qualche piccolo peschereccio sta rientrando, noi ci ritiriamo per fare colazione, il caffè lo beviamo fuori, il sole mancante ce lo permette. Un’occhiata al telefono e leggo da parte di Katia: “Fatevi amici i pescatori per il pesce fresco”. Vorrei mandare Enrico ma lui…nicchia: “È meglio che ci vada tu Lella.” Rientro con un pesce che basta per due e altri 5  piccolini che il pescatore ha voluto per forza infilarmi nella borsa di plastica che avevo portato. Per mangiarli oggi, sono sicura che non ci metteremo più di un quarto d’ora, per pulirli ci siamo messi in due e non finivamo mai. Ma tanto sono solo le nove del mattino, abbiamo ancora tutta la mattina davanti.

Ci abbiamo messo più del previsto per arrivare in porto, la corrente contraria ci ha fatto perdere un’ora su 20 miglia,  dai 5 nodi siamo passati a 4. Le onde sono aumentate forse per effetto delle correnti e il vento è sparito, quando ammainiamo la vela siamo in vista del porto e finalmente alle due siamo ormeggiati all’inglese nella parte esterna del molo dove passano i traghetti che qui non sono frequenti. Si balla già molto senza che ci sia mare. Siamo stanchi ma ci portiamo lo stesso in  spiaggia per un bagno che, lo so, ci  rimetterà in sesto. Enrico nuotando raggiunge un altro molo per capire se c’è abbastanza fondo per un eventuale nuovo ormeggio. “Adesso no! Però! Prima mangiamo”. Rientriamo in barca, già da lontano vediamo l’albero che va da destra a sinistra con una velocità  assurda. Alle 15,30, senza neanche bere un caffè rifacciamo l’ormeggio, va tutto liscio. Dove siamo ora, sull’altro lato del porticciolo dei pescatori si sta bene, non c’è risacca e un venticello fresco entra dal passo d’uomo per uscire dal tambuccio, rinfrescando tutto l’abitacolo, il caffè ce lo gustiamo proprio. Impieghiamo il resto del pomeriggio a riposarci. Le 19 arrivano presto,  preparo un sughetto coi pomodori freschi e basilico, e prima di farlo bruciare, spengo e organizzo il materassino con asciugamano e cuscino per fare un po’ di ginnastica in pozzetto dove c’è già ombra. Non ho messo un piede sul molo (salvo per arrivare alla spiaggia), la visita all’ isola è rimandata a domani. C’è una luna fantastica questa sera, c’è la siamo  vista spuntare all’ improvviso da dietro una collinetta , a poppa di Felicità, dove nel pozzetto  prendevamo un po’ fresco: grande, luminosa, vicinissima, sembrava avesse gli occhietti, l’ho fotografata ma il lampione acceso sul molo sembrava più luminoso di lei. Alle 22 eravamo già a letto, un sonno profondo ha rapito entrambi. A mezzanotte è arrivato il traghetto con tanto di tromba, catena dell’ancora, e dall’auto parlante la voce del capitano impartiva ordini, quando è ripartita non c’è ne siamo accorti, ci siamo subito riaddormentati. C’è una linea precisa, questa mattina, che fa da confine fra le acque del porto che sono immobili e azzurre e quelle del mare aperto un po’ increspate e di un blù intenso, una linea che racchiude il porto al suo ingresso: dal faro rosso a quello verde, poi, più tardi il vento spingerà via  questa linea  immaginaria scompigliando anche le calme acque del porto, e sulla sue superficie si disegnerà una rete cristallina. Intorno a noi la spiaggia è deserta, dal porticciolo sono usciti dei pescherecci, ma non li abbiamo sentiti, non circolano macchine, c’è ne sono solo tre parcheggiate, il silenzio è palpabile salvo qualche pesce che salta fuori dall’acqua, sembra prestissimo invece sono già le 11, sarà bene pensare al pranzo e poi…  bagno, meglio approfittare perché le nuvole in cielo non promettono niente di buono, del resto era previsto, aspetteremo qui qualche giorno che le nuvole perdano il loro carico.

Lunedì, 19 agosto, alle sette del mattino siamo già svegli, l’aria è freschina, il sole splende e il porto è già in movimento: molti se ne sono già andati e non sono mancati gli incroci di ancore con relative manovre per liberarsi. Sulla banchina vicino al faro è rimasto solo il peschereccio e la motovedetta del guardia coste. Il mega yacht non c’è più, in effetti, molto presto, nel dormiveglia avevamo sentito rombare i motori e avevamo capito che se ne stava andando. In rada ci sono solo poche barche. Dopo i rituali mattutini scendo a terra per comprare il pane fresco, non resisto e di strada mi fermo dalla fruttivendola che è già aperta, prendo altri pomodori, questa volta maturi, pensando a una pastasciutta al sugo da mangiare questa sera in rada se non trovassimo posto in banchina. La saluto, avvisandola che partiamo e la ringrazio per la sua gentilezza, si e sempre rivolta a me in italiano consigliandomi al meglio, anche lei si congeda, sempre in italiano. Per la strada i molti cestini della spazzatura sono ancora stracolmi, la spazzina non è ancora passata. Di persone, macchine o moto non se ne vedono in giro e camminare nelle lunghe ombre delle case e delle piante è un vero piacere. Alle 8,30 salpiamo dopo aver salutato Patrizia e Giovanni che si è affacciato dal tambuccio, l’augurio che ci scambiamo è quello di rivederci per mare, possibilmente entro questa stagione, che vorrebbe dire che stiamo tutti bene, Giovanni compreso. Lasciamo l’isola di Limnos dopo 42 giorni, nessun rimpianto, ci siamo stati molto bene, l’abbiamo girata in lungo e in largo, a piedi e in macchina, abbiamo fatto bagni e goduto della tranquillità dell’ormeggio in porto. Ci abbiamo incontrato vecchi amici e ne abbiamo conosciuti di nuovi. Siamo pronti per riprendere il viaggio di ritorno, la prima tappa sarà breve, come già detto solo venti miglia. Quella che lasciamo alle spalle è un’isola particolarmente rocciosa e brulla, la riguardo e penso che anche quando siamo arrivati avevo avuto la stessa impressione, però proprio in questo ambiente dove crescono solo erbe aromatiche, le api sono molto laboriose e non si fanno scappare nemmeno un fiorellino di timo. In navigazione, dietro di noi a poppa una bava di schiuma bianca lascia per pochi metri la traccia del nostro allontanarci. Sulla sinistra di Felicità a est, sotto i raggi del sole, un fitto scintillio argenteo ci viene incontro dall’ orizzonte, diradandosi e allargandosi verso di noi in   infinite stelle danzanti. Issiamo la vela, l’andatura si stabilizza e la velocità aumenta, dietro di noi prima un delfino, poi altri in gruppo che però si allontanano, non abbiamo avuto il piacere di vederceli saltare in torno, o come fanno di solito che ci precedono con nuotate e salti possenti. La navigazione procede, il rumore del motore purtroppo è dominante, il vento che gonfia la vela è fresco e piacevole, le postazioni in ombra sono le più ambite, mentre il pilota automatico continua a lavorare per noi. Faccio ginnastica, leggo, scrivo e sono arrivate le 11,30, il nostro arrivo è previsto per le 12,30. Solo dopo poche miglia dall’uscita del porto, quando il mare era ancora ondulato e senza increspature, dalla prua di Felicità,  a sud, l’isola di Efstratios era già in vista: sagoma sbiadita all’orizzonte, quasi impercettibile. Ora è qui davanti a noi, con le sue curve nette, il suo colore scuro. Chissà se troveremo posto in porto.

Abbiamo assaggiato qualche sera fa un miele di timo, dal gusto particolare, ma il suo sapore   mi ha riportato immediatamente, come un bumerang che ritorna,  alla  mia infanzia, era quello il sapore che aveva il miele, è stato un tuffo. Pensando di regalarlo al nostro ritorno agli amici, ieri sera ne abbiamo fatta una bella scorta. Il venditore  ci ha fatto assaggiare anche la sua grappa e il suo Uzo, ma non ne abbiamo comprato, troppi gradi, troppo caldo. Abbiamo acquistato invece una formaggella affumicata prodotta con latte di capra. Le scorte in questi giorni sono all’ordine del giorno: i biscotti, che trovo raramente in altri piccoli paesi, le olive Calmata che ho trovato qui particolarmente  buone, un bel pezzettone  di feta di capra che vendono sciolta. Il frigo è zeppo in previsione della partenza di domani. È un po’ che teniamo d’occhio le previsioni, e non siamo i soli, già questa mattina il porto va svuotandosi e in rada sono rimaste poche barche a vela. Partirà anche quel mega yacht a tre piani lungo 40 metri, è stato fermo fino adesso, rosicchiando giorno per giorno sempre più spazio per arretrare, l’armatore  è greco e abbiamo saputo che da bambino veniva qui con la famiglia a passare le vacanze, è affezionato all’isola e con un bestione del genere ha fatto bella  mostra di sé, ormeggiato all’inglese vicino al faro, per quasi un mese, parte domani per la Turchia dove farà il pieno di carburante, lì costa meno. Il vento si è un po’ calmato e anche le temperature si sono attenuate, meglio. Domani non partiremo troppo preso, per lasciare il tempo alle onde di calmarsi, le miglia da percorrere saranno poche, solo una ventina, siamo diretti a sud verso l’isola di Efstratios, è piccola e per molti poco attraente, ma dipende sempre dai punti di vista: cosa cerchi? Cosa ti serve? Quanto tempo hai?. Per noi sarà una comoda tappa per raggiungere in seguito le Sporadi, sempre tempo permettendo. Giovanni si è affacciato al tambuccio di Giolea un paio di volte, la seconda, ci sembrava stesse un po’ meglio, Patrizia ci ha confermato che i dolori cominciano a passare e la notte è andata molto meglio. Siamo più sollevati e il senso di colpa che in questi giorni era montato per via della nostra partenza si è lentamente affievolito.

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È stata quella di ferragosto una giornata molto calda e anche molto ventosa. Alle 12 non rinunciamo alla nuotata quotidiana , ma anziché nuotare verso le boe gialle stiamo più vicini a riva, notiamo subito che il forte vento ci spinge velocemente al largo, nuotiamo in orizzontale fino alla fine del golfo e torniamo di fronte al nostro albero. Oggi è difficile trovare un ombrellone vuoto, ma non è un problema, noi: arriviamo, nuotiamo, e torniamo in barca, ci basta un albero con uno spezzone di ramo per agganciarci la borsa, ci riponiamo i cappelli, gli occhiali, l’asciugamano e le due magliette. L’ombra è assicurata per il breve tempo che ci fermiamo in spiaggia. Solitamente Enrico esce prima, io e Patrizia ci attardiamo, ma oggi Patrizia non c’è, è troppo presa con le cose da fare in barca e Giovanni ancora non se la sente di fare il bagno. Solitamente rientrando dopo trovo Enrico già docciato e cambiato e la doccia della barca libera per me. Le solite chiacchiere oggi sono poche. Solo verso sera si affaccia al nostro pozzetto  Patrizia per proporci una passeggiata, la via centrale sembra più fresca, gli uomini nicchiano, ma poi si aggregano. Fra la passeggiata, le fermate all’ombra per le chiacchiere, la fermata al solito Super sempre aperto, si fanno le 21. Finalmente si sta bene, il sole è sparito dietro le mure, il vento continua a rinfrescarci e noi seduti su di una panchina indichiamo agli amici,  sulla cartina dell’isola di Limnos i posti dove con la macchina è bello recarsi, e le strade che abbiamo fatto. Improvvisi, di nuovo  solo i colpi di tamburo: cupi, perentori, questa volta sappiamo di cosa si tratta, i militari in tuta mimetica imbracciano il fucile mitragliatore  altri imbracciano strumenti musicali, gli stessi di questa mattina. Finalmente capiamo perché si siano fermati ancora qui, non c’entra il comune, c’entra la bandiera greca in cima alle mura che viene prima ammainata e poi issata. Nessuno ha fame, nessuno ha voglia di rientrare in barca, Giovanni è stanco. Fino alle 23 c’è stata un po’ di confusione in banchina e quando ci diamo la buona notte, Patrizia ci informa: Giovanni ha la febbre. Il pensiero corre immediatamente al COVID, qualche mascherina gira anche qui in paese, qualche notizia dall’Italia non è delle più rassicuranti. Cerchiamo e ricerchiamo il test che ci siamo portati da casa, ma non lo troviamo. All’una di notte penso di sapere dov’è, mi alzo, lo cerco dove ho messo le mascherine, ma non lo trovo ancora. Alle due di notte mentre noi dormiamo, la situazione peggiora, Patrizia e Giovanni cercano un Taxi per andare in ospedale, non lo trovano, una pattuglia della polizia trova loro e li porta in ospedale. La diagnosi è polmonite. Dice Patrizia che  nell’ospedale greco di Limnos lo  hanno rivoltato come un calzino: visita, esami, tac, controllo dell’ossigeno ecc…ecc… Rientrano alle 4 con le ricette per i vari medicinali. Quando ci informano siamo rimasti basiti e ci viene da dire:  forse era meglio il COVID. È lo stesso che hanno pensato loro. La terapia è già in corso, l’atmosfera è cambiata, c’è silenzio e aspettiamo che gli antibiotici facciano il loro dovere.

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Così forte, era un po’ che non lo sentivamo, forse dall’anno scorso nelle Cicladi, è un meltemi furioso con una voce grossa che si impenna durante le raffiche che fanno fischiare le sartie, fanno sbattere le cime sugli alberi delle barche e i parabordi si strizzano tra una barca e l’altra. Non si sente altro che l’ululare del meltemi che fa volare di tutto.  In baia, davanti a noi ci sono le ochette e la decina di barche che ci sono ormeggiate hanno tutte la prua al vento con la catena dell’ancora bella tesa. La situazione a terra non è migliore, i cassonetti dell’immondizia sono caduti, la dipendente comunale che sostituisce i sacchetti pieni dei vari cestini con quelli vuoti ha il suo da fare per non farli  volare,  le cime delle palme sono in gran movimento e in giro c’è poca gente. È così da ieri, e oggi è anche peggio. In porto non dovremmo avere problemi ma si dorme sempre con un occhio solo. Otto del mattino del quindici di agosto. I militari, a suon di tamburo sfilano davanti al porto, sono in tuta mimetica, in testa, il loro capo li dirige con la bacchetta. Si fermano proprio davanti la nostra barca davanti al Comune. Usciamo in pozzetto di corsa, così come siamo, assonnati e in pigiama. Il tamburo ci ha svegliato ma in realtà è una piccola banda con due trombe, sassofono e pochi altri strumenti a fiato. Il grosso del gruppo ora canta, non sono le solite canzoni greche e non sembrano nemmeno inni religiosi, sono marcette festose ma il forte vento che soffia da nord dai Balcani  la fa sempre da padrone. Ai primi colpi di tamburo ci siamo spaventati ed Enrico nel dormiveglia ha scambiato il rumore del tamburo per una cima che battesse forte sullo scafo, mai tranquilli in barca. Non siamo i soli ad essere schizzati fuori in pozzetto, Patrizia e Giovanni sottolineano che sono le otto del mattino, il nostro vicino greco, sull’altro lato della nostra barca ci informa che è la festa della Madonna. Non vediamo comunque nessun Pope. Quest’isola di Limnos è fortemente militarizzata. Già durante le nostre escursioni a piedi avevamo localizzato una base militare, qui intorno c’è anche un aeroporto militare da cui partono dei jet che sfrecciano nei cieli, sono gli unici a coprire il rumore del meltemi, sono sempre in coppia e quando ti passano sopra la testa, col loro rombare,  fanno paura. Le mura del castello che un tempo erano la difesa dell’isola ora sono solo un’attrazione turistica. La tecnologia le ha sostituite ma il loro fascino resta uguale quando al mattino il sole le illumina per prime. Nonostante il meltemi, nonostante i jet. Con la sveglia dei militari, così presto, per noi dormiglioni,  anche oggi abbiamo potuto ammirarle di nuovo.